Diritti

Lavoro: la doppia penalizzazione delle donne straniere

In Italia sono quasi 2,6 milioni e vengono discriminate sia per il genere che per la nazionalità. Secondo Openpolis, “svolgono mansioni dequalificate e ricevono retribuzioni più basse”
Credit: Sergi Dolcet Escrig
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
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28 giugno 2023 Aggiornato alle 17:00

Sono più della metà della popolazione non italiana residente nel nostro Paese (il 51%, secondo le stime più aggiornate). Sono discriminate. Come non italiane, e come donne. Soprattutto nel lavoro. Sono i quasi 2,6 milioni di donne straniere che vivono in Italia.

La maggior parte di loro sono romene, albanesi, marocchine, ucraine e cinesi, ma i dati disponibili non tengono conto del numero complessivo di ingressi dall’Ucraina dopo lo scoppio del conflitto. Le nazionalità con la maggiore incidenza femminile sono la Tailandia (9 residenti in Italia su 10 sono donne) e l’Indonesia.

A dirlo è (di nuovo, dopo l’approfondimento del luglio 2021) Openpolis, che in un lungo articolo analizza a doppia penalizzazione che le donne straniere devono subire. Su di loro, infatti, razzismo e disparità di genere agiscono insieme, condannandole a una discriminazione su più livelli: “svolgono mansioni dequalificate rispetto al grado di istruzione e ricevono retribuzioni più basse”, sia rispetto agli uomini che alle donne non straniere.

Il sotto-mansionamento è un problema che accomuna tutte le persone senza cittadinanza: come spiega il centro studi e ricerche Idos, non solo hanno una “occupabilità” (ovvero una probabilità di avere un lavoro) inferiore rispetto ai cittadini, ma anche la qualità dei lavori a cui riescono ad accedere è inferiore: “la probabilità degli stranieri di evitare lavori dequalificati - conclude Openpolis - è molto inferiore rispetto ai cittadini autoctoni”.

Quanto inferiore lo dicono i numeri: ben 48 punti percentuali di differenza. Secondo i dati Eurostat è sovraqualificato il 19,1% degli italiani e il 67,1% degli stranieri non comunitari, 3 volte di più. In Europa, la media è del 18,8%: quello del nostro Paese è il tasso più alto.

Ma le donne sono le persone che più frequentemente fanno lavori ben al di sotto delle loro qualifiche: nell’Unione europea, continua Idos, in media la differenza tra uomini di cittadinanza extra-comunitaria e autoctoni è di 16,3 punti percentuali. “Nel caso della popolazione femminile si sale a 21,6: con tassi pari rispettivamente al 21,3% e al 42,9%”.

Sono soprattutto i lavori di cura e assistenza alle persone (e, più in generale, quelli dei “servizi collettivi e personali”) che sono occupati da donne che nel loro Paese avevano titoli e qualifiche per accedere a professioni diverse. In questo settore è occupato il 42,7% delle donne senza cittadinanza, e solo il 7,3% delle donne italiane.

Sotto-qualificazione e lavori considerati “di basso livello” si traducono anche in retribuzioni più basse. Almeno 300€ al mese di reddito netto meno delle donne italiane, dice Idos. Ma anche in questo caso non è solo la variabile della nazionalità a pesare sulle disuguaglianze, ma anche il genere, in un intersecarsi di disuguaglianze. Se è vero, infatti, che gli stranieri hanno paghe mediane lorde inferiori agli italiani (10,6 euro l’ora contro 12), come sappiamo fin troppo bene il gender gap è anche retributivo: la differenza di stipendi tra uomini e donne in Italia è in media del 5,5%.

Non solo: secondo Istat, “i dipendenti con contratto a tempo determinato hanno una retribuzione media oraria più bassa del 29,7% di quelli con contratto a tempo indeterminato. Nel part-time, che interessa soprattutto donne, il divario, rispetto al full-time, sale al 31,1%. Le donne guadagnano meno degli uomini. Il differenziale retributivo di genere è più alto tra i dirigenti (27,3%) e i laureati (18%). […] Le lavoratrici dipendenti guadagnano circa 6.500 euro in meno dei lavoratori, anche per effetto del più basso numero di ore retribuite”.

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