Diritti

La “stanza per l’ascolto” per (far rinunciare) chi vuole abortire

L’iniziativa nasce dalla convenzione tra Città della Salute e Movimento per la vita. «L’ennesima pratica violenta contro le donne» spiega Federica Di Martino di IVG, ho abortito e sto benissimo a La Svolta
Credit: Molly Blackbird
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
1 agosto 2023 Aggiornato alle 20:00

“Sì alle tutele, no ai tutori”. In molti e molte stanno reagendo con questo slogan, sui social, all’annuncio della nascita di una stanza “dedicata a fornire supporto e ascolto a donne incinte” che vorrebbero abortire. Lo spazio dovrebbe sorgere al Sant’Anna di Torino, l’Ospedale Ostetrico Ginecologico specializzato in problemi legati alle fasi riproduttive della donna. In Piemonte è quello in cui si effettua il maggior numero di interruzioni di gravidanza, con circa 2.500 casi nel 2021 (il 90% delle Ivg effettuate a Torino e circa il 50% di quelle a livello regionale).

L’iniziativa nasce da una convenzione firmata il 31 luglio 2023 tra l’Azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, meglio nota come Città della Salute e della Scienza, e la Federazione Movimento per la vita, una rete di associazioni antiabortiste che conta 10.000 volontari e 431 sedi in tutta Italia.

La “stanza per l’ascolto” si pone l’obiettivo di contribuire “a far superare le cause che potrebbero indurre alla interruzione della gravidanza”. Alla firma dell’accordo era presente una schiera quasi interamente al maschile, in cui spiccavano l’Assessore alle Politiche Sociali della Regione Piemonte Maurizio Marrone, il Direttore generale dell’Aou Città della Salute Giovanni La Valle, il Direttore Sanitario dell’Ospedale Sant’Anna Umberto Fiandra e il presidente regionale della Federazione del Movimento per la Vita Claudio Larocca.

«Ci troviamo di fronte all’ennesima pratica violenta che viene messa in campo a scapito delle donne e a scapito del diritto non solo di aborto, ma di autodeterminazione sui nostri corpi, sulla nostra fertilità e sulle nostre scelte», spiega a La Svolta Federica Di Martino, psicologa e psicoterapeuta che, nel 2018, insieme alla ginecologa Elisabetta Canitano, ha creato la piattaforma IVG, ho abortito e sto benissimo.

«Parliamo di uno strumento che inevitabilmente costringe le donne a doversi interfacciare con delle persone, senza che ovviamente nessuno gliel’abbia chiesto, per contestare e mettere bocca per l’ennesima volta sulle nostre scelte riproduttive» L’idea alla base dell’iniziativa è che «le donne non abbiano evidentemente pensato a quelle che sono le loro scelte e motivazioni, se ogni volta devono rendere conto a qualcuno e confrontarsi con qualcuno rispetto alle loro scelte».

Silvio Viale, ginecologo al Sant’Anna e capogruppo dei Radicali al Comune di Torino, ha scritto sulla sua pagina Facebook di non essere stato informato da nessuno della decisione, e ha rassicurato: “Di certo non ci sarà nessuna ‘stanza’ del Movimento per la Vita lungo il percorso delle donne che decidono di abortire per qualunque ragione prima e dopo i 90 giorni. Le prenotazioni si continueranno a dare di persona al Day Hospital senza che gli attivisti antiabortisti possano molestare le donne”.

Viale spiega che i presidi antiabortisti davanti all’ospedale non sono una novità, ma solitamente le donne “passano oltre senza badare”. “Se la Direzione Generale vuole dare una sede al Movimento per la Vita questa deve essere il più lontano possibile dai reparti. Se una donna vuole un consulto da loro, potrà continuare a farlo, come accade adesso rivolgendosi direttamente alle loro sedi, ma non accetteremo interferenze e molestie”.

Su Twitter è partita la mobilitazione social contro l’accordo promossa dall’Ufficio Politiche di genere della CGIL nazionale, con gli hashtag #Liberediscegliere e lo slogan “Sì alle tutele, no ai tutori”. Quella di riservare una stanza al Movimento per la Vita è una “decisione grave che mette a rischio la libertà di scelta delle donne”. Anna Poggio, segreteria Cgil Piemonte ed Elena Ferro, segreteria Cgil Torino, “chiedono la revoca immediata della convenzione”.

