Ambiente

Stop Euro 5 in Piemonte. Torino Respira: «Siamo in ritardo di 20 anni»

La misura suona «improvvisa» ma il tema esiste da tempo: «Le autorità hanno messo la testa sotto la sabbia davanti al problema», spiega a La Svolta Roberto Mezzalama, presidente del comitato cittadino
Credit: ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
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30 agosto 2023 Aggiornato alle 07:00

Sullo stop del Piemonte alla circolazione delle auto diesel Euro 5, che sta suscitando polemiche, il Comitato Torino Respira è molto chiaro: «Dobbiamo ridurre l’inquinamento da traffico per proteggere la salute dei cittadini, non perché ce lo chiede l’Unione europea. Paghiamo vent’anni di ritardi della politica».

Al centro del dibattito c’è proprio la regione in cui Chiara e il suo compagno, genitori di un bimbo che soffre di problemi polmonari cronici, hanno portato in tribunale il diritto all’aria pulita. Non solo: si tratta dell’unica regione d’Italia che ha visto i suoi vertici e alcuni ex sindaci di Torino sotto indagine per non aver attivato misure utili a combattere lo smog.

Ora il Piemonte, primo a farlo in Italia, è pronto a fermare circa 140.000 Euro 5 nei giorni feriali dal 15 settembre 2023 al 15 aprile 2024 in 76 Comuni, capoluogo incluso.

La misura sta destando sia malumori dei cittadini possessori di questi veicoli, dei lavoratori e dei commercianti sia dichiarazioni da parte di figure politiche che vanno nella direzione di scaricare la responsabilità della decisione sulle direttive dell’Ue, in seguito alla procedura d’infrazione imposta all’Italia per violazione dei limiti dell’inquinamento atmosferico. Non manca il disappunto dei municipi: la prima cittadina di Settimo Torinese Elena Piastra ha sottolineato che chi dovrà andare nel capoluogo con i bus e senza auto vivrà “un’odissea”.

Tra gli aiuti previsti dalla Regione a sostegno del provvedimento ci sono la promozione della mobilità sostenibile a favore di mezzi pubblici, piste ciclabili e aree pedonali, la creazione di aree Ztl e posteggi a pagamento, la sensibilizzazione della cittadinanza. Inoltre è stato lanciato un bando da 9 milioni di euro per incentivare la rottamazione mentre, per la circolazione, è stato preso a modello il progetto sperimentale della Lombardia “Move-In”. «Il problema più grosso è stato mettere la testa sotto la sabbia finora”, ci spiega Roberto Mezzalama, presidente del Comitato Torino Respira.

Il blocco degli Euro 5 è stato annunciato in maniera troppo improvvisa?

Indubitabilmente sì. Il problema che c’è sempre con queste misure è che nessuno spiega mai bene perché si fanno e anzi si cerca di attribuire le colpe all’Unione europea mentre le colpe sono fondamentalmente degli amministratori e dei ministri italiani, perché i limiti di legge dovevano essere raggiunti nel 2005 - legge che peraltro è stata approvata dalle autorità italiane - e non l’abbiamo fatto. Abbiamo tre procedure di infrazione che rischiano di costarci centinaia di milioni di euro. Inoltre tutto questo viene trattato come un problema emergenziale, ma in realtà è un problema strutturale che non andrebbe affrontato all’ultimo momento. Bisognerebbe spiegare che l’Italia è il Paese più inquinato in Europa, fa più di 60.000 morti l’anno per via dell’inquinamento, ha il più alto tasso di motorizzazione in Europa a parte il Lussemburgo, ha il parco auto più grande pro-capite nel continente e il più vecchio almeno tra i Paesi dell’Europa occidentale.

Come valutate il Piano di aiuti annunciato dalla Regione?

