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Chi è Stefano Bonaccini?

Classe ‘67, ex segretario regionale del Pd e presidente dell’Emilia-Romagna. Piccola bio del candidato alla segreteria del Partito Democratico
Credit: ANSA/ANGELO CARCONI
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24 novembre 2022 Aggiornato alle 16:00

«Queste primarie dovranno servire anche per portare a livello nazionale i valori, le ragioni e le sensibilità del Pd dell’Emilia-Romagna, affinché questi incidano ancora di più sul Pd nazionale». Era il 2009 e Stefano Bonaccini annunciava così la sua vittoria alle primarie per la segreteria regionale del Pd. Oggi, tredici anni dopo, l’aspirazione romana del governatore emiliano sembra essere arrivata al suo punto di non ritorno. Da Campogalliano, comune modenese e sua patria natale, il presidente dell’Emilia Romagna ha annunciato la sua candidatura alla segreteria nazionale del Pd.

«Volevo dirlo a voi che mi avete visto crescere». Sono state le sue parole ai suoi «compagni e compagne» di Campogalliano. Una crescita lenta, non sempre lineare, ma inarrestabile quella di Bonaccini. Nato nel 1967, figlio di un camionista e di un’operaia, entrambi iscritti al Partito comunista italiano (Pci), inizia la sua scalata nel 1990 quando diventa assessore alle Politiche giovanili di Campogalliano.

Diventa quindi assessore in Comune a Modena, poi segretario nella sua città dei Democratici di Sinistra (Ds), per poi entrare in consiglio regionale. Qui è uno dei consiglieri più stimati dallo storico presidente Vasco Errani. Già in questi anni il richiamo romano inizia a farsi sentire: nel 2012 Bonaccini si schiera con Bersani nelle primarie che lo vedono contrapposto a Renzi. Passa un anno e cambia idea schierandosi col leader toscano. In entrambi i casi i suoi candidati vincono.

La sua vicinanza a Renzi gli gioca anche qualche brutto scherzo. Come quando al congresso di Sinistra Ecologia Libertà (Sel) l’allora segretario Pd non si presenta. Al suo posto interviene proprio Bonaccini che è accolto dalla platea da risatine e dalla domanda: «Bonaccini chi?».

Il suo nome ha un primo sussulto di popolarità nel 2014.

Vasco Errani è travolto dall’inchiesta Terremerse (sarà poi assolto). Al suo posto si candida proprio Bonaccini.

Sono elezioni con un’affluenza bassissima: solo il 37% degli emiliani e romagnoli va a votare. Ma bastano a Bonaccini per battere lo sfidante di destra Alan Fabbri.

Nel suo primo mandato da presidente, Bonaccini si vanta di aver visitato ogni singolo comune dell’Emilia-Romagna. Ma quando si avvicinano le Regionali del 2020 la sua conoscenza del territorio sembra non bastare. La Lega di Salvini ha superato il Pd alle Europee del 2019. Il suo segretario Matteo Salvini punta a strappare la storica regione rossa alla sinistra.

Per il Pd sembra un incubo. Per Bonaccini è un’occasione da non perdere. Si rifà il look: via il viso piacione e qualche chilo in più. Arrivano la barba curata, gli occhiali a goccia e il piglio del duro.

Alla tre giorni del Pd a Bologna si presenta l’ultimo giorno, fa un breve discorso coinciso e poi saluta: «Torno a lavorare sul territorio».

La campagna elettorale in Emilia Romagna assume un valore nazionale. Salvini si presenta costantemente nella regione per sostenere la sua candidata Lucia Borgonzoni. Bonaccini sceglie la tattica opposta: non vuole presenze dal Pd nazionale (tranne rare comparse dell’allora segretario Nicola Zingaretti) e punta tutto sul racconto del territorio. La strategia, condita all’esplosione delle Sardine, paga. E alla fine Bonaccini è rieletto. Il Pd tira un sospiro di sollievo. Bonaccini festeggia: la ribalta nazionale è tutta sua.

Il suo nome inizia a circolare come possibile successore di Zingaretti. Ma quando quest’ultimo rassegna le dimissioni nel marzo 2021, Bonaccini è tra i primi a chiamare Enrico Letta per convincerlo a prendere in mano il partito.

Nei mesi della campagna elettorale prima delle Politiche del 25 settembre si smarca spesso dalle posizioni ufficiali del partito, cercando di lavorare per il «nuovo». L’occasione arriva dopo la sconfitta elettorale. Il Pd va a congresso. Per Bonaccini è giunta l’ora di candidarsi contro le “correnti” di cui pure è stato a suo tempo abile sfruttatore.

Il Pd del Sud non lo ama e guarda con diffidenza le sue simpatie per le autonomie mentre la sua vicepresidente Elly Schlein potrebbe essere la sua avversaria al congresso. Lui nel 2018 a un cronista di Repubblica che gli chiedeva cosa gli desse felicità rispondeva: «Vedere qualcuno che sta meglio rispetto a una condizione peggiore di qualche tempo prima».

Il Pd potrebbe essere il paziente perfetto.

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