Diritti

Eutanasia: a che punto siamo?

In Italia è ancora una pratica illegale, nonostante negli anni siano state avanzate diverse proposte di legge. Ma 2/3 dei cittadini si dichiarano favorevoli
Credit: Tara Winstead/pex
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
1 agosto 2022 Aggiornato alle 09:00

Libertà sul proprio corpo non significa solo poter decidere come sfruttare le possibilità che il questo ci offre o poter accedere liberamente all’aborto. Significa anche, e forse questo è il grado di libertà più alto, poter decidere come e quando aiutare quel corpo a morire. Una libertà che nel nostro Paese è ancora drammaticamente assente, mentre persone che vorrebbero solo andarsene con dignità sono costrette a combattere contro forzature burocratiche che vogliono continuare a tenerle in vita contro la loro volontà.

Legislatura dopo legislatura, si continua a rimandare il dibattito sul fine vita perché sia qualcun altro a occuparsene. Ma non c’è tempo – e forse non c’è mai stato davvero – perché le sofferenze dei malati non possono, e non devono, aspettare.

Eutanasia, suicidio assistito, sedazione profonda continua

Il dizionario Treccani definisce l’eutanasia come “Azione od omissione che, per sua natura e nelle intenzioni di chi agisce (eutanasia attiva) o si astiene dall’agire (eutanasia passiva), procura anticipatamente la morte di un malato allo scopo di alleviarne le sofferenze”.

Si tratta, quindi, di chiedere a un’altra persona di procurare la propria morte. Poiché in Italia è illegale, chi vuole fare ricorso alla “buona morte” può farlo solo andando all’estero, dove è consentita, o grazie a un gesto di disobbedienza civile.

Un caso diverso è quello del suicidio medicalmente assistito – in cui è la persona stessa a darsi la morte ma con l’assistenza di personale specializzato, assumendo dei farmaci oppure premendo un pulsante che inietta un farmaco in vena – che è consentito (o dovrebbe esserlo) a patto che siano rispettate alcune condizioni.

Un’ultima possibilità è quella della sedazione palliativa profonda e continua, che può essere richiesta in due casi: quando le sofferenze di una persona non sono altrimenti controllabili o se la morte è imminente. Può quindi essere richiesta da coloro che decidono di essere staccati dalle macchine e che li tengono in vita, sospendendo qualsiasi trattamento medico, un diritto garantito dalla legge 219/2017.

La legge cosa dice?

Detto molto semplicemente: la legge non dice niente. A 38 anni da quando, nel 1984, fu presentata la prima proposta di legge di iniziativa popolare, il Parlamento non è ancora riuscito a legiferare su fine vita e sul diritto delle persone ad andarsene da questo mondo alle loro condizioni e in piena coscienza.

Nonostante diverse proposte di legge di iniziativa popolare e parlamentare, a causa di una straordinaria inerzia legislativa l’eutanasia rimane illegale e se oggi le persone (o meglio, alcune persone) possono andarsene liberamente scegliendo il suicidio assistito non è grazie a deputati e senatori ma a una sentenza della Corte Costituzionale.

Pronunciandosi in merito alla vicenda di Marco Cappato – che rischiava dai 5 ai 12 anni di carcere per aver accompagnato Dj Fabo in Svizzera per avvalersi del suicidio assistito – la Consulta ha stabilito che la condotta di chi aiuta al suicidio «non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni». In particolare: «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

Basta questo quindi per consentire a chi rispetta i requisiti e lo desidera di lasciare questo mondo quando lo desidera? No, come mostrano i troppi casi di cronaca di ostruzionismo al suicidio assistito che raccontano la lotta di persone come Mario o Antonio a cui le Istituzioni Sanitarie negano il diritto di morire in libertà.

Per appurare che esistano le condizioni per poter accedere al suicidio assistito e per definire eventualmente tipologia e modalità di somministrazione del farmaco, deve infatti riunirsi la Commissione Medica – che può chiedere il parere del Comitato Etico – che opera a livello regionale. Più volte, le commissioni hanno di fatto ostacolato il suicidio assistito prolungando i tempi di valutazione, non comunicando l’esito o facendolo solo dopo essere state obbligate dalla legge o mancando di definire l’aspetto farmacologico.

Un referendum (e una legge) che non s’ha da fare

Mentre la politica latita e le istituzioni sanitarie impediscono di accedere ai propri diritti, la maggioranza degli Italiani vuole l’eutanasia. Quasi 2/3 sono a favore della sua legalizzazione, dice un sondaggio realizzato da BiDiMedia nel novembre 2021.

Lo ha mostrato, più di qualsiasi analisi o qualsiasi dato, la straordinaria partecipazione alla raccolta firme per un referendum popolare Eutanasia Legale, che ha raccolto 1.239.423 firme – 400.000 delle quali online – in poche settimane.

Il quesito referendario chiedeva di depenalizzare l’omicidio del consenziente – attualmente punito dall’articolo 579 del codice penale con la reclusione da 6 a 15 anni – fatta eccezione per i casi in cui era coinvolto un minore, nel qual caso si sarebbero continuate ad applicare le pene previste per l’omicidio.

Stavolta, a frenare gli entusiasmi è stata proprio la Corte Costituzionale, che in passato, di fronte all’inerzia del Parlamento, aveva dato una spinta decisiva alla questione del fine vita: la Corte, infatti, ha definito il quesito inammissibile perché «a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».

La palla è tornata di nuovo al Parlamento anzi, a questo punto al nuovo parlamento che si insedierà dopo le elezioni del 25 settembre. Verrebbe da sperare che i partiti riuscissero a raccogliere la grande eredità della campagna referendaria, accogliendo la richiesta dei cittadini che con forza hanno espresso la necessità di dare risposta a chi chiede solo di morire con dignità. Sperare, appunto, che dopo 40 anni di proposte, sentenze e battaglie si riesca a capire la centralità di una legge sul fine vita. E se la campagna elettorale appena aperta non lascia ben sperare, iniziamo noi a dare un segnale, votando chi a queste istanze ha dato e darà voce, e forza.

Leggi anche
Il risultato del voto sulle pregiudiziali durante la discussione in Senato sul ddl Zan
Leggi
di Valeria Pantani 3 min lettura