Diritti

Sudan: Amnesty denuncia crimini di guerra

La Ong ha diffuso il rapporto Death came to our home per far luce sulle violenze commesse contro i civili dalle Forze di supporto rapido e dalle Forze armate sudanesi, in conflitto ormai da 100 giorni
Credit: AFP
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
4 agosto 2023 Aggiornato alle 18:00

A 100 giorni dall’inizio del conflitto in Sudan tra le Forze di supporto rapido (Fsr) e le Forze armate sudanesi (Fas), Amnesty International ha pubblicato un nuovo rapporto riguardo i crimini di guerra commessi a partire dal 15 aprile 2023. Si intitola “Death came to our home” - War crimes and civilian suffering in Sudan e denuncia come migliaia di persone siano rimaste uccise nel conflitto in corso nel Paese, con donne e ragazze, anche 12enni, sottoposte a violenza sessuale.

Il documento di 56 pagine si apre con la testimonianza di Kodi Abbas, un insegnante di 55 anni di Kalakla, quartiere meridionale di Khartoum: «Mia moglie e i miei figli sono scappati di casa quando nel nostro quartiere sono scoppiati gli scontri tra le Forze di Supporto Rapido e l’esercito. I miei due figli più piccoli, Hassan, di 6 anni, Ibrahim, di 8 anni, e il figlio di mio fratello Koko, di 7 anni, erano piccoli e non potevano scappare abbastanza velocemente. Sono stati uccisi tutti e 3».

Nel mese di giugno Amnesty International ha intervistato 181 persone, in primis nel Ciad orientale, ed esaminato un’ampia quantità di materiali audiovisivi e immagini satellitari. Il rapporto documenta massacri a seguito di attacchi deliberati e indiscriminati avanzati dalle parti in conflitto contro la popolazione civile e denuncia violenze sessuali contro donne e ragazze, attacchi mirati contro strutture civili, quali ospedali e chiese e vasti saccheggi. La ong, che guarda principalmente alla capitale Khartoum e al Darfur occidentale, definisce alcune di queste gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, dei veri e propri crimini di guerra.

Che cosa sta succedendo nel Paese? 100 giorni fa le Fas, guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, a capo del Consiglio supremo del Sudan, sono entrate in conflitto con le Fsr, gruppo paramilitare capeggiate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, per il controllo del Sudan. Amnesty sottolinea che, data la dimensione dei combattimenti e l’organizzazione delle 2 parti, ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, si tratta di un conflitto armato non internazionale, a cui si applicano sia il diritto internazionale umanitario sia quello dei diritti umani. Per i crimini di guerra perpetrati, “singoli soldati e comandanti possono essere chiamati a rispondere sul piano giudiziario”.

Tra le testimonianze raccolte c’è quella di Fawzi al-Mardi, padre di Ala’, dottoressa di 26 anni uccisa il 15 aprile nel quartiere di Hay al-Manara a Omdurman: “Quella mattina ci siamo svegliati all’inferno. Si sentivano spari ed esplosioni ovunque, senza sosta. Ero preoccupato per mia figlia Ala’, che era andata a lavoro in ospedale. Poi è rientrata, ma pochi minuti dopo un proiettile è entrato dalla finestra del salotto, ha colpito mia moglie al volto e Ala’ al petto, uccidendola all’istante. Un solo proiettile ha distrutto la nostra famiglia nel giro di pochi secondi”. La morte, ha raccontato l’uomo, “ci è entrata dentro casa”.

Il 6 giugno decine di persone che si erano rifugiate nei dormitori femminili della El Geneina Univeristy, nel Darfur occidentale, hanno riferito di essere rimaste ferite da colpi di mortaio. Secondo sopravvissuti e altri testimoni, alcuni attacchi sarebbero stati mirati: il 13 maggio, per esempio, hanno raccontato che gli uomini delle Fsr sono entrati nel complesso della chiesa copta di Mar Girgis (San Giorgio), nel quartiere di Bahri a Khartoum, e hanno ucciso 5 religiosi e trafugato danaro e una croce d’oro.

Il giorno successivo Adam Zakaria Is’haq, un medico e difensore dei diritti umani di 38 anni, è stato ucciso insieme a 13 pazienti nella clinica di emergenza Markaz Inqadh al-Tibbi, nel quartiere di Jamarik a El Geneina: «Il dottor Adam curava persone malate in una piccola clinica dato che il principale ospedale di El Geneina era stato distrutto alla fine di aprile dalla stessa milizia armata e dalle Fsr. Gli hanno sparato al petto. Aveva una moglie e 2 figli di 4 e 6 anni», ha riferito un testimone.

Amnesty denuncia anche “attacchi basati su motivi etnici nel Darfur occidentale”. Secondo l’organizzazione per i diritti umani Minority Rights Group International, circa il 70% della popolazione del Sudan è costituita da arabi sudanesi, con una significativa minoranza nera africana del 30%, tra cui Fur, Beja, Nuba e Fallata.

All’interno dei confini del Sudan vivono oltre 500 gruppi etnici che parlano più di 400 lingue. I testimoni raggiunti da Amnesty hanno riferito di violenze perpetrate su persone del gruppo etnico masalit, attaccate da milizie armate delle Fsr nella zona di El Geneina: “6 uomini hanno fatto irruzione alle 8 di mattina nella nostra abitazione. Si sono diretti nella stanza in cui c’erano mio marito e i suoi 4 fratelli e li hanno uccisi. Poi sono entrati nella stanza in cui ero con i miei figli e altre 12 persone, tra donne e bambini. Ci hanno presi a bastonate e a scudisciate, ci hanno chiesto dove fossero le armi e ci hanno rubato i telefoni”, ha raccontato Zeinab Ibrahim Abdelkarim.

Donne e ragazze, poi, avrebbero subito violenze sessuali da parte dei soldati di entrambe le parti in conflitto. Alcune di loro sarebbero state trattenute per giorni in condizioni di schiavitù sessuale. Una donna di 25 anni di El Geneina ha raccontato che il 22 giugno tre miliziani arabi in abiti civili hanno fatto irruzione negli uffici dell’anagrafe, nel quartiere di al-Jamarik, dove lavorava, e l’hanno stuprata: «Non c’è alcun luogo sicuro a El Geneina. Avevo lasciato casa perché c’erano sparatorie ovunque e questi criminali mi hanno stuprata. Ora temo di essere incinta. Non potrei sopportarlo».

Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha denunciato che ogni giorno, “mentre le Fsr e le Fas combattono per il controllo del territorio, la popolazione civile sudanese soffre orrori inimmaginabili”. I civili “finiscono in mezzo al fuoco incrociato quando provano a fuggire e vengono intenzionalmente assassinati in attacchi mirati. […] Nessun luogo è sicuro”.

Callamard ha esortato la comunità internazionale a estendere e far rispettare l’embargo sulle armi a tutto il Sudan e ad aumentare significativamente il sostegno umanitario. “I Paesi vicini devono garantire che i loro confini siano aperti ai civili in cerca di sicurezza”, ha scritto su Twitter. La “violenza dilagante” nella regione del Darfur, “fa venire in mente la campagna di terra bruciata dei decenni scorsi, in alcuni casi a opera dei medesimi responsabili”, ha spiegato Callamard.

Il 21 giugno Amnesty International ha scritto alle Fas e alle Fsr per condividere le sue conclusioni e per chiedere informazioni su specifici casi documentati nel rapporto: le 2 milizie armate hanno risposto a metà luglio, dichiarando di aver rispettato il diritto internazionale e accusando l’altra parte di averlo violato.

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