Culture

Ossessione per la bellezza: 3 libri per riconoscerla e liberarsene

Il rapporto tra bellezza femminile e cultura patriarcale, le influenze dei modelli sociali sbagliati sulle giovanissime e il ribaltamento del concetto di bellezza come valore

Se sei una donna e stai leggendo questo articolo, ci sono ottime probabilità che tu abbia già controllato il tuo corpo, o una parte di esso, almeno una volta da quando hai cliccato sul link per aprirlo. Gli anglosassoni lo chiamano body monitoring, un termine che indica tutte quelle pratiche di monitoraggio continuo che le persone – e le donne in particolare – effettuano su se stesse e quell’ansia di controllare in modo spasmodico – e solitamente non generoso – il proprio aspetto fisico.

Quando diciamo “continuo” lo intendiamo in senso letterale: secondo Caroline Heldman, ricercatrice dell’Occidental College di Los Angeles, infatti, il body monitoring non si interrompe quasi mai: le donne controllano il proprio corpo in media ogni 30 secondi. Questo significa 120 volte all’ora, 2880 volte al giorno. Ogni giorno.

Non è un caso che sia un fenomeno prevalentemente femminile: come ha ricordato anche Heldman nel Ted Talk che ha tenuto nel 2013 a San Diego dal titolo The sexy lie, le donne sono vittime di mercificazione e oggettivazione, ma anche di auto-oggettificazione. Le bambine, lo sappiamo fin troppo bene, vengono cresciute nella convinzione che la bellezza sia un valore e che il loro compito sia essere belle e desiderabili per compiacere il male gaze, lo sguardo maschile.

Essere belle non è vanità: è un obbligo. Per questo ci controlliamo continuamente, ci confrontiamo costantemente – spesso con modelli irrealistici – e ci condanniamo a regimi di bellezza, alimentari e sportivi che dimenticano il piacere del prendersi cura di sé, del cibo e dell’attività fisica, in favore di un approccio restrittivo e puntivo mirato a essere belle e magre.

In estate, questa pressione culturale, sociale e personale nei confronti dei nostri corpi diventa ancora più gravosa.

La prova costume, il timore di esporre i nostri corpi difettosi al pubblico ludibrio – quante volte vediamo, ancora, persone che scattano foto ad altre inconsapevoli per gettarle in pasto alle offese sui social? – e l’incapacità di godersi momenti ed esperienze a causa di quel corpo così diverso da come sappiamo che dovrebbe essere, sono tutti gli effetti di un incantesimo che da anni ci convince che non abbiamo alternative. Che dobbiamo essere belle, o saremo sbagliate.

Per questo, oggi ti consigliamo 3 libri sull’ossessione per la bellezza, per spezzare questo incantesimo e ricordarci che nella bellezza non c’è niente di necessario e che se non riusciamo a mettere il bikini è perché ci hanno insegnato a pensare che solo alcuni corpi meritano di farlo. Ma non c’è niente di vero in questo.

Il mito della bellezza, Naomi Wolf, Tlon Edizioni, 488 pagine, 21€

Rivoluzionario quando è stato pubblicato, oltre 30 anni fa, il libro di Naomi Wolf rimane una lettura imprescindibile per riflettere sul rapporto tra bellezza e cultura patriarcale.

Una premessa è necessaria: il tempo e l’evoluzione delle riflessioni hanno mostrato i limiti di questo caposaldo del femminismo contemporaneo, facendone emergere alcune posizioni problematiche. Nonostante questo, però, l’analisi dirompente di quanto l’ossessione per la bellezza – estremamente pervasiva in ogni ambito delle nostre vite – non sia un fenomeno individuale ma una “cospirazione culturale” mirata a mantenere intatta il sistema patriarcale, rimane coraggiosa e stimolante.

Il libro è da poco tornato in libreria in una nuova edizione per Tlon, con prefazione di Mara Gancitano e Jennifer Guerra. Lo abbiamo recensito qui.

Beauty Mania, Renee Engeln, 488 p. 17,50€

Se Naomi Wolf ha mostrato le radici dell’ossessione della bellezza, la psicologa Renee Engeln si concentra invece su quali sono gli effetti di questo mito diabolico. Un mito che, per le generazioni più giovani, mostra crepe e contraddizioni ma non per questo perde la sua presa.

Bambine e ragazze magari non vogliono essere delle Barbie, ma sono perfettamente consapevoli che è quello che la società si aspetta che siano, o vogliano essere. Possono essere consce che l’obiettivo è non farci essere libere, e arrabbiate, ma controlleranno comunque il loro corpo costantemente, continuando a trovarlo sbagliato e a permettere ai presunti “difetti” di condizionare felicità e possibilità.

Questo meccanismo ha effetti profondi sul benessere e sulla vita delle ragazze: non solo sulla loro salute fisica e mentale, ma anche “sul portafoglio, sulle loro ambizioni, dalla depressione ai disturbi dell’alimentazione, dai danni ai processi cognitivi allo spreco di tempo e denaro”. E sono proprio questi effetti che Engeln ci racconta, incrociando studi accademici e testimonianze reali.

Anti Manuale della Bellezza, Dalila Bagnuli, Sonda, 176 p., 16,90€

“Questo libro è brutto e se ne frega”. Proprio come dovremmo fare noi, iniziando a ribaltare l’idea che vede nella bellezza un valore morale, rivalutandone non tanto l’importanza, ma il significato.

Il perché ce lo racconta Dalila Bagnuli, attivista body positive e femminista intersezionale che durante il lockdown ha aperto il profilo Instagram @dalila.bagnuli, in cui il racconto del proprio corpo è diventato uno strumento di lotta contro la grassofobia – quella degli altri ma anche la sua, interiorizzata – e la pressione estetica.

Un libro semplice ma assolutamente non banale, che unisce storia del femminismo, del marketing, della moda, piccole e grandi rivoluzioni dei corpi marginalizzati e il funzionamento dei meccanismi tossici che alimentano l’incantesimo ma anche esercizi, momenti interattivi – attraverso dei QR code è possibile accedere a video che approfondiscono o danno valore aggiunto ai temi trattati – e illustrazioni per ricordarci che ogni corpo merita rispetto. E che tutti devono poter esistere, senza vergogna, fuori dalla “gabbia” della pressione estetica.

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