Diritti

Le sfide umanitarie che ci attendono nel 2024

Dall’emergenza climatica alle migrazioni mortali, passando per guerre e disinformazione: la rivista The New Humanitarian ha identificato sette crisi sociali che dovremo affrontare (e risolvere) quest’anno
Credit: EPA/Ramon de la Rocha

Le prime settimane dell’anno sono sempre di bilancio dell’anno passato, ma anche di previsioni per il nuovo. Possiamo dire, senza paura di esagerare, che il 2023 non è stato un anno facile, né per il Pianeta né per chi lo abita, e pare che anche il 2024 non prometta cambiamenti positivi, a meno che non si agisca rapidamente sul piano politico e sociale.

The New Humanitarian, in un recente articolo, ha messo in luce 7 sfide umanitarie che ci aspettano nel nuovo anno e che, se non correttamente gestite, potranno lasciare milioni di persone senza cibo, riparo, cure mediche o aiuti umanitari.

1. Politiche di deterrenza e migrazioni

Il Mediterraneo e la zona di confine tra gli Stati Uniti e Messico si sono riconfermate, nell’ultimo periodo, teatro di un altissimo numero di decessi tra le persone che lasciano i loro Paesi per cercare una vita migliore.

Questo numero sarà destinato ad aumentare nel 2024 se i Paesi riceventi non avranno il coraggio di abbandonare le misure di contenimento delle migrazioni che, è ormai evidente, non funzionano e anzi, spingono sempre più persone ad affidare la propria vita alle mani di gruppi di trafficanti senza scrupoli, subendo abusi e violenze di ogni tipo.

Rendere illegali i flussi migratori significa anche, per i Paesi riceventi (e in particolare per gli Usa e l’Ue) rendersi più vulnerabili alle pressioni degli Stati di origine o di transito che tentano talvolta di raggiungere accordi politici vantaggiosi sulla pelle dei migranti.

Secondo The New Humanitarian è necessario in cambio di rotta radicale riconoscendo che “le migrazioni sono inevitabili, e spesso portano anche benefici, se vengono gestite correttamente”. E umanamente.

2. AI e guerra

Con il conflitto in Ucraina, e adesso con quello in Medioriente, è emersa con forza l’evidenza di quanto le notizie, o la loro assenza, abbiano un ruolo sullo svolgimento della guerra. L’informazione, e ancora di più la disinformazione, possono facilmente trasformarsi in armi letali tanto quanto i missili, specialmente quando passano attraverso canali di massa quali sono i social network.

Lo scorso anno un report della Bbc aveva mostrato come gli algoritmi di alcune piattaforme, come Meta e Youtube, rimuovessero sistematicamente le evidenze dei crimini di guerra perché i contenuti non rispettavano gli standard delle community, contribuendo a creare una narrazione distorta dei conflitti.

Tuttavia l’eliminazione o l’oscuramento di alcune notizie è solo una delle 2 facce della medaglia. L’altra, altrettanto inquietante e pericolosa, è quella della creazione massiva di fake news grazie a intelligenze artificiali generative come ChatGpt. Un esempio di come questo fenomeno possa essere letale per la popolazione, secondo The New Humanitarian, viene dal Sudan, dove l’esercito regolare e le forze paramilitari hanno ingaggiato una lotta di disinformazione sui social network diffondendo notizie false e contrastanti sulle aree sicure mettendo a repentaglio la vita di moltissimi civili.

La circolazione di notizie tendenziose o costruite ad hoc poi, può contribuire a fomentare i discorsi d’odio e la violenza contro gruppi marginalizzati, come è successo in Indonesia, dove un gruppo di profughi rohinga il 27 dicembre scorso è stato espulso, dopo essere stato attaccato, da un rifugio per mano di un gruppo di centinaia di studenti indonesiani.

3. Scarsità idrica

I cambiamenti climatici stanno facendo aumentare sempre di più le aree del mondo colpite dalla siccità che ora non riguarda più solo le zone secche come il Sahel, l’Africa settentrionale e il Medioriente, ma anche Paesi insospettabili come Peru, Kenya e Honduras.

