Ambiente

Per il 27% della popolazione mondiale il rischio di una catastrofe è elevato

Il 54% degli intervistati dal World Economic Forum crede che il pericolo di un disastro globale nei prossimi 2 anni sia moderato: quali sono le minacce più gravi che affronteremo in futuro secondo il Global Risks Report 2024 del Wef ?
Credit: Sergey Vinogradov
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15 gennaio 2024 Aggiornato alle 17:00

Disinformazione, fenomeni meteorologici estremi, riscaldamento globale e conflitti internazionali. Il Global Risks Report 2024, il nuovo rapporto pubblicato dal World Economic Forum, individua i 10 rischi più gravi che ci troveremo a dover affrontare a breve e medio termine, rispettivamente nei prossimi 2 e 10 anni.

E ancora: i cambiamenti tecnologici rapidissimi, le incertezze economiche, la polarizzazione politica sempre più accentuata, le migrazioni e il collasso degli ecosistemi. In un quadro così frammentato il peggioramento delle prospettive globali è una possibilità più che concreta.

Il 2023, come noto, è stato caratterizzato da guerre. Il conflitto tra Hamas e Israele ha monopolizzato l’attenzione mediatica nell’ultima parte dell’anno (per il resto dominato dalla guerra tra Ucraina e Russia), ma non bisogna dimenticare il Sudan. Alla vulnerabilità e alla fragilità delle persone coinvolte nel conflitto, si aggiungono ulteriori pressioni esterne, causate per esempio dal caldo record, dalla siccità, dagli incendi e dalle inondazioni.

Dove c’è meno violenza, si registra comunque un elevato malcontento sociale popolare che crea polarizzazione, proteste piuttosto decise e scioperi, se non rivolte. Uno degli ultimi esempi ha avuto inizio a dicembre, per poi dilungarsi fino a gennaio: è la mobilitazione dei trattori che ha bloccato la Germania, solitamente simbolo di efficienza occidentale.

Così, mentre il nuovo anno avanza un po’ titubante, i risultati del The Global Risks Perception Survey (GRPS) 2023-2024 evidenziano una prospettiva prevalentemente negativa per il mondo entro 2 anni, che dovrebbe ulteriormente peggiorare nel prossimo decennio.

Il 54% degli intervistati, a settembre, ha previsto una certa instabilità e un rischio moderato di catastrofi globali, mentre un altro 30% si aspetta condizioni più “turbolente”. Le prospettive diventano nettamente più negative sull’orizzonte temporale di 10 anni, con quasi due terzi delle persone che optano per un outlook “tempestoso o turbolento”.

La top 10 dei rischi nei prossimi 2 anni vede in vetta la disinformazione, seguita dai fenomeni meteorologici estremi che balzano in prima posizione tra i pericoli più temuti nei prossimi 10 anni.

La polarizzazione della società, la cyber insicurezza e i conflitti armati chiudono la top 5 del biennio, mentre la graduatoria del decennio prosegue con temi ambientali come i cambiamenti critici dei sistemi della Terra, la perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi, oltre alla mancanza di risorse naturali, con la disinformazione al quinto posto.

Dal report, quindi, emergono le differenze nella percezione del rischio tra i diversi Paesi analizzati, più di 100. La domanda principale era: “Quali sono i 5 rischi che con maggiore probabilità rappresenteranno la minaccia più grande per il vostro Paese nei prossimi 2 anni?”.

L’India, al voto in primavera con il premier Narendra Modi che cerca il terzo mandato consecutivo, mette al primo posto la disinformazione e la misinformation, ovvero la divulgazione di contenuti non veritieri che non presuppone intenti malevoli a monte. Lo stesso tema scivola invece alla sesta posizione nella scala di priorità degli Stati Uniti, che a novembre voteranno per il nuovo presidente americano, e all’ottava per l’Unione europea che a giugno rinnoverà il Parlamento.

Il pericolo di crisi economica, invece, copre quasi trasversalmente tutte le Americhe, si riflette sull’Oceania; è abbastanza diffuso anche nel Vecchio Continente.

Dal punto di vista del lavoro, la disoccupazione in generale e la carenza di manodopera sono problemi molto sentiti nei piccoli Paesi, come Bosnia Erzegovina, Sri Lanka, Bahrain, Angola e Nepal ma, a sorpresa, anche in Spagna.

E l’Italia? Il rischio maggiormente percepito nel nostro Paese è quello della crisi economica, seguito dalle preoccupazioni per eventuali carenze di approvvigionamento energetico, forse alimentate dai risvolti della guerra tra Russia e Ucraina che negli scorsi mesi hanno portato anche a un picco delle spese per le bollette.

Gli eventi meteo estremi sono in terza posizione, accompagnati dai conflitti armati interstatali e dal fallimento dell’adattamento al cambiamento climatico: come si vede, gli argomenti ambientali sono centrali per lo Stivale, a dimostrazione di una buona consapevolezza dei cittadini italiani riguardo l’urgenza di intervenire per contrastare la crisi del clima.

Il rapporto evidenzia, in conclusione, alcune raccomandazioni finali rivolte ai policy makers. La difficoltà principale sta nell’individuare le migliori opportunità di azione per affrontare i rischi globali in un mondo frammentato che mette la cooperazione sotto pressione, fa diminuire la fiducia, polarizza la politica e rende il panorama geopolitico volatile.

Il report incoraggia dunque la collaborazione tra settore pubblico e privato, anche sul piano degli investimenti economici e dei regolamenti. C’è l’innovazione ad avere un ruolo di primo piano: dare priorità al futuro, concentrandosi sulla ricerca e lo sviluppo, può contribuire a rendere il mondo un posto più sicuro.

Inoltre le azioni collettive dei singoli cittadini, delle imprese e dei Paesi, secondo il documento, “possono spostare l’ago della bilancia verso la riduzione del rischio globale a livello di massa critica”. Infine, anche in un mondo sempre più frammentato, la collaborazione transfrontaliera su larga scala rimane fondamentale soprattutto sul fronte della sicurezza.

Questo sarà un tema al centro dell’incontro annuale del World Economic Forum 2024 a Davos, in Svizzera, con all’ordine del giorno il tema Rebuilding Trust.

“Il prossimo decennio inaugurerà un periodo di cambiamenti significativi, portando al limite la nostra capacità di adattamento”, conclude il rapporto.

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