Diritti

Infertilità: il cambiamento parte da come ne parliamo

Ivi Italia, insieme a La Strada per un Sogno e la community Oneofmany, ha lanciato il Manifesto Il linguaggio della fertilità, un “pronto soccorso delle parole” per operatori sanitari, giornalisti, amici e parenti
Credit: Nadezhda Moryak 
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
27 ottobre 2023 Aggiornato alle 13:00

«Sei un albero che non dà frutti». Se le parole sono proiettili – e lo sono – questa è una di quelle frasi che può davvero uccidere. Uccidere almeno una parte di una persona, se quella persona sta facendo un percorso di procreazione mediamente assistita e deve confrontarsi con una diagnosi di infertilità.

Ma questa non che una delle tantissime frasi che ogni giorno tutti – medici, operatori sanitari, giornalisti, parenti e amici – riversano sulle coppie (1 su 7 secondo le ultime statistiche) che non riescono a concepire o portare avanti una gravidanza. Luoghi comuni, banalità, linguaggi arcaici o stereotipati diventano altrettante armi che feriscono e hanno come unico risultato quello di far sentire soli e ancor più vulnerabili.

«Sei vecchia». «Le tue uova sono vecchie». «Ma quando lo fate un figlio?». «Vabbé puoi sempre fare la zia». «Perché non adottate?”. «Hai abortito perché quando si forza la natura non va mai bene». «Evidentemente Dio ha un disegno diverso». «Almeno hai…». «Potresti accontentarti». «Di chi è la colpa, tua o sua?»

Che le parole siano importanti è ormai banale dirlo, ma mai come in questo caso il linguaggio può essere la chiave di volta per un cambiamento radicale, che partendo dai termini che utilizziamo possa portare con se una piccola, grande rivoluzione nel modo in cui pensiamo l’infertilità e in cui approcciamo le persone che cercano un figlio. Per questo, Ivi, una delle realtà internazionali più importanti nel campo della Pma, assieme all’associazione La Strada per un Sogno e la community Oneofmany ha presentato il Manifesto Il linguaggio della fertilità: non solo un vademecum e una guida per insegnare a tutte le persone coinvolte le parole giuste, ma un vero e proprio “pronto soccorso delle parole” per imparare a costruire, citando Marshall Rosenberg, “finestre e non muri”.

«Questo manifesto nasce non solo come un proclama, nel senso di stare attente alle parole, ma fornisce proprio degli strumenti concreti, perché noi non possiamo partire dal presupposto che gli altri già sappiano cosa devono dire - ha spiegato Vincenza Cimbardi, psicologa clinica della riproduzione e della PMA presso Ivi. - Faccio solo un esempio: invece di dire “fallimento dell’impianto” – perché sappiamo benissimo che la parola “fallimento” evoca sempre qualcosa di drammatico ed è quasi un tabù – possiamo dire “mancato impianto”. Sembra una sfumatura, ma non lo è, perché nell’animo del paziente crea sicuramente una reazione diversa».

Cambiare le parole può essere trasformativo e utile per mutare prospettiva: per questo, il manifesto suggerisce di sostituire ai termini che utilizziamo nuove formule. Non più “Infertilità” ma “difficoltà di concepimento”, non “embrione di scarsa qualità” ma “embrione che non si è sviluppato”, non “utero inospitale” ma “endometrio sottile”. E questi sono solo alcuni degli esempi.

Gli operatori sanitari sono chiamati a considerare il peso delle proprie parole, evitando di suscitare senso di colpa o vergogna, affrontando senza giudizio temi come età, peso, situazione sentimentale. Soprattutto, però, è importante partire dall’empatia “nei toni e nel contenuto”, anche e soprattutto nei casi più critici o problematici. «Noi medici dobbiamo dire la verità, perché deontologicamente non potrebbe essere diversamente, ma una cosa non esclude l’altra - ha spiegato la dottoressa Daniela Galliano di Ivi. - Possiamo dire la realtà delle cose senza usare parole cariche di giudizio: il giudizio deve rimanere fuori dalla porta della nostro ambulatorio e della nostra clinica, perché ce n’è già troppo. Tutti continuano a giudicare il corpo delle donne, la maternità, tutti si sentono in dovere di definire e di giudicare qualcosa che magari neanche conoscono».

Il manifesto si rivolge anche ai giornalisti e agli operatori della comunicazione, che avrebbero il compito di far conoscere questi temi, perché si passi da una narrazione sensazionalistica a un’informazione veritiera, che racconti storie autentiche che possano dare un’idea reale di quello che è davvero l’infertilità, «una delle tante varianti del nostro essere essere umani. L’infertilità è naturale in sé perché è la natura che si è espressa così: si può essere fertile o infertili, ma sempre natura è».

Ma a dover trovare un nuovo linguaggio è anche il mondo amicale e parentale. «Le persone non lo fanno con cattiveria», ha ribadito Martina, ex paziente Ivi che ha condiviso la sua storia. Eppure, spesso feriscono le persone che hanno davanti. Perché non sanno cosa dire e temono il silenzio, allora risolvono con frasi fatte - «degli ansiolitici per chi non sa cosa dire» - provocando disagio e ulteriore sofferenza.

Cosa fare allora? Evitare di rifugiarsi nelle parole vuote e stereotipate per sfuggire dal silenzio e iniziare ad ascoltare è il primo passo. «Mi dispiace che ti stia succedendo questo e sono qui se vuoi parlare» è un ottimo inizio. Così come la frase “magica”: «Come ti posso aiutare? Che sembra banale, ma in realtà è proprio la chiave che entra nella serratura giusta. Se io ti chiedo “come ti posso aiutare?” non sto invalidando il tuo dolore. Non sto invalidando le tue reazioni, ti sto rispettando e ti sto dicendo sono qui per te. Quindi guidami tu: come posso fare io ad aiutarti? Allora è la persona che decide se vuole essere aiutata, perché potrebbe anche non volerlo», ha concluso Cimbardi.

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