Diritti

25 novembre, dai social alle piazze: tutti e tutte insieme verso lo sciopero delle donne

Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha dato il via a una mobilitazione fisica e virtuale, che culminerà con le manifestazioni in programma sabato
Credit: Non una di meno 
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
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20 novembre 2023 Aggiornato alle 19:00

“105 donne ammazzate da un uomo da inizio 2023. 22 gli anni di Giulia Cecchettin. La nostra rabbia davanti all’immobilità delle istituzioni pretende ascolto. La nostra rabbia è in movimento”.

Comincia con queste parole il post fermo e diretto che molte attiviste, ma non solo, in queste ore hanno caricato sulle proprie pagine Instagram, accompagnato da uno foto in cui non compare nulla se non il colore rosso. Rosso come il troppo sangue che le donne versano ogni anno per mano di compagni o ex, rosso come la rabbia, che ha preso il posto delle lacrime, sgorgate a fiumi ma per le quali ormai non c’è (quasi) più tempo. Il tempo di oggi è quello delle rivendicazioni.

Fra pochi giorni sarà il 25 novembre, che dal 1999 è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una ricorrenza importantissima ma che troppe volte, negli ultimi anni, si è svuotata di significato, trasformandosi in un giorno buono solo per qualche slogan buttato qua e là, dalla scarsissima utilità sociale e dimenticato nel giro di 24 ore.

L’appuntamento principale di quest’anno sarà sabato 25 novembre, appunto, a Roma con la manifestazione nazionale indetta da Non una di meno, con partenza alle 14:30 dal Circo Massimo. Migliaia le persone attese al corteo capitolino, che però non sarà l’unico. Anche Messina è stata scelta come location della manifestazione nazionale (ore 15:00 da Largo Seggiola), e molte sezioni territoriali dell’associazione si stanno organizzando in diverse città d’Italia, da nord a sud, già in questi giorni, per portare in strada la loro voce.

Le ore che separano da sabato sono scandite dell’incremento degli appuntamenti fisici, dai versi della poesia dell’attivista peruviana Cristina Torres Cáceres Se domani sono io e dalle tante considerazioni social che, dal ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, sono deflagrate in modo dirompente, sintomo di una bomba a orologeria pronta a scoppiare ormai da tempo.

Per questo una manifestazione in piazza non basterà e lo sanno bene tutte le attiviste che si stanno organizzando per fare qualcosa di più, sul modello islandese. Alcune settimane fa in Islanda le donne hanno indetto uno sciopero generale astenendosi dal lavoro fuori casa ma anche tra le mura domestiche, per rivendicare la parità salariale. Il Paese a livello europeo è uno di quelli in cui il gender gap è meno forte ma nonostante ciò tutte o quasi hanno incrociato le braccia per pretendere di più, per pretendere tutto.

Lo stesso che, si spera, possa accadere anche in Italia, per iniziare per lo meno a incrinare quella cultura patriarcale che ogni cosa avvolge e governa.

«Il nostro intento è dare un segnale forte rispetto alla violenza di genere, che è ormai violenza di Stato. Vogliamo riportare la condizione femminile con urgenza nell’agenda politica, perché divario salariale, violenza e discriminazioni sono facce della stessa medaglia e non è più possibile rimandare la questione. Vogliamo scioperare perché solo diventando un problema possiamo sollevare il problema», spiega Ella Marciello, una delle ideatrici della mobilitazione che dal tardo pomeriggio di domenica sta diventando virale, tingendo di rosso sempre più feed su Instagram.

Una mobilitazione imponente come mai prima d’ora, trainata e propiziata allo stesso tempo dal successo cinematografico del momento, il film di Paola Cortellesi C’è ancora domani, che restituisce la voce alle donne di ieri, che con il loro doloroso silenzioso hanno fatto la storia del Paese senza saperlo, come ha detto a più riprese la stessa regista; e spinge quelle di oggi a riaffermarla con forza, anche in loro memoria.

Proprio Cortellesi, nei giorni scorsi, dalle pagine di Vanity Fair ha lanciato un appello a Giorgia Meloni ed Elly Schlein perché mettano da parte le divergenze politiche e lavorino insieme al contrasto dei femminicidi, a partire dalle scuole; e in queste ore, tramite i social, sta rilanciando post sulla vicenda, per chiedere (come tutte) che si faccia di più e che si faccia ora.

A spalleggiarla sono molti altri volti noti, da Federica Pellegrini, che postando una sua foto con il pancione si è rivolta alla figlia che deve ancora nascere dicendole che la costringerà “a sentirsi libera a ogni passo”, a Fiorella Mannoia, Laura Pausini, Barbara D’Urso, Alessia Marcuzzi e molte altre. Tra queste anche Chiara Ferragni, che ha condiviso a più riprese le parole di Elena Cecchettin, soprattutto le ultime pronunciate poche ore fa di fronte alle telecamere, alle quali la sorella di Giulia ha tenuto a ribadire come Turetta “non sia un mostro ma un figlio sano del patriarcato”, una condizione di cui tutti gli uomini, anche quelli non violenti, traggono beneficio.

Uomini chiamati a una presa di coscienza collettiva che molti, trincerandosi dietro un più o meno esplicito “not all man”, fanno ancora fatica ad assumersi, ma che altri iniziano, timidamente, a esercitare. Come Francesco Renga e Claudio Marchisio, che hanno chiesto scusa a Giulia ammettendo che il problema siano gli uomini, o Ermal Meta, che ha parlato del branco e degli uomini che vanno educati, fino a Piero Pelù, che ha scritto “Mi vergogno di essere uomo. Siamo tutti da rifare”.

Tutto questo basterà? No, ma perché la politica prenda finalmente coscienza di un’urgenza non più rimandabile è necessario iniziare e, come ha chiesto Elena Cecchettin, non fare minuti di silenzio ma (simbolicamente) bruciare tutto.

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