Diritti

Aborto farmacologico: i numerosi ritardi dell’Italia

In occasione dell’International Safe Abortion Day, la rete Medici del Mondo ha pubblicato dati e testimonianze che evidenziano le difficoltà per le donne nel contattare consultori e interfacciarsi con gli obiettori
Credit: FreePik
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
28 settembre 2023 Aggiornato alle 10:30

L’accesso all’aborto sicuro è una componente fondamentale della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi. Eppure, esistono ancora forti disuguaglianze nell’accesso alle cure abortive, soprattutto in Italia. In occasione della Giornata internazionale per l’aborto sicuro, che si celebra in tutto il mondo oggi, 28 settembre, la rete internazionale Medici del Mondo ha pubblicato il rapporto Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali, per mostrare luci e ombre della situazione nel nostro Paese.

Dati, interviste e testimonianze di personale sanitario, attiviste e pazienti sottolineano le numerose difficoltà nel contattare i consultori, reperire informazioni sull’aborto farmacologico e sull’iter per accedervi, nell’interfacciarsi con l’obiezione di coscienza e con la controinformazione scientifica. I tempi per ottenere un appuntamento, in Italia, sono ancora troppo lunghi per convivere con le 9 (in alcune regioni ancora 7) settimane permesse dalla legge per accedere all’aborto farmacologico. Le donne affrontano ancora oggi un grande stigma sociale relativo all’interruzione di gravidanza.

“L’aborto non sicuro è una delle principali cause di mortalità materna a livello internazionale”, spiega il rapporto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di 39.000 decessi l’anno, con 7 milioni di persone costrette all’ospedalizzazione. Delle circa 121 milioni di gravidanze indesiderate che si verificano ogni anno nel mondo, infatti, il 60% si conclude con un aborto, di cui l’impressionante 45% avviene in condizioni non sicure, a causa dell’accesso limitato al servizio.

In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza “è una prestazione ancora fortemente ostacolata”, nonostante sia sancita dalla legge 194 del 1978, che sulla carta consente a ogni donna di richiederla entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Tuttavia, l’articolo 9 prevede che “il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 e agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”. Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2020 si è dichiarato obiettore il 64,6% dei ginecologi, il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico.

Ma si tratta di dati non esaustivi non aggiornati (si riferiscono a ben 3 anni fa) e, come ha rilevato la ricerca Mai dati dell’Associazione Luca Coscioni, curata da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, si tratta di numeri che non mostrano le forti differenze tra le Regioni e le strutture italiane: risulta infatti che in Italia in 22 ospedali (e 4 consultori) la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%, mentre in 72 è tra l’80 e il 100%. Inoltre, in 18 ospedali si arriva al 100% di ginecologi obiettori.

La pillola abortiva in Italia è arrivata solo il 10 dicembre 2009; i dati mostrano che, negli anni, “sempre più persone l’hanno preferita al metodo chirurgico, passando dallo 0,7% nel 2010, al 20,8% nel 2018, fino al 31,9% nel 2020, con le percentuali più elevate registrate in Liguria (54,8%), Basilicata (52,5%) e Piemonte (51,6%)”. Si tratta, però, di numeri molto distanti da quelli registrati negli altri Paesi europei: in Francia la RU486 è stata introdotta nel 1988, in Inghilterra nel 1990. Qui gli aborti farmacologici sono oltre il 70% del totale e possono essere effettuati fino alla 9° settimana di gravidanza e in regime di day hospital, “possibilità che in Italia è stata introdotta solo nel 2020 con l’aggiornamento, da parte del Ministero della Salute, delle Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza”.

La campagna The Impossible Pill, in un viaggio dalla Sicilia fino alla cima del Monte Bianco, denuncia le difficoltà di accesso alle cure abortive attraverso l’ironia della testimonial Laura Formenti, comica e performer che vive in prima persona il percorso a ostacoli che ogni donna deve affrontare se decide di abortire. Nel suo itinerario, Formenti incontra le associazioni e le attiviste che sostengono e difendono il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza: da Maghweb, a Palermo, passando per il movimento femminista Non Una di Meno, ad Ancona; quindi a Bologna con il collettivo Mujeres Libres, e a Torino con Tullia Todros, l’ex Primaria del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Sant’Anna. Non manca il prezioso contributo della psicologa e attivista Federica di Martino, fondatrice del gruppo IVG, ho abortito e sto benissimo!.

Le testimonianze raccolte nel rapporto parlano di viaggi interminabili (ma inevitabili, considerando i dati ufficiali e ufficiosi sugli obiettori di coscienza sparsi in tutta Italia) per raggiungere un ospedale che effettui aborti farmacologici, personale sgarbato che fornisce informazioni superficiali e talvolta scorrette sulle procedure da seguire, grave carenza di informazioni precise sull’accesso alla pratica, evidenti disuguaglianze regionali. Inoltre, la maggior parte dei protocolli emanati nelle Regioni italiane esige il controllo della procedura da parte delle strutture sanitarie, ma le indicazioni dell’Oms raccomandano la deospedalizzazione e l’autogestione dell’aborto farmacologico.

Medici del Mondo conclude il rapporto con una raccomandazione al Ministero della Salute: “monitorare e assicurare da parte di tutte le Regioni italiane la ricezione delle linee di indirizzo emanate nel 2020 in tema di aborto farmacologico, nella loro interezza: la regolamentazione delle procedure abortive non può seguire logiche di tipo politico, ma solo criteri medico-scientifici”.

Leggi anche
Giugno 2023, Polonia: una donna durante una manifestazione al grido di "Non una in più!" (Ani Jednej Wiecej!) per protestare contro l'inasprimento della legge per l'aborto
Gravidanza
di Elena Magagnoli 6 min lettura
Gravidanza
di Azzurra Rinaldi 4 min lettura