Culture

Quello che non si dice della fecondazione assistita

Nel suo libro Cose che non si raccontano, Antonella Lattanzi mette il lettore di fronte agli aspetti meno noti della pratica, all’impossibilità di scelta rispetto agli scenari che prospetta e all’impreparazione emotiva nel gestirli
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9 aprile 2023 Aggiornato alle 13:00

Di libri che raccontano esperienze di fecondazioni assistite riuscite e mancate ne sono usciti tanti in questi anni, a testimonianza del fatto che questa pratica sia diventata non rara, anzi sempre più diffusa, come raccontano i numeri, che segnalano soprattutto un aumento di quella eterologa.

Una pratica che si è fatta strada nel tempo a colpi di sentenze di tribunale contro norme troppo restrittive (legge 40 del 2004) e che si può svolgere, purtroppo, soprattutto all’interno di centri privati.

Parla di fecondazione assistita il libro di Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano (Einaudi), che sia per ciò che è capitato all’autrice, sia per il modo con cui lo racconta, rappresenta un esercizio di riflessione estremo sul tema, perché tocca, e riesce a riportare su pagina, il paradosso drammatico in cui questa pratica può far precipitare.

Una situazione in cui, proprio come in una tragedia greca, nessuna scelta è possibile, a causa dell’imponderabilità della fecondazione assistita, a causa della sua immensa ombra, troppo spesso taciuta dietro un’immagine di efficienza medica, camici bianchi ed embrioni perfettamente congelati.

Già la prima parte del libro suscita un certo sgomento in chi legge perché il desiderio forte e infinito dell’autrice di avere un figlio - che porta avanti questo compito con un impegno morale calvinista - viene messo a dura prova dalla fatica che le cure comportano. Gli spostamenti tra le strutture in varie parti d’Italia, la quantità immensa e indicibile di farmaci che occorre prendere, i tentativi falliti e il relativo strazio, la vita stravolta, i costi, la solitudine perché a prendersi tutto il carico e insieme il dolore può essere uno solo della coppia, come nel suo caso, mentre il compagno è sempre altrove.

E già qui, quando ancora siamo all’inizio, chi legge si sente confuso, si chiede se sia possibile sopportare tutto questo, in nome di che, perché.

La risposta dell’autrice è indiretta ma presente in ogni pagina: è quella speranza, benedetta e maledetta, che ti fa andare avanti, quell’impegno preso in nome di una vita desiderata, pur non senza contraddizioni. Perché, a esempio, Antonella Lattanzi racconta del suo terrore di perdere il lavoro, ma anche quello di avere due gemelli, del fatto che mai potrebbe sopportare un tale carico mentale e pratico.

Eppure quello che la vita le presenta è proprio questo: non due, ma tre gemelli, sviluppatisi in una circostanza eccezionale e rarissima, ovvero da una duplicazione di uno dei embrioni attecchiti. Ma all’autrice non è data neanche la possibilità di accettare questa nuova realtà, di provare ad adeguarsi a una vita con tre figli che lei non vuole in nessuno modo, ma che è sempre meglio dell’alternativa di non averne nessuno, perché questa gravidanza non può essere portata avanti così, rischiano di morire tutti, lei compresa. Va fatta una riduzione del numero di gemelli e questa riduzione è molto rischiosa, la percentuale di riuscita non è alta.

Così, ecco il paradosso dell’impossibilità, cioè una condizione fisica e morale che ti porta quasi a perdere l’equilibrio mentale. Ed è proprio questo secondo me il tema che il libro rende pubblico con forza: la scienza della fecondazione non solo porta fatica, dolore, sfinimento psichico e fisico, ma può metterti in una realtà in cui qualsiasi azione può avere conseguenze catastrofiche, in cui di fatto è impossibile qualunque azione. E questo può accadere perché, appunto, la scienza è andata avanti con troppa velocità, ma il nostro senso morale, la nostra capacità di riflessione non è in grado di includerne tutti gli esiti, soprattutto i più estremi.

Non a caso l’autrice non vuole parlare di ciò che le accade, anche se lo racconta attraverso il libro. Non vuol dirlo, e infatti non lo dice a nessuno, perché quello che sta vivendo è letteralmente indicibile e se lo facesse il dolore potrebbe tracimare ovunque.

Il rischio di trovarsi di fronte a situazioni impensabili e indicidibili, però, andrebbe tenuto presente e ricordato a ogni coppia che decide di affrontare un simile percorso, per onestà, per dovere di verità. E no, non c’entra niente col moralismo, col proibizionismo, con la domanda poco sensata “perché non adottate?”.

Il problema è un altro: è che lo sviluppo della scienza dovrebbe andare di pari passo, ma così non è, con la capacità di riflettere sugli esiti e le conseguenze, perché possano entrare all’interno di un ragionamento etico, perché possano essere pensabili. Senza pensiero non siamo nulla e il libro di Antonella Lattanzi, che un pensiero cerca comunque di trovarlo, anche se a posteriori, nonostante una vicenda veramente incredibile e pagando un prezzo veramente troppo alto, lo testimonia.

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