Economia

Inverno demografico: nel 2022 meno di 400.000 nati

A pochi giorni dalla chiusura della terza edizione degli Stati Generali della Natalità lo scenario che emerge non rassicura. Le nascite sono inferiori ai decessi. Ma il Governo mira a portarle a 500.000 entro il 2032
Credit: Davide Ragusa
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14 maggio 2023 Aggiornato alle 20:00

I dati illustrati affrescano un vero e proprio inverno demografico - espressione ormai mainstream ma particolarmente efficace - dove dal 2008 al 2022 le nascite sono passate da 576.000 a poco meno di 400.000, con una diminuzione di circa 184.000 unità e un calo complessivo delle nascite dello 0,3%. Una dinamica demografica ancora una volta negativa, con una popolazione che invecchia di più grazie all’aumento dell’età media da 45,7 a 46,4 anni, ma senza che ci sia un adeguato ricambio tra nascite e morti, con un deciso avanzamento delle seconde.

Uno scenario tanto sorprendente da far esclamare ‘L’italia sta scomparendo!’ a Elon Musk in un tweet di un mese fa. Non a caso proprio gli indicatori dell’Istat del 2022 mostravano una proporzione di circa 7 neonati e più di 12 decessi per 1.000 abitanti. La popolazione over 65 rimane comunque la parte più consistente della torta demografica nazionale: il 24,1% dei cittadini, equivalente a più di 14 milioni di individui.

Parallelamente, il numero medio di figli per donna è pari a 1,24 «nonostante il desiderio dichiarato sia quello di metterne al mondo almeno 2,4», spiega Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità e promotore dell’evento, secondo cui il desiderio di mettere su famiglia dei giovani viene ostacolato dalle «condizioni economiche e sociali avverse»

Una situazione talmente complessa necessita di misure concrete e obiettivi ambiziosi, in questo caso ben chiari dal titolo dell’evento “SoStenere #quota 500.000”. Recuperare 100.000 nascite entro la fine del decennio è un traguardo ragionevole per Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat, che prevede per i prossimi anni uno scenario ancora più nebbioso dove «i 59 milioni di italiani di oggi scendono a 48 milioni scarsi, spariranno 11 milioni di persone».

Ma fare figli non è un servizio alla comunità, bensì una scelta personale e intima delle persone, fortemente disincentivata da problemi economici materiali, condizioni lavorative sempre più precarie e – come sottolineato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – «difficoltà di accesso ai servizi per l’infanzia che rendono ardua la strada della genitorialità».

Proprio nelle ultime ore infatti il termine di aggiudicazione degli appalti per gli asili nido attraverso le risorse del Pnrr è stata spostata al 30 giugno, oltre un mese dalla data prevista dal progetto originario. Una corsa contro il tempo per permettere ai comuni di costruire o ristrutturare spazi per la prima infanzia, con il forte rischio che i soldi non vengano spesi e magari riallocati in settori completamente diversi.

Proprio per questo – continua Mattarella – «alle Istituzioni compete la responsabilità di attuare politiche attive che permettano alle giovani coppie di realizzare il loro progetto di vita», a partire proprio dal Pnrr: «trasformare alcune delle voci del Piano in funzione della natalità: prima casa per i giovani, possibilità di avere sgravi o tutele per un lavoro più strutturato e non solo partite Iva», suggerisce De Palo, che auspica a una maggiore rilevanza dell’assegno unico universale nonché a una riforma del fisco che guardi alla composizione familiare alleggerendo le tasse «a seconda di quanti figli ci sono».

Ospite d’onore della conferenza è stato sicuramente Papa Francesco, che nel suo intervento indica come principale causa del fenomeno delle culle vuote il mercato libero, che senza adeguati correttivi produce solo «difficoltà a trovare un lavoro stabile, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti».

Sullo stesso palco sedeva anche la Premier Giorgia Meloni, che difende l’operato del Governo (che alla natalità ha dedicato addirittura un Ministero) senza risparmiare attacchi frontali a uno dei temi politici e sociali più controversi dell’ultimo periodo. «Vogliamo una nazione in cui non sia un tabù dire che gli uteri non si affittano, che i figli non sono prodotti da banco che puoi scegliere come al supermercato».

La situazione che emerge è chiara nella sua complessità. I pericoli di una natalità costantemente più bassa di anno in anno sono riassumibili in una semplice equazione: poche nascite oggi significa meno studenti e dunque cittadini lavoratori futuri, che equivale ad avere meno contributi versati per pagare i pensionati di domani (che riceveranno meno soldi) e soprattutto meno produzione di ricchezza in tutto il Paese, e «per questo perderemo 500 miliardi di Pil», precisa Blangiardo.

Per questa ragione servono misure pratiche e di immediato pragmatismo, immuni da qualsiasi pregiudizio culturale o religioso incomparabile con la gravità di numeri così bassi, tale da permettere a chiunque di poter rendere l’esperienza genitoriale un sogno realizzabile e sostenibile anche attraverso tecniche sofisticate e moderne, oltre a giovarsi del sistema migratorio, ritenuto una risorsa dallo stesso Documento di economia e finanza redatto dal Governo.

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