Culture

“Se domani non torno”, la poesia virale diventata simbolo di lotta

Scritta nel 2011 dall’attivista peruviana Cristina Torres Cáceres, in questi giorni sta facendo il giro dei social: è diventata lo slogan della manifestazione del 25 novembre contro la violenza sulle donne, organizzata da Non una di meno
Credit: Ozan Safak
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
20 novembre 2023 Aggiornato alle 14:00

“Se domani non torno distruggi tutto”. Un solo grido in queste ore di dolore per il femminicidio di Giulia Cecchettin da parte del suo ex fidanzato Filippo Turetta, riecheggia in tutta Italia. Da quel paesino in provincia di Venezia dove la 22enne viveva, alle grandi città, ai borghi, non c’è luogo fisico ma soprattutto virtuale in cui non si estenda.

Questa frase, infatti, da quando il corpo di Giulia è stato ritrovato senza vita, sta rimbalzando sui profili social di migliaia di persone perpetuandosi come un mantra e diventando l’inno ufficiale di tutte le donne, e si spera molti uomini, che sabato 25 novembre scenderanno in piazza per “distruggere tutto”. Il patriarcato, la cultura dello stupro, l’ipocrisia di un Paese che si ostina a parlare di mostri e bravi ragazzi. Tutto.

Ma da dove vengono quelle parole tanto chiare e per questo perfette per la rivoluzione, usate come slogan anche dall’associazione Non una di meno, organizzatrice dei principali cortei di questi giorni, e ripresa in diversi post anche dalla sorella di Giulia Cecchettin, Elena Cecchettin?

Questa frase è parte di una poesia lunga e dolorosa, scritta dall’attivista e poetessa peruviana Cristina Torres Cáceres nel 2011 a seguito di una forte ondata di violenza nei confronti delle donne che proprio in quell’anno stava colpendo l’America Latina.

Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.

Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.

Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).

Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).

Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).

Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).

Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucia).

Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.

Ti diranno che era giusto, che ero da sola.

Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.

Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.

Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.

Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.

Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.

Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.

Ma, per carità, non legare mia sorella.

Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.

Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.

Sono loro, saranno sempre loro.

Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.

Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.

Combatti perché possano urlare più forte di me.

Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.

Mamma, non piangere le mie ceneri.

Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.

Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

Dopo la pubblicazione di queste frasi sul suo blog, l’attivista è diventata una delle leader del movimento femminista sudamericano, che soprattutto negli ultimi anni ha fatto sentire la propria voce in molti Stati per rivendicazioni fondamentali come il diritto all’aborto. Da lì i suoi versi si sono propagati in diversi angoli del globo, compresa l’Italia, che ne ha fatto a sua volta un manifesto di libertà.

Cristina Torres Cáceres nel testo cita per nome alcune donne uccise per mano di uomini, chi pugnalata, chi chiusa in una valigia, chi trascinata per i capelli.

Tutte vittime 2 volte, dei loro carnefici ma anche di una società che troppo spesso cerca nelle vittime stesse le cause della loro morte. E si rivolge alla madre, in una lettera intima nella quale traspare tutto il dolore non solo per quello che è accaduto alle sue sorelle, ma per ciò che potrebbe accadere a lei. Una lucida analisi dei fatti che in molti casi portano a un unico epilogo del quale tutte, in qualche modo, siamo a rischio.

Le parole di questa poesia descrivono meglio di qualunque editoriale o analisi ciò che può succedere oggi a una donna, in America Latina come in Italia, ma soprattutto quale dovrebbe essere la reazione collettiva per fare in modo di essere l’ultima, se quello dovesse essere il proprio destino: distruggere tutto.

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