Ovviamente, essendo un problema affrontato all’ultimo momento, anche il tema degli aiuti è gestito di corsa. Intanto c’è da osservare una cosa: la Regione Piemonte aveva già stanziato 9 milioni per la sostituzione dei veicoli commerciali. Di questi, ne sono stati utilizzati più o meno la metà. Quindi il primo quesito da porsi è come mai le misure di aiuto che sono già state varate non hanno funzionato. Poi, uno degli aiuti è il famoso Move-In, un meccanismo abbastanza perverso su cui noi siamo molto critici: è stato inventato dalla Regione Lombardia, teoricamente per bloccare i veicoli in un certo numero di chilometri. Se abbiamo capito bene le intenzioni della Regione Piemonte, il meccanismo attuale è concedere agli Euro 5 fino a 9.000 km di percorrenza l’anno. Se teniamo conto che la percorrenza media delle macchine in Italia è intorno ai 10.700 km, vuol dire che in realtà in termini di emissioni abbiamo risparmiato il 15%, non un grande risultato: quindi è un blocco per modo di dire. Sugli incentivi per la rottamazione intanto occorrerebbe pensare a incentivi per chi dismette completamente la macchina, non per chi la sostituisce con un’altra auto, perché l’obiettivo è ridurre il numero assoluto di auto.

Quali potrebbero essere le misure di sostegno più indicate per accompagnare una misura come questa?

Dal nostro punto di vista i blocchi stagionali servono abbastanza poco e peraltro è anche dimostrato. Bisogna affrontare il problema strutturale legato al fatto che le emissioni di biossido di azoto dovute al trasporto a Torino, a esempio, sono il 70% del totale. La prima soluzione è il potenziamento del trasporto pubblico in maniera molto significativa e senza aspettare la metro due: vuol dire più linee e più frequenza, quindi migliori collegamenti con la cintura. Ho sentito l’affermazione della sindaca di Settimo, che non condivido completamente, ma sicuramente su un fatto ha ragione: viaggiare dalla cintura a Torino e soprattutto poi tra i Comuni della cintura è praticamente impossibile. Dunque serve il potenziamento della mobilità attiva: piste ciclabili, percorsi pedonali, insomma tragitti ciclopedonali protetti. Il terzo punto è la riduzione della velocità in città, perché è dimostrato che le “Città 30” riducono sia l’inquinamento sia il ricorso all’auto privata: nel momento in cui devo andare a 30 km all’ora mi rendo conto abbastanza facilmente che a quel punto mi conviene andare in bicicletta o a piedi. La quarta misura che forse sta in cima a tutte quante è la comunicazione sulle ragioni per le quali bisogna prendere questo tipo di decisioni.

Quali sono i maggiori fallimenti degli ultimi 20 anni nelle politiche anti-inquinamento?

I fallimenti sono molti, ma fondamentalmente sono legati al fatto che per tanti anni si è fatto finta che questo problema non esistesse. Per esempio, andando a guardare gli archivi della giunta comunale di Torino, passano interi anni nei quali non c’è neanche una delibera che parla di qualità dell’aria e molte delle azioni che sono state messe in campo non hanno mai avuto una valutazione degli effetti che sono stati ottenuti. Quando lei chiede a qualunque assessore che cosa è stato fatto, le fa un lungo elenco di cose e uno rimane anche abbastanza impressionato ma poi nessuno è in grado di dire di quanto si sono ridotte le emissioni in atmosfera in seguito a ogni singola azione, perché nessuno si preoccupa di fare previsioni e monitoraggi. Quindi noi oggi ragioniamo su dati ufficiali di emissione che risalgono al 2015 e il piano regionale di qualità dell’aria è stato fatto sulla base di dati del 2013.

Quindi abbiamo dati vecchi di 10 anni. Se facessimo il bilancio economico-finanziario della Regione e del Comune utilizzando i dati del 2013 ci metterebbero in galera domani mattina. Il problema più grosso è stato mettere la testa sotto la sabbia, non affrontare la questione e lasciare sostanzialmente che la cosa si risolvesse da sé. È vero che le emissioni si sono anche ridotte ma è successo perché la tanto vituperata Unione europea ha fatto le direttive sulla qualità dei carburanti e sulle emissioni dai mezzi di trasporto: la riduzione di biossido di zolfo non è avvenuta grazie né ai sindaci né ai Presidenti delle regioni italiane, ma perché l’Ue ha eliminato praticamente lo zolfo dai combustibili e il piombo, così come ha ridotto significativamente le emissioni, passando attraverso le varie normative europee che, ricordo, sono nate nel 1993.

Se i responsabili dello smog sono soprattutto le emissioni del traffico e dell’agricoltura, cosa si può fare per migliorare la situazione?

