Diritti

India: test di verginità alle donne vittime di stupri

Le ragazze che denunciano una violenza vengono sottoposte all’esame: un pretesto per stigmatizzare chi ha avuto rapporti e far cadere le eventuali accuse. Succede lo stesso anche alle spose della casta Kanjarbhat
Credit: Onkarphoto
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23 maggio 2023 Aggiornato alle 09:00

Un incubo senza via d’uscita: questo è ciò che accade alle indiane che decidono di denunciare una violenza sessuale. In India, infatti, le donne e le ragazze vittime di stupri sono obbligate a sottoporsi al “test di verginità” (anche conosciuto come “test delle 2 dita”), una pratica invasiva proveniente dal 18° secolo, eppure ancora presente oltre che in India anche in Afghanistan, Bangladesh, Indonesia, Iran, Pakistan, Sri Lanka e Tagikistan.

Il test non ha alcun fondamento scientifico ed è quindi usato esclusivamente come pretesto per criminalizzare le donne che hanno avuto rapporti sessuali e poterle così distinguerle tr “pure” e “impure”; e, non meno importante, far cadere le eventuali accuse di stupro nel caso in cui la ragazza violentata non sia vergine.

Il dottor Indrajit Khandekar, professore presso il Dipartimento di Medicina Legale al Mahatma Gandhi Institute of Medical Sciences (Mgims), contrario alla pratica e che da anni combatte per la sua abolizione, ha dichiarato a The Probe: «Ho interagito con molte vittime di stupro. Quando ho chiesto ad alcune di loro cosa pensassero del test, quasi tutte mi hanno confessato che è un’esperienza molto dolorosa e traumatica». Il medico ha poi aggiunto che la maggior parte delle donne sottoposte all’esame provengono da famiglie a basso reddito e che molte non sanno per quale motivo vengono sottoposte alla pratica.

Dopo aver subito una violenza fisica queste donne sono, dunque, costrette a subire un’ulteriore violazione “nel” e “del” proprio corpo: un’esperienza che può peggiorare le loro condizioni psicologiche ed emotive.

Manisha Gupte, fondatrice e co-convenor dell’organizzazione Mahila Sarvangeen Utkarsh Mandal (Masum), sempre a The Probe, ha spiegato che questa pratica è lo specchio di una società maschilista che, invece di proteggere le vittime di stupro, le colpevolizza, rivittimizzandole una seconda volta.

«Se una vittima ha avuto rapporti sessuali con un uomo 5 volte, la sesta volta non può essere considerata stupro. Ritengono che la vittima dello stupro non dovrebbe essere abituata al sesso. Per loro, la verginità è innocenza, e qualcuno che è innocente potrebbe essere violentato, ma una non vergine non può essere violentata» ha detto Gupte. L’attivista ha inoltre rivelato un altro aspetto scabroso che ruota attorno a queste pratiche: a Bombay il test di verginità è stato condotto sul cadavere di una suora violentata e poi uccisa.

Va ricordato, riporta Open Global Rights, che il “test di verginità” è stato dichiarato incostituzionale nel 2014, mentre la Corte Suprema ha stabilito che qualsiasi medico che svolge un test di verginità violando le istruzioni del tribunale è colpevole di cattiva condotta; purtroppo, il test viene ancora praticato. C’è, però, un piccolo spiraglio di luce: la sentenza nel caso dello Stato di Jharkhand v. Shailendra Kumar Rai (2022) ha definito il test “regressivo e invasivo” e privo di “alcuna base scientifica che non dimostra né confuta le accuse di stupro” in un presunto caso di aggressione sessuale. Se questa sentenza può essere considerata un passo verso l’abolizione del test, il contesto sociale indiano si presenta ancora inadatto per aiutare e sostenere le donne che hanno subito violenze.

Secondo il rapporto (2016-2021) del National Crime Records Bureau (Ncrb), riportato dalla Bbc, nel 2021 la polizia ha registrato 31.878 stupri, segnalando un aumento rispetto a quelli avvenuti nell’anno precedente (28.153). A preoccupare, tuttavia, non sono solo i numeri: le donne che in India denunciano vengono stigmatizzate dalla società, colpevolizzate, maltrattate o ripudiate, mentre le loro famiglie possono essere isolate dalla comunità. La tragica storia di Bilkis Bano e il rilascio, da parte del Primo ministro dell’India Narendra Modi, dei suoi stupratori, nonché assassini della sua famiglia e della sua bambina di 3 anni, dimostrano l’inadeguatezza delle istituzioni e delle autorità indiane nella tutela verso le donne.

La “prova di verginità” non è comunque usata esclusivamente per i casi di violenza, ma anche per testare la “purezza” delle future spose: un’usanza ancora fortemente presente nella casta Kanjarbhat del Maharashtra, in India. La prima notte di nozze i 2 sposi devono consumare il loro matrimonio su un drappo bianco all’interno di una loggia, se il lenzuolo si macchia di sangue quella viene considerata la prova che stabilisce che la giovane sposa era vergine.

Il lenzuolo macchiato viene poi esibito in pubblico, dichiarando: “Maal Khara hai” (buona, pura), in caso contrario si esclamerà “Maal khota hai” (merce avariata). La sposa che non risulta essere stata illibata prima del matrimonio, viene picchiata e la sua famiglia ostracizzata e isolata dalla casta.

Contro questa pratica si sono opposti, nel 2018, Vivek Tamaichikar e la sua futura moglie Aishwarya Bhat; Vivek ha inoltre creato un gruppo Whatsapp chiamato Stop the V-Ritual, per riunire i membri della comunità che vogliono porre fine alla pratica. I componenti del gruppo però sono stati aggrediti ripetutamente in questi anni.

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