Futuro

Come trasformare la plastica in idrogeno e grafene

I ricercatori della Rice University (Texas) hanno impiegato il riscaldamento flash Joule per la vaporizzazione dell’H2 (ricavato dai materiali plastici) e la sua separazione dalla molecola RF 2GETN8R
Immagine al microscopio elettronico a scansione di pile stratificate di fogli di grafene su scala nanometrica formati da rifiuti in plastica
Immagine al microscopio elettronico a scansione di pile stratificate di fogli di grafene su scala nanometrica formati da rifiuti in plastica Credit: Kevin Wyss/Tour lab
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21 settembre 2023 Aggiornato alle 10:30

La creazione di idrogeno dai rifiuti di plastica potrebbe ripagarsi da sola. È la conclusione a cui sono giunti gli scienziati della Rice University di Houston, in Texas, attraverso la sperimentazione di un metodo a basse emissioni e a costo zero. L’indagine è stata pubblicata su Advanced Materials.

Da qualche tempo infatti l’idrogeno (H2) è indicato da più parti come una promettente alternativa ai combustibili fossili inquinanti: il problema è che utilizzarlo genera troppa anidride carbonica e costa molto. Basti considerare che la quota di idrogeno usata in tutto il mondo nel 2022 ammonta a quasi 100 milioni di tonnellate ma la gran parte è derivata da fossili e ha prodotto 12 tonnellate di CO2 per ogni tonnellata di idrogeno.

Oggi l’H2 più “gettonato” è il “grigio”, frutto della sintesi operata tramite il reforming del metano a vapore, una procedura che ha il difetto di essere molto inquinante: se operata in larga scala, come sembra il mercato richieda, nei prossimi decenni non contribuirà certo al raggiungimento del traguardo delle zero emissioni nette entro il 2050.

Così, nell’ottica di trovare soluzioni, i ricercatori dell’ateneo americano sono riusciti a trasformare tutti i rifiuti in plastica, inclusi quelli misti, in idrogeno gassoso a elevato rendimento e in grafene di alto valore. Kevin Wyss, dottorando e autore principale dello studio, ha spiegato: «Se il grafene così prodotto venisse venduto solo al 5% del valore corrente di mercato, con uno sconto quindi del 95%, l’idrogeno pulito potrebbe essere prodotto gratuitamente».

Il metodo analizzato è questo. La spazzatura viene sottoposta al sistema di riscaldamento rapido Joule, talmente veloce da essere chiamato “flash”: dura circa 4 secondi e avviene alla temperatura di 3.100 gradi Kelvin. Il risultato è la vaporizzazione dell’idrogeno ricavato dai materiali plastici e la sua separazione dal grafene.

Per portare a termine queste ricerche sono stati fondamentali i finanziamenti del corpo degli ingegneri dell’esercito degli Stati Uniti e inoltre è stato coinvolto il laboratorio Tour, che si è occupato di mettere a disposizione la strumentazione necessaria, soprattutto al fine di poter trattare il gas vaporizzato, un’operazione che richiede una certa specializzazione tecnica.

L’idea è nata osservando i gas volatili liberati dal reattore durante i primi test con il riscaldamento flash Joule, tentati per riciclare la plastica di scarto e ottenere grafene: «Ci siamo chiesti cosa fossero, sospettando un mix di piccoli idrocarburi e idrogeno, ma mancava l’attrezzatura per studiare la loro esatta composizione - ha raccontato Wyss - Sappiamo che il polietilene, a esempio, è composto per l’86% da carbonio e per il 14% da idrogeno e abbiamo dimostrato che siamo in grado di recuperare fino al 68% di quell’idrogeno atomico in forma di gas con una purezza del 94%».

In Italia intanto si guarda alla cosiddetta idrogassificazione, una tecnica che sfrutta l’H2 per convertire i rifiuti in metano. Parallelamente si mettono a punto le regole per produrre l’idrogeno verde, vagliando i parametri di sicurezza per la costruzione degli elettrolizzatori, ubicazione dell’attività, distanze e sistemi antigas.

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