Economia

Natalità: -1,1% nei primi 4 mesi del 2023

Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ci sono state oltre 1.300 nascite in meno. Tuttavia, nel Meridione si è registrato un lieve aumento (32.432 contro 32.245 del 2022)
Credit: Cottonbro studio
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30 giugno 2023 Aggiornato alle 13:00

A poco più di un mese dagli Stati Generali della Natalità, la situazione demografica italiana non sembra mostrare miglioramenti. L’ultimo aggiornamento relativo alla natalità prodotto da Istat e riferito al 2022 evidenziava un forte calo delle nascite che, per la prima volta dall’Unità d’Italia, faceva crollare il livello di nuovi nati al numero più basso di sempre, con circa 393.000 unità.

Un dato che si allinea alla tendenza che il Paese vive da anni senza trovare soluzioni, passando dal 2008 al 2022 ad avere 184.000 nascite in meno, 27.000 delle quali concentrate proprio negli ultimi anni. Il dato del primo quadrimestre 2023 si limita a confermare ulteriormente questo trend, con nascite diminuite dell’1,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Parliamo di oltre 1.300 nuovi nati in meno che, calcolando la differenza tra nascite e morti, delinea una popolazione totale che si aggira intorno alle 58.800.999 persone, circa 70.000 unità in meno rispetto ai dati di dicembre. Il cosiddetto inverno demografico domina le statistiche italiane senza che alcun provvedimento o incentivo riesca a raggiungere concretamente i propri obiettivi.

Avvicinandosi ai dati in maniera più settoriale, si può notare una situazione leggermente più incoraggiante nel Sud Italia, che vede invece un piccolo aumento di nascite nei primi mesi del 2023 rispetto all’anno scorso (32.432 contro 32.245) con Puglia e Campania in cima alla classifica.

Fra le cause principali del bilancio in negativo che, tuttavia, si nota allargando il quadro al Paese intero, il demografo ed ex presidente Istat Gian Carlo Blangiardo ipotizza un nuovo «atteggiamento culturale» che domina le scelte dei giovani di oggi, rendendola «una generazione non sta accettando di passare dalla condizione di figli a quella di genitori».

La “colpa”, quindi, sarebbe di una parte del Paese che non sfrutta le proprie capacità di fecondazione e senza fare alcun «salto di mentalità» si lascia sorpassare dai cittadini più in là con gli anni (Blangiardo si riferisce precisamente alle donne «mature») che tuttavia soffrono di una capacità riproduttiva inferiore per via dell’età. A concludere la sua lettura dei dati c’è, poi, il sempre più crescente desiderio di «autorealizzazione professionale» che porta le «giovani donne» a dedicarsi ad ambiti diversi e totalmente contrapposti alla genitorialità.

Uno scenario così amaro per la natalità, che porta conseguenze non indifferenti a livello economico e produttivo nel Paese - secondo Blangiardo- vedrebbe tra le sue fonti principali un fattore culturale, che in qualche modo distrae le nuove generazioni dalla “produzione” di figli. Sono termini asettici, duri e tutti rivolti a una categoria sociale che forse più di tutte soffre molti più limiti economici, precarietà e impedimenti, se comparata alla generazione precedente di coetanei: problematiche la cui complessità supera di gran lunga la facilità di puntare il dito contro atteggiamenti culturali sempre esistiti e che forse non rilevano le possibili motivazioni che spingono sempre meno persone ad avere figli.

Il contesto del convegno Demografica. Popolazione, persone, natalità: Noi domani, tenutosi pochi giorni fa, ha visto l’intervento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che in un messaggio ha parlato dell’inverno demografico come una sfida da vincere, ambiziosa ma necessaria. “Il Governo c’è ed è pronto a fare la sua parte” attraverso tutti i provvedimenti adottati finora: “dall’aumento dell’assegno unico alle norme sui mutui per le giovani coppie, dal rafforzamento del congedo parentale fino all’inserimento della composizione del nucleo famigliare e dei costi sostenuti per la crescita dei figli nei principi della delega fiscale”.

Ma anche qui il dito non smette di essere puntato contro la cosiddetta “cultura dominante” che per decenni avrebbe eroso le impalcature valoriali della popolazione più giovane, tanto da spingere la Premier a voler “restituire agli italiani una Nazione nella quale essere padri non sia più considerato fuori moda ed essere madri non sia vista una scelta solo privata”.

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