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Ecco perché siamo (ancora) dalla parte delle bambine

Calme, tranquille, affettuose e dedite alla famiglia e alla casa. E i maschi? Tutt’altro. Ma Elena Gianini Belotti - scomparsa il 24 dicembre - ci ha insegnato a lottare, a rompere gli schemi. Per essere chi vogliamo
Credit: La Nazione
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
28 dicembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Avremmo potuto scrivere un coccodrillo da pubblicare tra un brindisi e l’ennesimo piatto di Natale. Invece, abbiamo voluto prenderci qualche giorno prima di dedicare un articolo a Elena Gianini Belotti, scomparsa la vigilia di Natale a 93 anni.

Il motivo è semplice. Abbiamo pensato che il modo migliore per onorare la scrittrice, pedagogista e insegnante fosse ritrovarla nelle pagine che ci ha lasciato. E, anche se non era la prima volta, abbiamo riletto Dalla parte delle bambine (Feltrinelli, pagine 208, 9,50€) per ricordarci perché, a un certo punto delle nostre vite - diverso per ciascuna di noi - abbiamo letto quel libro, e quella lettura ha fatto scattare qualcosa dentro di noi. Qualcosa da cui non era più possibile tornare indietro.

Farlo oggi, a quasi 50 anni dalla sua pubblicazione, ci aiuta a comprenderne, più che mai, la portata dirompente. E, come accade per i libri davvero rivoluzionari, a riconoscere che se il nostro presente è - anche se non abbastanza - diverso da quello descritto, è anche grazie alle idee che in quelle pagine hanno trovato espressione.

Dire, oggi, che i concetti di femminilità e mascolinità come li conosciamo non sono “naturali” ma frutto di educazione, contesto sociale e condizionamenti culturali potrebbe (dovrebbe?) sembrare un’affermazione scontata. Eppure, basta guardarsi intorno per capire che non è così.

Non solo nel pensiero misogino dei conservatori o nella violenza nascosta da separatismo delle Terf. Anche la banale quotidianità è ancora impregnata di quel binarismo che, già da prima della nascita - pensiamo al trionfo di blu e rosa dei gender reveal party e alla delusione, esibita senza pudore, dei padri che scoprono che li attende un fiocco rosa - condanna bambini e bambine a essere una cosa o l’altra. E, nel caso delle bambine, a essere sempre qualcosa in meno, un passo indietro, il sesso “debole” e mancante di quella perfezione bastante a se stessa che è il maschile.

La cultura alla quale apparteniamo - e, in effetti, quasi tutte le culture che conosciamo - ha come obiettivo l’aderenza a modelli prestabiliti per ognuno dei generi. Per ottenerlo sfrutterà (e ha sfruttato in passato) qualsiasi mezzo a disposizione per ottenerlo. Uno dei più efficaci, e difficili da combattere, è proprio il mito della superiorità maschile, contrapposta all’inferiorità femminile, presentata come “naturale” e, come tale, inevitabile e immodificabile.

Invece, ci diceva già nel 1973 Belotti, non c’è niente di “naturale”. Tutto può - anzi deve - essere cambiato. Per le bambine, appunto, che di questa menzogna scientemente reiterata e plasmata sono le vittime.

“Chi ha il potere è ammantato di prestigio, assurge a simbolo, ha il diritto e il dovere di realizzarsi al massimo, da lui ci si aspetta che diventi un individuo, è considerato per quello che sarà. Dalla femmina ci si aspetta che diventi un oggetto, ed è considerata per quello che darà. Due destini del tutto diversi. Il primo implica la possibilità di utilizzare tutte le risorse personali, ambientali e altrui per realizzarsi, è il lasciapassare per il futuro, è il benestare per l’egoismo. Il secondo prevede invece la rinuncia alle aspirazioni personali e l’interiorizzazione delle proprie energie perché gli altri possano attingervi. Il mondo si regge proprio sulle complesse energie femminili, che sono lì, come un grande serbatoio, a disposizione di coloro che impiegano le proprie per inseguire ambizioni di potenza”.

Alle bambine viene insegnato a essere calme e tranquille, si fa credere loro di aver una “naturale” inclinazione per la cura e le attività domestiche. E quindi via di cucine giocattolo, mini ferri da stiro e bambole da accudire. Rigorosamente rosa, ça va sans dire. E i maschi? “Boys will be boys” dicono gli anglosassoni, con una felice espressione che difficilmente si può tradurre con il nostro “sono ragazzi”, e che racchiude il comportamento che ci si aspetta dai veri uomini in crescita: aggressività, vivacità, prepotenza, assertività. Tutte quelle caratteristiche che alle ragazze sono interdette.

La bambina vivace ed esuberante non rientra negli stereotipi. Il maschio spacca tutto è accettato, la femmina no. La sua aggressività, la sua curiosità, la sua vitalità spaventano e così vengono messe in atto tutte le tecniche possibili per indurla a modificare il suo comportamento”. E, ancora, “i movimenti del corpo, i gesti, la mimica, il pianto, il riso sono pressoché identici nei due sessi all’età di un anno o poco più mentre cominciano in seguito a diversificarsi… a quest’età sono aggressivi maschi e femmine. […] Mentre più tardi l’aggressività del bambino continuerà a essere diretta verso gli altri, la bambina diventerà auto aggressiva per aderire al modello che la società impone e che le vuole incanalate verso la debolezza, la passività, la civetteria”.

E se Dalla parte delle bambine è in parte “anacronistico”, “superato”, “datato”, per citare alcune delle recensioni dei lettori che si trovano online (per fortuna, aggiungeremmo noi), c’è qualcosa che rimane valido ancora oggi.

Ci ha insegnato, Gianini Belotti, non tanto che potevamo essere quello che vogliamo, ma come riconoscere tutti i meccanismi che cercano di impedircelo. Ci ha insegnato che gli stereotipi hanno il potere di modellare la realtà, e che quello che per qualcuno è “innocuo”, come “il rosa per le femminucce e il blu per i maschietti”, sia invece portatore di un sistema di valori, pensieri e culture che relegano ancora oggi bambine, ragazze e donne in una condizione di subalternità. Ci ha ricordato che anche nel blu e nel rosa non c’è niente di predestinato o naturale.

Avremmo dovuto saperlo, non fosse altro che perché, fino al XIX secolo (e in certi ambiti almeno fino agli anni ‘50), il rosa (una sfumatura del rosso, il colore “forte” di Marte) era associato alla mascolinità, mentre il celeste - di che colore è, tradizionalmente, il velo di Maria? - era delicato, femmineo. Eppure, leggere su carta come le bambine fossero condizionate fin dal grembo materno (e i bambini di rimando) è stato estremamente potente, e fecondo.

Ci ha insegnato che è necessario rompere il sistema, e gli schemi che ingabbiano le bambine in ogni momento della loro vita, non cercare di farci spazio in un mondo plasmato sui maschi e dai maschi dominato. Non mettersi sul piedistallo al loro fianco - magari schiacciando sotto il peso dell’oppressione chi è diverso non per genere, ma per colore della pelle, dimensioni o abilità del corpo, aggiungiamo noi - ma abbatterlo, quel piedistallo.

Quello che è davvero rivoluzionario, è che lo è oggi come allora, è l’idea che l’operazione da portare avanti, nella pedagogia ma anche in tutti gli altri campi, “non è quella di formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene.”

Per questo, dovremmo ringraziarla, tutte e tutti. Perché se siamo - un pochino - più liberə lo dobbiamo anche a lei.

I funerali di Elena Gianini Belotti si terranno mercoledì 28 al tempietto egizio del Verano.

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