Diritti

Islanda: com’è andato lo sciopero delle donne?

Oggi le islandesi si sono “fermate”, a casa e sul posto di lavoro, per reclamare la parità salariale e protestare contro la violenza di genere
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Manifestanti riunite a Reykjavík per lo sciopero delle donne nel 2016

Credit: Arnþór Birkisson. 
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
24 ottobre 2023 Aggiornato alle 17:00

Non esiste un Paese al mondo in cui uomini e donne sono uguali. Ce n’è uno, però, che ci si avvicina molto. In testa alla classifica globale del Gender Gap del World Economic Forum 2023 per il 14° anno consecutivo, con un punteggio del 91,2%, l’Islanda ha fatto della riduzione del divario di genere un tratto costituivo della sua identità. Un risultato ben lontano da quello dell’Italia, che con il 70,5% quest’anno si è fermata al 79° posto, perdendo ben 16 posizioni dal 2022.

Eppure, sono state proprio le donne e le persone non binarie islandesi che, al grido di «Questa la chiamate uguaglianza» hanno incrociate le braccia oggi, nel 7° sciopero femminile della storia del Paese e a quasi 50 anni dal Kvennafrí (“giorno libero delle donne”), lo sciopero di un’intera giornata che nel 1975 registrò un’affluenza del 90% e portò a una trasformazione profonda dell’Islanda, tra cui l’elezione della prima Presidente donna al mondo.

Lo hanno fatto astenendosi dal lavoro retribuito e quello non per protestare contro il gender pay gap e la violenza di genere: in alcune professioni, infatti, le donne islandesi guadagnano ancora il 21% in meno rispetto agli uomini e oltre 4 donne su 10 hanno subito violenza di genere o sessuale. Tra loro, la prima ministra Katrín Jakobsdóttir, che ha partecipato all’ Ilkvennaverkfall lo “sciopero delle donne”.

In un tweet, anche il presidente dell’Islanda Guðni Th. Jóhannesson ha scritto che “Le donne in Islanda scioperano oggi, per la settima volta dal famoso #womensdayoff del 1975. Il loro attivismo per l’uguaglianza ha cambiato in meglio la società islandese e continua a farlo anche oggi. #Kvennaverkfall”.

Niente cartellini, niente riunioni e serrande abbassate, ma anche niente aspirapolvere, lavatrici e assistenza a bambini o anziani: perché il lavoro non è solo quello professionale, ma anche le tantissime attività di cura e il carico mentale di cui le donne si fanno carico, gratuitamente, ogni giorno. Anche nel Paese in cui sono (quasi) uguali agli uomini. E dove alcune, nonostante l’intenzione di partecipare allo sciopero, hanno iniziato a prepararsi in anticipo per rendere la vita più facile agli uomini durante la loro assenza.

«Stamattina c’era una notevole differenza nel traffico, i servizi pubblici sono molto limitati, molti negozi sono chiusi, ecc. quindi lo sciopero delle donne è decisamente diffuso» ha detto Freyja Steingrímsdóttir, una delle organizzatrici. Nei negozi si vedono solo uomini, ma nessuna dipendente. E l’impatto dello sciopero si fa sentire anche sul traffico: in 66 punti di misurazione a Reykjavík questa mattina è stato inferiore di circa il 28% rispetto allo stesso periodo della settimana scorsa, riferisce il quotidiano islandese Morgunblaðið citato dal Guardian.

Un avviso sul sito web della città di Reykjavik avvertiva che lo sciopero avrebbe avuto un impatto considerevole sulle operazioni e sui servizi della città, poiché circa il 75% dei dipendenti della città sono donne. I servizi per i gruppi vulnerabili non sono stati interessati, ma piscine, scuole e musei saranno chiusi o ridotti: a esempio, 59 scuole primarie sono rimaste chiuse.

10 città islandesi si sono date appuntamento in piazza. Nella capitale Reykjavík, dove erano attese almeno 25.000 persone, migliaia di donne si sono incontrate per sfilare tra le vie della città.

E mentre le donne scioperano, riporta la live del Guardian, il Governo ha annunciato sovvenzioni per sei progetti che promuovono l’uguaglianza. Questi includeranno una nuova campagna HeForShe, un progetto sulla vita e il lavoro di artiste e artiste queer, e la sensibilizzazione sull’endometriosi.

La legge islandese del 2017 impone alle società e alle aziende di certificare che, a parità di mansioni lavorative, lo stipendio di uomini e donne sia uguale. Questo, però, non riesce a garantire l’eliminazione del gender gap retributivo: secondo i dati, infatti, nei settori dove le lavoratrici sono la maggioranza, come quello dell’assistenza e delle pulizie, gli stipendi sarebbero tra i più bassi nel mercato del lavoro. Questo, spiegano le organizzatrici dello sciopero che hanno chiesto di rendere pubblici gli stipendi nel settore, contribuisce a mantenere le donne in una condizione di subalternità economica rispetto agli uomini.

Una condizione che riguarda soprattutto le donne straniere e che nelle prime ore dello sciopero aveva fatto nascere il timore che non tutte, nonostante la volontà, avrebbero potuto partecipare alle proteste: «Ciò che ci preoccupa è sperare che tutte coloro che vogliono partecipare partecipino, comprese le lavoratrici straniere. Abbiamo esercitato pressioni sui datori di lavoro affinché non penalizzino i dipendenti in caso di sciopero e incoraggino le donne a scioperare», ha detto Tatjana Latinovic, presidente dell’associazione islandese per i diritti delle donne (IWRA), ricordando che ci sono 39.000 donne straniere che vivono in Islanda, circa il 18% della popolazione femminile complessiva del Paese.

«Ci hanno sempre detto che siamo il Paese più evoluto e che dovevamo essere soddisfatte - ha continuato Steingrímsdóttir - Invece, dobbiamo essere ambiziose, rinnovare la nostra lotta ed essere un modello».

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