Diritti

India: le donne si schierano contro la violenza etnica

I violenti scontri tra la comunità Meitei e altri gruppi tribali stanno mettendo a ferro e fuoco il Manipur. Le indiane protestano pacificamente per mettere fine ai disordini, ma l’esercito le accusa di aiutare i rivoltosi
Credit: EPA/STR
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
12 luglio 2023 Aggiornato alle 09:00

Una schiera di donne in abiti lunghi e colorati sta protestando lungo una strada asfaltata, mentre agita torce accese e cartelli. Uno recita “Peace first”. Questa protesta pacifica è stata immortalata nei giorni scorsi da un giornalista indiano, Prabhakar Mani Tewari. È la risposta che le donne indiane vogliono dare agli scontri etnici che si stanno verificando nel remoto stato himalayano di Manipur tra le tribù Meitei e Kuki-Zo. In 2 mesi hanno provocato la morte di più di 140 persone e ne hanno sfollate più di 50.000. Le donne chiedono di porre fine, una volta per tutte, alla violenza etnica.

Gli scontri in India sono scoppiati per la prima volta a maggio, ma sono diventati mortali quando la comunità Meitei, che rappresenta più della metà dei 3,5 milioni di residenti dello stato nord-orientale indiano, ha avanzato una richiesta: essere riconosciuta come “tribù classificata”. Secondo la Costituzione indiana, spiega il quotidiano tedesco Deutsche Welle, questo status porta con sé nuovi benefici economici, poteri politici e quote nei posti di lavoro e nell’istruzione pubblica.

I membri delle tribù Kuki e Naga, che sono prevalentemente cristiani, formano il 40% della popolazione del Manipur e godono di quello status, non hanno accolto favorevolmente la richiesta perché ritengono che i Meitei siano già la principale comunità del Manipur. Le insistenze dei Meitei e la resistenza delle altre due tribù ha scatenato gli scontri: sono state rase al suolo case, Chiese, luoghi commemorativi, e così via. Nonostante l’intervento delle forze militari dispiegate dal Governo, migliaia di persone sono rimaste senza una dimora perché le loro abitazioni sono state date alle fiamme.

Ma non solo: il 2 luglio un uomo è stato decapitato mentre fuggiva da un suv che lo stava pedinando, secondo una testimonianza raccolta da Al Jazeera. Una donna di 62 anni della comunità Kuki è stata uccisa a colpi di arma da fuoco da criminali non identificati vicino a una scuola, secondo il resoconto del quotidiano indiano The Hindu. E finora sono morte almeno altre 140 persone.

In mezzo ai disordini, molte donne hanno bloccato strade, organizzato manifestazioni e formato catene umane per condannare la violenza. Alcuni li ritengono dei gesti audaci: la studentessa Elam Indra ha detto a DW che «il mese scorso, a esempio, le donne della comunità Meitei hanno organizzato fiaccolate e formato una catena umana per le strade di Imphal, capitale dello Stato, e dei distretti collinari», oltre a elogiarne l’«immenso coraggio». Altri, al contrario, credono che queste proteste aiutino i rivoltosi e ostacolino l’intervento delle forze di sicurezza statali e federali.

Lourembam Nganbi, attivista esperta e membro del gruppo femminile All-Manipur Kanba Ima Lup, respinge le affermazioni dell’esercito: «Chiunque può dire qualsiasi cosa su di noi. Possono provare a chiamarci per nome o ritrarci in qualsiasi modo vogliano. L’unica verità è che siamo donne e madri che non ci pensano due volte ad andare in mezzo alla battaglia», ha detto Nganbi a DW. La donna, delusa da chi avrebbe il compito di ripristinare la sicurezza, ha raccontato che in alcuni casi «le abitazioni sono state date alle fiamme dopo il loro ingresso (dell’esercito, ndr) nelle aree Meitei». C’è una sorta di «perdita di fiducia collettiva», ma «le donne ovviamente salvaguarderanno coloro che potrebbero essere danneggiati».

Le indiane del Manipur hanno già organizzato in passato mobilitazioni politiche simili: contro una legislazione che concedeva poteri speciali alle truppe e ai paramilitari in determinate aree, per esempio, o contro il presunto stupro e l’omicidio di una donna locale da parte delle truppe paramilitari, nel 2004. Già nei primi anni del 1900 avevano partecipato a due grandi movimenti di massa, chiamati “Nupi Lan” o guerra delle donne, contro i governanti britannici. 100 anni dopo, le donne dicono che continueranno a intervenire per arginare la violenza.

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