Diritti

L’Emilia Romagna ha regolamentato il suicidio assistito

Tramite una delibera regionale sono stati definiti iter e tempi di accesso: chi ne farà richiesta dovrà ricevere l’esito (positivo o negativo) entro 42 giorni
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
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12 febbraio 2024 Aggiornato alle 16:00

Da anni la Corte Costituzionale chiede al Governo di legiferare sul fine vita ma al momento nessun si è ancora preso l’onere di procedere. Così, in attesa che si faccia chiarezza a livello nazionale, le Regioni si muovono in autonomia.

L’ultima a farlo è stata l’Emilia-Romagna, che attraverso una delibera regionale ha stabilito le direttive per l’accesso al suicidio assistito e tempi certi per chi ne fa domanda.

Nello specifico è stato istituito il Corec (Comitato regionale per l’etica nella clinica) e sono state inviate linee di indirizzo alle aziende sanitarie locali, che consentiranno di valutare al massimo in 42 giorni le richieste e dare parere positivo o meno ai pazienti.

Secondo le nuove disposizioni, la richiesta di suicidio assistito dovrà essere inviata alla Direzione sanitaria di un’Ausl - azienda unità sanitaria locale, completa di tutta la documentazione necessaria. La manifestazione di volontà della persona (che può essere ritirata in qualsiasi momento) dovrà essere acquisita e documentata per iscritto, tramite un video o, in caso di forte disabilità, attraverso dispositivi tecnologici che consentano di comunicare.

La richiesta sarà trasmessa entro 3 giorni alla Commissione di valutazione di Area Vasta, che effettuerà una prima visita al paziente per valutarne la legittimità e approfondire ogni aspetto, insieme ai familiari.

Dopo l’istruttoria, che durerà circa 20 giorni, verrà inviata una relazione al Corec, che entro 1 settimana dovrà esprimere un parere di competenza dal punto di vista etico, non vincolante, che verrà poi inviato alla Commissione di valutazione, che stilerà una relazione conclusiva, che dovrà essere trasmessa entro 5 giorni al paziente o a un delegato e al Direttore sanitario dell’Ausl di competenza e, nel caso di ricoverato ospedaliero, anche al direttore della struttura.

Al termine di tutto l’iter, la procedura dovrà avvenire non oltre 7 giorni dal ricevimento della relazione conclusiva della Commissione.

A contraddistinguere la decisione dell’Emilia Romagna è soprattutto l’aspetto temporale. Se è vero che quella guidata da Stefano Bonaccini è la seconda regione a dotarsi di un iter inerente al fine vita (la prima è stata la Puglia), è rilevante il fatto che sia l’unica al momento ad aver stabilito tempi precisi per la valutazione.

A dotarsi di regole interne ci aveva provato anche il Veneto poche settimane fa, con una proposta di legge di iniziativa popolare promossa dall’associazione Luca Coscioni. Proposta, però, al momento respinta e rinviata in commissione, che molto probabilmente non verrà mai ridiscussa.

Quando si parla di fine vita è facile confondersi, quindi è bene fare chiarezza, partendo dalla conoscenza dei termini. Si parla di eutanasia quando la morte del paziente avviene dopo la somministrazione di un farmaco da parte di un medico, mentre di suicidio o morte assistita quando è la persona stessa ad auto-somministrarsi un farmaco letale.

Mentre l’eutanasia in Italia è assolutamente vietata, il suicidio assistito è stato depenalizzato ad alcune condizioni nel 2019 con la sentenza 242 della Corte Costituzionale, a seguito della nota vicenda di Dj Fabo, che nel 2017 scelse di porre fine alla propria vita in Svizzera aiutato dall’Associazione Luca Coscioni e da Marco Cappato, che per la vicenda finì a processo (poi assolto) e che da sempre si batte per chiedere che l’Italia si doti di una legge chiara.

Legge che, appunto, ancora non c’è, e la cui assenza costringe le Regioni a muoversi in ordine sparso, e il Paese a non garantire a tutti i cittadini gli stessi diritti. Il tutto sulla pelle delle persone malate, che nella migliore delle ipotesi si recano all’estero per vedere esaudite le proprie volontà, ma che molto più spesso si rassegnano a una vita di sofferenza, in attesa che la malattia faccia il suo corso naturale.

Lo strumento scelto dall’Emilia Romagna, ovvero la delibera, non è molto solido, visto che può essere modificato in caso di cambio di giunta, ma è più snello di una vera e propria proposta di legge, che avrebbe dovuto passare dal consiglio regionale, diventando con ogni probabilità terreno di scontro interno anche della stessa maggioranza, considerando che il Pd del governatore Stefano Bonaccini non ha una linea comune in termini di fine vita. Il rischio, insomma, era di finire come il Veneto, quindi si è scelta l’opzione più rischiosa ma anche più pratica nell’immediato.

Questo, però, ha dato il via a non poche polemiche. Dopo che la consigliera regionale di Forza Italia Valentina Castaldini ha accusato la maggioranza di aver agito tramite delibera per eludere il voto, i partiti d’opposizione stanno valutando di presentare un ricorso al Tar, il Tribunale amministrativo regionale.

Sul tema si è espresso anche il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, secondo il quale «la delibera è sicuramente un passo avanti, ma non sia usata come strumento per non discutere la nostra legge, che è stata sottoscritta da migliaia di persone, va discussa e votata. Serve a garantire regole certe per il rispetto di un diritto già sancito».

Nel frattempo, domani la delibera arriverà in Consiglio regionale, per poi passare successivamente in Commissione.

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