Diritti

Sudan: crescono le violenze sessuali contro le donne

Le cittadine raccontano di aver subito stupri da parte delle forze paramilitari sudanesi: la United Nations sexual and reproductive health agency denuncia 21 episodi; Save The Children 88
Credit: Via wqxr.org
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 agosto 2023 Aggiornato alle 11:00

La guerra in Sudan è entrata nel suo quarto mese. Finora più di 3 milioni di persone sono state costretta a fuggire dalle loro case: più di 730.000 hanno cercato rifugio nei Paesi confinanti (Egitto, Repubblica Centrafricana, Ciad, Etiopia, Sud Sudan), 2,6 milioni sono sfollate all’interno del Paese. Di queste, 53.000 donne sono in stato di gravidanza.

Il conflitto in corso sta mettendo a dura prova le donne e le ragazze del Paese, che hanno dovuto lottare per accedere a servizi di protezione e salute riproduttiva, e per fuggire dalle violenze perpetrate dalle Rapid Support Forces (RSF), le forze paramilitari sudanesi che controllano gran parte dello Stato, con l’esercito che non riesce a respingerle.

L’emittente britannica Bbc ha raccolto testimonianze scioccanti di vittime di violenze sessuali da parte dei combattenti delle RSF. Una donna di circa 40 anni sarebbe sopravvissuta a uno stupro nel Darfur occidentale compiuto da un gruppo di 4 soldati che l’avrebbero fermata e violentata a turno sotto l’albero in cui era andata a raccogliere la legna per accendere un fuoco e scaldarsi.

Un’altra, di 24 anni, stava andando a trovare sua zia quando in 3 l’hanno fermata e «mi hanno accusata di appartenere ai servizi segreti dell’esercito», ha raccontato ai giornalisti. Gli uomini l’hanno costretta a salire in macchina e l’hanno portata in una casa vicina dove si sarebbe consumato lo stupro. «Ho provato a scappare. Ma uno dei soldati mi ha colpito così forte che sono caduta a terra. Hanno minacciato di uccidermi se mi fossi mossa o avessi urlato di nuovo».

L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sudan ha dichiarato all’inizio di luglio di aver ricevuto segnalazioni di 21 episodi di violenza sessuale nei confronti di almeno 57 donne e ragazze. Save The Children ne conta 88, con almeno 42 presunti casi nella capitale del Sudan, Khartoum, e 46 nella regione del Darfur. Ma secondo l’Unità sudanese per la lotta alla violenza contro le donne si tratta di una cifra che probabilmente rappresenta solo il 2% dei casi totali di violenza sessuale, che sarebbero invece almeno 4.400 in sole 11 settimane.

Le donne e le ragazze dei centri gestiti dall’UNFPA, l’agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva, hanno raccontato di aver assistito o di essere state sottoposte a violenze sessuali a Khartoum e Omdurman. Il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite Volker Türk ha riferito che «l’RSF è stato identificato come l’autore» in quasi tutti i casi segnalati al suo ufficio.

Ahlam Nasser, attivista sudanese per i diritti umani fuggita dal Paese, sostiene che lo stupro venga usato «sistematicamente» come arma per terrorizzare le persone, ed è una pratica già utilizzata in passato in Darfur, in particolare dalle RSF. In alcuni casi, ha raccontato Nasser, le violenze sarebbero avvenute di fronte ai figli.

Le forze paramilitari hanno negato che ci siano i loro combattenti dietro questi attacchi: il portavoce Mohammed al-Mukhtar sostiene che i soldati «si impegnano a rispettare i più alti standard etici di guerra» e questi atti rientrerebbero nelle «campagne deliberate per offuscare la reputazione dei nostri combattenti dopo le vittorie militari che abbiamo ottenuto». Si tratterebbe, secondo al-Mukhtar, di persone mascherate da membri della RSF.

Le vittime, poi, quando sopravvivono, non riescono ad accedere facilmente alle strutture sanitarie del Paese: quasi il 70% è stato costretto a chiudere a causa dei combattimenti. Il rischio di violenza sessuale è particolarmente elevato quando donne e ragazze si spostano alla ricerca di luoghi più sicuri, sia all’interno del Sudan che oltre confine.

L’UNFPA spiega che spesso vendono i propri vestiti in cambio di soldi utili a comprare cibo, mentre altre cercano legna da ardere da vendere, esponendole a un ulteriore rischio di predatori mentre si avventurano lontano e spesso da sole nella boscaglia deserta. Anche quelle che vendono tè al mercato e lavorano nei ristoranti sono in pericolo: i commercianti le sfrutterebbero e le costringerebbero a fare sesso. Inoltre, donne e bambini dormono all’aperto a causa della mancanza di rifugi, il che aumenta ulteriormente la loro esposizione a violenze e abusi.

L’UNFPA si sta coordinando con i Governi nazionali e statali e con i partner umanitari per intensificare il sostegno e i servizi urgenti per la salute riproduttiva e la risposta alla violenza di genere nelle aree con un elevato numero di sfollati, interni in Sudan e nei siti di accoglienza, o sfollamento nei Paesi limitrofi. L’agenzia dell’ONU sta mettendo a disposizione ostetriche, squadre mobili e forniture per ridare sicurezza alle donne. Una sicurezza che ormai sembra completamente disintegrata.

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