Diritti

Stipendi differenziati per gli insegnanti: sì o no?

Sindacati e docenti bocciano la proposta di retribuzioni diverse su base territoriale in base al costo della vita, parzialmente smentita dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Più possibilisti i Presidi
Credit: Max fischer/pexels
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
30 gennaio 2023 Aggiornato alle 15:00

«Credo che tornare a una differenziazione di gabbie salariali come c’era cinquant’anni fa sia una follia, il nostro Paese è già abbastanza diviso, non ha bisogno di aumentare le divisioni». Il segretario della Cgil Maurizio Landini commenta così la proposta avanzata dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara di adeguare le retribuzioni degli insegnanti al costo della vita, con una «differenziazione regionale» degli stipendi. Landini ha dichiarato che il ministro, «anziché fare delle dichiarazioni che ci portano indietro cinquant’anni, dovrebbe porsi il problema di come affrontare la situazione».

La situazione, secondo i dati pubblicati nel rapporto “Education at a Glance 2022” a cura dell’Ocse, e in base al rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, è questa: gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati d’Europa. La differenza salariale è marcata in tutti i gradi scolastici, a partire dalle retribuzioni della primaria: qui la differenza rispetto alla media degli omologhi europei è del 15,7%. Tra i docenti di scuola media, la percentuale scende al 14%, tra quelli di scuola superiore al 12,7%. A fine mese, un insegnante italiano riceve meno della metà di un collega tedesco, circa 3.700 euro in meno di un francese e oltre 8.300 in meno di un insegnante spagnolo.

Per questo sindacati e insegnanti suggeriscono, piuttosto, di alzare lo stipendio a tutta la categoria, senza fare distinzioni regionali. Il segretario Flc Cgil, Francesco Sinopoli, ha spiegato all’Ansa che “semmai c’è un problema che riguarda tutto il personale della scuola: il ministro dovrebbe far finanziare il contratto collettivo che ora vede zero risorse. Il combinato disposto tra ingresso dei privati e disarticolazione del sistema contrattuale è la distruzione della scuola pubblica, è la cosa peggiore che si può fare”. Sinopoli fa riferimento alla proposta di aprire a «nuove forme di finanziamento che coinvolgano il privato», lanciata da Valditara nel corso della tavola rotonda “Italia 2023: persone, lavoro, impresa” promossa da PwC e gruppo Gedi.

Dopo l’iniziale ondata di critiche ricevute, il ministro Valditara ha fatto un parziale dietrofront: “Non è mai stato messo in discussione il contratto nazionale del mondo della scuola, non ho mai parlato di compensi diversi fra Nord e Sud; ho solo riportato una problematica sollevata da alcune regioni riguardo il differente costo della vita nelle diverse città italiane. Insieme con sindacati e Regioni si ragionerà anche di questo aspetto, per cercare soluzioni adeguate in favore di docenti e personale scolastico”, ha specificato in una nota. Sabato 28 gennaio, durante un’intervista a Omnibus su La7, ha aggiunto che «la vera sfida è pagare di più tutti gli insegnanti», perché «con 1.500 euro un professore non riesce a vivere, né riesce con 1.300 euro un docente di scuola primaria».

Ma per il M5S si profila comunque una “scuola delle disuguaglianze”: spalancare le porte ai soldi dei privati tramite sponsorizzazioni “rischia di aumentare il gap non solo tra Nord e Sud, ma anche tra centro e periferia e tra grandi e piccoli centri”. Per Simona Malpezzi, presidente dei senatori del Partito Democratico, il ministro non dovrebbe creare «insegnanti di serie A e di serie B», né dividere il Paese. Anche la candidata alla segreteria del Pd Elly Schlein si è espressa, criticando «una destra che vuole dividere il Paese e aumentare le diseguaglianze. Così si rischia la desertificazione di aree in cui bisognerebbe tornare a investire sulla scuola».

Di diverso avviso i presidi, che parlando di «misura abbastanza sensata»: secondo Mario Rusconi, capo dell’Associazione nazionale presidi Roma, «molti docenti trovano posto di lavoro nelle regioni ma non accettano perché il costo della vita è troppo alto; è una misura che dovrebbe essere estesa anche ad altri impiegati. È un problema il fatto che l’Italia abbia una economia con costi della vita molto diversi, in più chi lavora al nord ha i costi legati al pendolarismo, perché due volte al mese almeno va a trovare la famiglia che si trova al sud. Certamente sul tema servirebbe una contrattazione sindacale apposita».

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