Diritti

Argentina: perché le proteste contro l’estrazione del litio sono state duramente represse

A giugno 2023 nella regione dello Jujuy, nota come “triangolo del litio”, si sono intensificate le rivolte contro l’attività mineraria. Il Guardian ha raccolto le testimonianze sulla violenza delle autorità locali
Credit: Mariana Nedelcu/SOPA Images via ZUMA Press Wire
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13 febbraio 2024 Aggiornato alle 08:00

Nel 1971, in un saggio intitolato Le vene aperte dell’America Latina, il giornalista uruguaiano Eduardo Galeano parlava del continente latino-americano come di un corpo dissanguato dai vampiri, del colonialismo prima e dell’imperialismo poi, che per secoli se ne sono cibati alimentando un sistema capitalista diseguale nel quale “il sottosviluppo non è una tappa dello sviluppo. È una sua conseguenza”. Rileggerlo oggi, a più di cinquant’anni dalla pubblicazione, dà un inquietante senso di dejà vu.

Certo, molte cose sono cambiate nel continente da allora: le dittature militari sono finite, è nata la classe media, ci sono state esperienze di governo, come quelli di Lula, Chavez o Mujica, che hanno spostato l’ago della bilancia politica verso problemi sociali e ambientali. Oggi i Paesi latinoamericani sono meno dipendenti dal ricatto degli aiuti internazionali di quanto non fossero cinquant’anni fa, i movimenti sociali hanno ottenuto visibilità mondiale e spesso fanno scuola a quelli del vecchio continente, le battaglie dei popoli indigeni ottengono finalmente la visibilità che meritano.

Ma lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali continua a discapito dell’ambiente e della popolazione e troppo spesso attiviste e attivisti vengono messi a tacere, anche grazie alla complicità di governi guidati da fazioni dell’ultradestra reazionaria. Lo abbiamo visto chiaramente nel Brasile di Bolsonaro e oggi una situazione simile si ripropone in Argentina, con ciò che da oltre sei mesi sta avvenendo nella provincia andina di Jujuy, ai confini con Cile e Bolivia, dove è in atto una dura repressione delle popolazioni indigene che cercano di resistere all’imporsi delle attività minerarie nella regione.

Jujuy si trova infatti nella zona comunemente conosciuta come “triangolo del litio”, che ospita quasi il 75% delle riserve mondiali del metallo. Il litio, utilizzato nelle batterie dei dispositivi elettronici come telefoni, pc e ora anche automobili, è uno dei metalli più richiesti sul mercato e il suo consumo attualmente aumenta con un tasso di circa il +10% annuo.

L’Argentina, che nella provincia di Jujuy ha attualmente all’attivo 3 miniere, con altri 38 progetti in previsione, ha visto le sue esportazioni aumentare del 235% nel solo anno 2022.

Per poterle incrementare ancora, a giugno dell’anno scorso, le autorità locali della provincia andina hanno fatto passare una contestatissima riforma della Costituzione provinciale che elimina il riconoscimento del diritto delle popolazioni indigene alla terra ancestrale (in contraddizione con quanto sancito dalla Costituzione nazionale del 1994), criminalizza la protesta sociale e sospende il diritto a consultazioni anticipate e informate.

Viene inoltre affermato il diritto alla proprietà privata, favorendo nella contesa le grandi imprese minerarie, dal momento che i diritti delle popolazioni indigene sulla terra non derivano dal possesso formale di titoli di proprietà.

Secondo le testimonianze raccolte The Guardian, in seguito alle manifestazioni contro la riforma nella provincia è stata messa in atto una vera e propria campagna di sorveglianza e intimidazioni da parte della polizia che non ha esitato a usare la violenza per far sì che la popolazione abbandonasse la protesta. Le accuse mosse dalle organizzazioni dei diritti umani sono gravissime: tra queste violenze fisiche, abusi sessuali e ostacolo al soccorso e alle cure mediche.

Joel Paredes ha 28 anni ed è un artigiano della ceramica. Durante una protesta pacifica è stato colpito al volto da un proiettile di gomma e ha perso un occhio. Al The Guardian racconta che i poliziotti sono andati a cercarlo in ospedale per scoprire il suo nome, ma il personale medico si è rifiutato di fornire l’informazione.

Anche Ernesto Jorge Aguirre, un pittore di 52 anni, è rimasto cieco da un occhio dopo che un poliziotto gli ha lanciato in faccia un lacrimogeno. «È stato come una bomba», dice. «C’era un sacco di sangue, e le ambulanze non arrivavano. È stato come se avessi perso la vita quel giorno».

Rosa (nome di fantasia), maestra e militante, invece è stata svegliata a casa sua nel cuore della notte. I poliziotti l’hanno legata, imbavagliata, bendata, insultata e abusata sessualmente. «Gli ufficiali, due donne e un uomo, mi hanno intimato di non protestare più. Al momento di andarsene mi hanno tolto il bavaglio e baciata sulla bocca a turno. Dopo sono rimasta immobile sul pavimento per tredici ore».

La campagna intimidatoria sembra aver in parte funzionato. La protesta non si è spenta, ma è continuata su scala molto minore. Secondo Amnesty International la gente ora ha paura di finire sulla lista nera delle autorità locali, dato che molti dei manifestanti sono stati perseguiti per aver partecipato alle proteste. Alcuni di loro sono stati costretti a nascondersi dalla polizia. Anche se le autorità della provincia hanno negato di aver usato la violenza per soffocare il malcontento, le testimonianze di chi afferma di aver subito violenza, di essere stato minacciato o di aver visto la propria casa distrutta per consentire l’accesso alla terra sono troppe per essere ignorate.

La resistenza non si ferma, e il senso di dejà vu nel leggere le parole di Galeano si intensifica: “Perché l’America Latina possa rinascere bisognerà cominciare a rovesciarne i padroni, Paese per Paese. Si spalancano tempi di ribellione e di cambiamenti. C’è chi crede che il destino stia nel grembo degli dèi, ma la verità è che lavora, come una sfida incandescente, sulla coscienza degli uomini”. Mai come oggi queste parole ci sembrano attuali.

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