Per il traffico, l’obiettivo è togliere dalla strada qualche milione di auto: dei 39 milioni di macchine che abbiamo bisognerebbe arrivare intorno ai 25 per stare in una situazione più tranquilla. Invece il problema dell’agricoltura è legato alla gestione degli allevamenti intensivi che andrebbero ridotti, ma soprattutto ai liquami zootecnici e ai fertilizzanti chimici, quelli azotati. Il consumo di carne è eccessivo: la carne viene dagli allevamenti intensivi dove concentriamo migliaia e migliaia di capi e poi ne dobbiamo gestire appunto i liquami. Bisogna fare degli investimenti per la gestione di questi ultimi, in modo da ridurre sia l’ammoniaca sia il metano, che come tutti gli inquinanti genera CO2 e quindi contribuisce all’effetto serra.

È vero che il riscaldamento domestico e le attività industriali sono meno “colpevoli” di quanto si pensi?

L’industria, essendo andati incontro a un processo di deindustrializzazione piuttosto massiccio, ha ridotto il suo contributo all’inquinamento atmosferico, quantomeno in provincia di Torino e in Piemonte. I dati dicono questo. Rimangono alcuni contributi importanti da parte di alcune industrie selezionate sulla produzione energetica, ma sono problemi che si stanno affrontando. Il riscaldamento domestico è un tema: soprattutto le stufe a legna contribuiscono all’emissione di particolato primario, che però rappresenta solo un terzo del problema del particolato totale. Quindi è giusto occuparsene, però da solo non porta assolutamente ai risultati di cui abbiamo bisogno.

Che si può fare per creare un sentimento culturale positivo attorno alla transizione ecologica?

Sul tema del sentiment rispetto alla transizione ecologica siamo in un momento molto delicato e pericoloso perché alcune parti della società si stanno saldando intorno a una narrazione completamente negativa. Leggevo il titolo de La Verità che diceva «Solo i ricchi possono essere green». Tutte le volte che alcuni ministri aprono bocca, lo fanno solo per dire che la transizione ecologica è un disastro e che ci renderà tutti più poveri e infelici. Quando parliamo di transizione ecologica, dev’essere vista come una grande liberazione da tutta una serie di giochi che ci siamo autoinflitti, il primo dei quali è appunto avere tutte queste macchine che ci costano - come dice l’Aci - fino a 5.000 euro l’una l’anno. Questo è un costo molto importante per chi ha redditi bassi.

In secondo luogo abbiamo tutta una serie di abitudini di consumo che in realtà sono una costrizione: ormai abbiamo perso la capacità di fare altro durante il week-end che non infilarci dentro un centro commerciale e renderci conto di quanto poco possiamo spendere. Quindi c’è una questione appunto di narrazione della transizione ecologica, descritta come una cosa imposta dall’Unione europea che provocherà povertà e infelicità. Ma in realtà i Paesi che hanno imboccato questa strada più decisamente di noi normalmente hanno una qualità della vita superiore: bisogna guardare a loro come esempi positivi e non presentarli in una luce negativa.

Quali sono le prossime iniziative del Comitato Torino Respira?

Le prossime mosse in parte dipendono dalla Regione Piemonte perché su tutte queste misure, dall’uso del Move-In al resto, non rinunceremo a dare battaglia e a fare azioni legali se riterremo che siano negative o controproducenti. Stiamo pensando a delle segnalazioni che riguardano anche il tema dei diritti umani in Pianura Padana, in particolare il diritto all’aria pulita, cosa che probabilmente non potremo fare in sede nazionale ma che dovremo portare avanti in ambito internazionale. Fra poche settimane scadranno i termini per la presentazione delle memorie degli indagati per il processo penale: ci sarà un’evoluzione rispetto al processo civile in cui abbiamo sostenuto la causa del figlio di Chiara.

E poi pensiamo con l’autunno di presentare la sintesi di 5 anni di rilevamento civico della qualità dell’aria fatto dai cittadini e stiamo pensando anche alle campagne per il rilevamento dell’ozono, perché una delle false narrazioni è che il problema dell’inquinamento ci sia solo d’inverno. In realtà d’estate c’è l’ozono che è altrettanto pericoloso e nei giorni di caldo estremo, infatti, sono usciti una serie di bollettini dell’Arpa che indicavano il rischio sanitario combinato tra alte temperature e alte concentrazioni di ozono. Beh, è un rischio molto alto.

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