La mancanza di acqua spinge grosse fette della trazione rurale verso aree urbane sempre più sature, e senza possibilità di lavoro né di prospettive, e i suoi effetti si ripercuotono in particolar modo sui più piccoli (secondo l’Unicef sarebbero circa 740 milioni i bambini che vivono in zone senza un’adeguata disponibilità di acqua).

La mancanza o l’insufficienza di risorse idriche rappresentano un’aggravante in zone di guerra aumentando la letalità del conflitto (non dimentichiamo che l’acqua non è solo necessaria per idratarsi ma anche per garantire condizioni di igiene accettabili, per curare feriti e limitare il diffondersi di malattie infettive), e possono a loro volta esacerbare o addirittura essere fonte di conflitto all’interno di una stessa comunità o tra Stati confinanti.

4. Città assediate: il prezzo delle vite civili

La parola assedio spesso richiama alla nostra mente immagini di castelli medievali circondati dalle armate nemiche, ma questa tecnica è una costante nella storia bellica e anche i conflitti a cui abbiamo assistito in anni recenti non hanno fatto eccezioni (come non ricordare Mariupol e Gaza).

Durante un assedio la zona colpita viene completamente isolata e tagliata fuori dalle reti di rifornimento, e le necessità di base come cibo, acqua, medicinali, elettricità diventano armi da utilizzare nel braccio di ferro del conflitto.

Secondo quanto riportato da The New Humanitarian gli assedi, soprattutto se accompagnati da bombardamenti, sono la causa di necessità umanitarie che possono avere strascichi di lungo periodo. Inoltre causando carestie, morti per malattie altrimenti curabili e mancanza di standard minimi di igiene fanno aumentare in modo esorbitante il numero di vittime civili.

5. El Niño

Secondo le analisi del Climate prediction Center, il fenomeno climatico conosciuto come El Niño continuerà a far aumentare la temperatura dell’Oceano Pacifico, causando siccità, incendi, ondate di calore e alluvioni sempre più gravi che, a loro volta, saranno la causa di carestie, migrazioni e crisi sanitarie.

Sarà dunque necessario prepararsi a fare fronte a questi eventi e proteggere le popolazioni delle zone più colpite. Per poterlo fare, secondo The New Humanitarian, è necessario che vengano messe in atto politiche preventive che contribuiscano non solo a salvare molte vite, ma anche a razionalizzare l’utilizzo delle risorse finanziarie allocate alle crisi, evitando inutili sprechi.

6. Nessun interlocutore di serie A e serie B

Per molto tempo, nell’ambito degli aiuti umanitari, si è discusso sull’opportunità di fornire aiuti a Paesi guidati da Governi o gruppi controversi, come nel caso di Stati dittatoriali o, per parlare di situazioni odierne, l’Afghanistan dei Talebani. Inviare fondi di aiuti umanitari, infatti, veniva considerato un atto di legittimazione di questi Governi.

Nel 2024 è possibile che assisteremo a un cambio di mentalità. Il capo della missione Onu in Afghanistan ha spiegato che «Il dialogo non legittima» e le passate esperienze di peacebuilding, specialmente in America Latina, hanno insegnato che per poter aiutare e sostenere le popolazioni in difficoltà, è necessaria qualche forma di compromesso con i gruppi dominanti, per quanto discutibili siano le loro politiche.

7. Il Sahel

Nell’ ultimo periodo la regione del Sahel è stata teatro di diversi colpi di stato e ha visto aumentare il livello di violenza tra diverse fazioni opposte. Secondo le stime di The New Humanitarian, nel 2024 la situazione potrebbe ulteriormente deteriorarsi e sarà necessario ripensare le strategie di azione.

Gli interventi più “classici”, come a esempio le sanzioni, non solo si sono rivelate inconcludenti ma addirittura dannose sia per la popolazione che per i programmi di aiuti.

È giunto dunque il momento di considerare anche i Governi militari provvisori come soggetti politici con cui intraprendere un dialogo, sia per risolvere le situazioni che hanno portato alla loro instaurazione, che per consentire il ritorno rapido a regimi civili.

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