Economia

Ma tu, sei felice?

Il nuovo World Happiness Report ci indica la via per la felicità. Che (spoiler) passa per l’altruismo
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 5 min lettura
15 agosto 2023 Aggiornato alle 06:30

La mia figlia più piccola Bianca, che ora ha 7 anni, fino a qualche anno fa aveva l’abitudine di fare a suo padre una domanda a strappo nei momenti più inattesi: “Ma tu, sei felice?”. Mi ha fatto sempre sorridere la reazione meditabonda del padre prima di rispondere. E, in effetti, spesso esitiamo a dirci felici. Ma Bianca aveva forse intuito che non c’è modo migliore per sapere se una persona è felice che chiederlo direttamente.

Nella teoria economica, è da tempo che si cerca di stimare la felicità degli individui. Basti pensare che, alla fine dell’Ottocento, l’economista irlandese Francis Hedgeworth aveva immaginato uno strumento, chiamato edonimetro, che fosse in grado di misurare istantaneamente il livello di piacere o felicità delle persone.

C’è stato poi il tentativo di definire la felicità degli individui o perfino delle popolazioni con un approccio normativo: se sei ricco, se sei al sicuro, se non sei in guerra, allora devi essere felice. Ma non è così, come sa bene ciascuno di noi.

E chiedere alle persone quanto siano felici è proprio quello che fa il World Happiness Report che viene ciclicamente redatto dalle Nazioni Unite. L’edizione del 2023 ha chiesto a un campione rappresentativo di persone residenti nei Paesi analizzati quanto si sentissero soddisfatte della propria vita su una scala da 1 a 5. Ex post rispetto all’autovalutazione, il livello di soddisfazione o felicità è stato poi collegato a 5 fattori esplicativi: il reddito, la salute, la possibilità di avere qualcuno su cui contare, la libertà rispetto alle decisioni chiave sulla propria vita, la generosità e l’assenza di corruzione.

Quali sono i Paesi più felici?

Ancora una volta, come spesso avviene nelle graduatorie internazionali, in prima posizione si colloca un Paese del nord Europa. Si tratta della Finlandia, prima in classifica per il sesto anno di fila.

Classifica che, non sorprendentemente, vede alle ultime due posizioni l’Afghanistan e il Libano. Se ve lo steste chiedendo, l’Italia si colloca in 33° posizione, dopo tutti i Paesi del Nord Europa, ma anche dopo paesi come gli Stati Uniti, il Regno Unito o il Costa Rica.

E se per caso vi steste anche domandando perché, il report mette in chiaro un punto fondamentale. L’efficacia del proprio governo esercita un’enorme influenza sulla percezione della propria felicità. Anzi, nel dettaglio, a impattare sulla vita quotidiana delle persone e quindi sulla sensazione complessiva di soddisfazione rispetto alla propria vita sono tre ambiti, tra le varie azioni del governo, che possono essere sintetizzati nella capacità fiscale (ovvero, nell’abilità nel raccogliere denaro - spoiler: l’evasione non ci aiuta!), nella capacità collettiva (che corrisponde all’abilità di fornire i servizi) e infine nella capacità normativa, che è legata al ruolo della legge.

E attenzione perché, partendo da questa consapevolezza, sempre più governi stanno ampliando le proprie vedute per la programmazione di politiche realmente efficaci, inglobando la dimensione del benessere e della felicità.

In Bhutan, per esempio, il Gross National Happiness (la felicità interna lorda) entra nell’agenda politica e in tutti i suoi processi di pianificazione. Tutte le nuove misure devono essere soggette a una valutazione in termini di felicità interna lorda (così come avviene, per esempio, per l’impatto ambientale in altri Paesi). Ormai da anni, anche il governo del Regno Unito misura il benessere della propria popolazione.

Come possiamo essere più felici?

Anche in questa edizione, il report conferma alcune tendenze ormai consolidate da cui possiamo partire, anche come individui, se vogliamo impegnarci a essere più felici.

Intanto: c’è una relazione positiva e stabile tra il comportamento altruistico e la felicità. Ora, è chiaro che siano più felici le persone che beneficiano dell’aiuto degli altri. Ma i dati raccolti evidenziano anche la relazione inversa: aiutare gli altri ci rende più felici. E questo è particolarmente vero quando il nostro comportamento altruistico è volontario e motivato dalla preoccupazione sincera per la persona (o le persone) che stiamo aiutando.

E sapete quando, durante la pandemia, ci dicevamo “andrà tutto bene”? E anche quando, successivamente, abbiamo iniziato a farne ironia, perché liscio non stava andando proprio nulla? Ecco, i dati raccolti dimostrano che, in realtà, nel 2022 gli atti pro-sociali, ovvero altruistici, rimangono un quarto più comuni dei livelli che si registravano prima della pandemia.

E ancora una volta, gli individui e i Paesi più altruisti sono anche quelli che si dichiarano più felici.

Essere altruisti, così come costruire relazioni sociali positive, ci rende più forti (volevo usare resilienti, ma ho sentito su di me lo sguardo giustamente severo di Chiara Valerio) anche rispetto ai momenti di crisi.

Un esempio? Nonostante le drammatiche conseguenze dell’invasione russa, la valutazione complessiva rilevata in Ucraina a settembre del 2022 è rimasta più alta rispetto al 2014, periodo dell’annessione della Crimea. Valutazione che si spiega con tre fattori: il senso radicato di uno scopo comune, la fiducia nella leadership alla guida del Paese e la generosità, agita e sperimentata.

Che i ricchi sono più felici lo sappiamo già. Ma se vogliamo essere felici, la nuova frontiera è essere altruisti.

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