Che cos’è la “stanza per l’ascolto”? Uno spazio che, secondo i piani della Regione, verrà collocato al quarto piano di una palazzina in fase di ristrutturazione del Sant’Anna, e che non sarà pronto prima di settembre. In questa stanza i volontari, spiega una nota sul sito dell’ospedale, “forniscono supporto e ascolto a donne gestanti che ne abbiano necessità, nell’ambito di un più generale percorso di sostegno durante e dopo la gravidanza alle donne che vivono il momento con difficoltà e che potrebbero quindi prendere in considerazione la scelta dell’interruzione di gravidanza o che addirittura si sentono costrette a ricorrervi per mancanza di aiuti”.

Il movimento abortista definisce questo accordo “un passaggio storico molto importante per l’autentica tutela della donna, della maternità e della vita che mi auguro diventi un buon esempio per altre realtà in Italia, anche alla luce della grave emergenza demografica”. In un post su Facebook spiegano che si impegneranno perché “ogni donna, se lo richiederà, possa valutare alternative che non la facciano sentire costretta a ricorrere all’aborto, permettendole di non essere sola e di avere così la forza e i mezzi per accogliere il proprio figlio”.

La Regione Piemonte la definisce un’iniziativa di “supporto e ascolto alle future mamme”, che nasce per rimediare alla «drammatica sconfitta delle istituzioni» che si verifica «ogni volta che una donna abortisce perché si è sentita abbandonata di fronte alla sfida della maternità». Sono le parole dell’assessore alle Politiche sociali e dell’integrazione socio-sanitaria Maurizio Marrone, di Fratelli d’Italia, nominato assessore regionale dal presidente Alberto Cirio, che guida la regione Piemonte dal 2019.

«Per questa ragione aprire nel principale ospedale ostetrico-ginecologico del Piemonte uno spazio dove donne e coppie in difficoltà possano trovare aiuto nei progetti a sostegno della vita nascente è una conquista sociale per tutta la comunità, soprattutto in questa stagione di preoccupante inverno demografico», ha aggiunto.

La convenzione «completa il ciclo di iniziative lanciate dal 2020 con lo stop alla RU486 nei consultori raccomandata dalle linee guida Speranza, con la registrazione dei Centri di aiuto alla vita presso le Asl e l’avvio del fondo regionale “Vita nascente”». Queste azioni, secondo Marrone, consacrano il Piemonte «come avanguardia della tutela sociale della maternità, che diverse altre regioni italiane stanno prendendo a modello».

“Vita Nascente è l’iniziativa della Regione Piemonte che sostiene concretamente le donne in difficoltà che stanno per diventare mamme o lo sono appena diventate”, spiega il sito istituzionale. «I soldi stanziati dalla Regione per queste iniziative sono fondi pubblici - spiega Di Martino - Nel biennio 2021-22 erano 460.000 €, che adesso sono addirittura raddoppiati: quest’anno il fondo ha a disposizione 1 milione di euro che verranno stanziati per iniziative di questo e di altro tipo. Non possiamo pensare che una Regione diventi ostaggio delle associazioni e dei gruppi antiabortisti».

Non si tratta di una tendenza unicamente piemontese, anzi: «È inevitabile che quello che stiamo oggi vedendo nella Regione Piemonte è quello che ieri abbiamo visto nella Regione Marche, o in Umbria, e che vedremo in tantissime altre regioni». Quel che sottolinea Di Martino è la «replicabilità di alcune misure all’interno di altre regioni: a esempio, in Umbria, si sta già parlando di riprodurre il fondo Vita Nascente. Si tratta di “laboratori” dei movimenti anti scelta e di quelle che sono le azioni antiabortiste, ma a me sembra che l’Italia intera stia diventando un laboratorio di diritto o di negazione dei diritti fondamentali».

La stanza per l’ascolto, quindi, è una novità? «Nella nostra pagina abbiamo registrato due storie, in particolare, avvenute a Napoli e abbiamo raccolto testimonianze di persone che sono state accompagnate in una stanza in cui veniva fatto loro “il terzo grado” - spiega Di Martino - Le donne, circondate da santini e candele, vengono “interrogate” rispetto alla loro scelta di abortire, viene chiesto loro se siano sicure, addirittura vengono anche offerti dei soldi. All’interno dei reparti, poi, c’è anche la pratica dell’ascolto del battito fetale cardiaco, di cui si sta parlando molto ora, a seguito di proposte di legge e iniziative popolari a riguardo. Ma le persone ci raccontano che accadeva già 20 anni fa, c’è un piano di informalità in cui queste cose avvengono e queste cose avvengono laddove non c’è regolamentazione e laddove non si riconosce la laicità dello Stato e delle istituzioni sanitarie pubbliche».

Di fatto, denuncia Di Martino, «è qualcosa che è già avvenuto, che sta avvenendo e che avviene quotidianamente».

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