Diritti

Infertilità: l’86% delle coppie ha meno di 37 anni

Secondo i dati del Centro Pma dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma, l’aumento dei casi di donne giovani con riserva ovarica bassissima potrebbero essere legati agli effetti dell’incidente nucleare di Chernobyl
Credit: Bedbible .com
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 dicembre 2023 Aggiornato alle 15:00

L’infertilità è una condizione che interessa un numero sempre maggiore di persone: 1 su 6, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Oms. Persone che sono sempre più giovani: quasi 9 coppie su 10 (l’86%) tra quelle registrate per l’accesso alla Procreazione Medicalmente Assistita (Pma) negli ultimi, infatti, avevano un’età compresa tra i 22 e i 37 anni, ha spiegato in una nota Arianna Pacchiarotti, Direttrice del Centro di Procreazione Medicalmente Assistita dell’Ospedale San Filippo Neri - Asl Roma1 del Lazio.

Le cause sono diverse, legate in parte a stili di vita e in parte a fattori ambientali, come l’esposizione all’inquinamento e ad agenti chimici detti “interferenti endocrini” come metalli pesanti, pesticidi, diossine, Pcb e bisfenolo. E proprio gli interferenti endocrini potrebbero essere all’origine dell’aumento dei casi di infertilità precoce registrati dall’ospedale romano – l’unica struttura pubblica del Centro-Sud a offrire la fecondazione eterologa – che in uno studio in fieri ha mostrato come il numero di donne giovani con bassissima riserva ovarica nella fascia d’età tra i 22 e i 37 anni sia in crescita e come il 69% dei esse abbia una correlazione statisticamente significativa con la patologia della tiroidite autoimmune.

«Ci fa riflettere il fatto che le donne comprese in questa decade siano il prodotto di ovociti che potrebbero essere stati danneggiati da interferenti endocrini, in particolare dal nucleare, presumibilmente riconducibile nel medio lungo termine all’incidente di Chernobyl», ha detto Pacchiarotti, spiegando che nonostante siano necessari ulteriori approfondimenti, trattandosi di uno studio pilota, è comunque significativo, perché «va a scardinare quel luogo comune secondo cui oggi l’infertilità è dovuta all’aumento dell’età media in cui le donne scelgono una gravidanza».

Lo abbiamo detto in più occasioni: dobbiamo cambiare il modo in cui parliamo di infertilità. Le parole di Pacchiarotti lo confermano, di nuovo.

Secondo l’esperta, infatti, è necessario promuovere la consapevolezza del proprio corpo per una cultura della preservazione della fertilità, a prescindere dall’età. Prendendo in considerazione, all’interno della pianificazione familiare, non solo la contraccezione ma anche consapevolezza che le cellule riproduttive sono limitate e cominciano a «deperirsi già in epoca dei primi mesi di gestazione».

La riserva ovarica può essere valutata attraverso una serie di esami – ormone antimulleriano (Amh), ormone follicolo-stimolante (Fsh) ed estradiolo, conta dei follicoli astrali – e può offrire un’indicazione quantitativa (ma non qualitativa) del patrimonio residuo di follicoli presenti nelle ovaie e, quindi, delle possibilità di gravidanza. Sebbene sia un indicatore che peggiora con l’avanzare dell’età, l’invecchiamento non è l’unico fattore coinvolto, come mostra lo studio del San Filippo Neri, per questo è importante non sottovalutarlo anche nelle pazienti più giovani.

Per questo il centro di Pma sta pianificando la promozione di un progetto Puoi donare una vita: le donne giovani possono non solo crioconservare i propri ovociti per una fertilità futura (quello che viene chiamato social freezing) ma contemporaneamente possono donarne una parte per una donna che ne ha bisogno.

«È doveroso e strategico rendere l’Italia autosufficiente nell’approvvigionamento dei gameti, che al momento vengono importati da Paesi esteri, con enorme dispendio economico e senza garantire una tracciabilità, col rischio di un probabile aumento della consanguineità delle coppie del futuro», ha concluso Pacchiarotti.

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