Diritti

La violenza senza fine contro le donne che difendono il Pianeta

L’analisi pubblicata su Nature indaga la connessione tra ecocidio, genocidio e genere che punisce le Wed (Women enviromental defender) con sfollamenti, repressione, criminalizzazione e omicidi
Credit: 8machine _
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
14 giugno 2023 Aggiornato alle 16:00

Che l’inquinamento, in particolare l’estrattivismo, sia un atto violento non è purtroppo una novità. Sappiamo che è violento contro le risorse naturali di un Paese, che vengono estratte ed esportate depauperando il territorio.

Sappiamo che è violento contro le comunità indigene, minoritarie, povere e rurali, perché è un processo profondamente ineguale che si traduce spesso in un uso istituzionalizzato della forza bruta. Sappiamo anche che è violento contro chi questi territori e le comunità che li abitano tenta di difendere, a volte al prezzo della vita: più di 1.700 attivisti ambientali sono stati uccisi in soli 10 anni.

Oggi, però, un’analisi pubblicata su Nature Sustainability ci mostra quanto questa violenza sia anche una violenza di genere, che si abbatte con più forza sulle donne che sono in prima linea per difendere l’ambiente.

Negli ultimi anni, spiegano Dalena Tran e Ksenija Hanačeke della Universitat Autònoma de Barcelona, c’è stata una crescente attenzione al rapporto tra ecocidio – l’idea che la distruzione ambientale sia criminale e abbia impatti genocidi devastanti sulle comunità colpite – e genocidio. Questo studio fa un passo ulteriore, rivelando la connessione tra ecocidio-genocidio-genere.

Utilizzando i dati dell’Environmental Justice Atlas – il più grande database online che registra casi di conflitto ambientale, realizzato in collaborazione da attivisti e accademici – hanno elaborato dei modelli statistici per analizzare i pattern relativi agli atti violenti commessi contro le donne impegnate nei conflitti estrattivi: sfollamento, repressione, criminalizzazione, attacchi violenti e omicidi.

I risultati della loro analisi indicano che “la violenza contro le donne è concentrata nei conflitti minerari, agroalimentari e industriali nel sud geografico. La repressione, la criminalizzazione e gli attacchi violenti sono strettamente collegati, mentre lo sfollamento e l’assassinio appaiono come esiti estremi quando la violenza del conflitto peggiora. Le donne che difendono l’ambiente sperimentano alti tassi di violenza indipendentemente dalla responsabilità della governance dei paesi e dall’uguaglianza di genere”.

La violenza contro le donne che difendono l’ambiente (women environmental defenders o Wed) è trascurata e la violenza estrattiva è una violenza di genere: “le aziende e gli stati concentrano il potere tra gli uomini durante i negoziati sui progetti, limitando l’autonomia delle donne e normalizzando la loro oppressione. Le Wed affrontano ritorsioni perché la mobilitazione sfida le aspettative di genere di docilità (mancanza di ritorsioni) e sacrificio (assorbimento delle conseguenze estrattive)”.

La forma più visibile di questa violenza sono gli omicidi, ma c’è una lunga lista di minacce a cui queste donne sono soggette, difficile da documentare a causa della censura e della mancanza di dati. Gli omicidi di routine delle Wed, spiegano le ricercatrici, “non sono incidenti isolati, ma piuttosto tattiche politiche che aprono con forza la strada all’estrattivismo. I resoconti dei media spesso si concentrano su dettagli raccapriccianti per sensazionalizzare ma banalizzano le lotte dei Wed, spesso non registrando i nomi, per non parlare delle loro battaglie”.

Le uccisioni extragiudiziali si sono verificate prevalentemente in America Latina, Asia e Africa. Molti casi si sono verificati nelle Filippine – dove il fenomeno assume i tratti di violenza di massa e omicidi seriali dovuti al fatto che il governo ha falsamente “etichettato in rosso” i difensori come terroristi comunisti –, Brasile – dove le uccisioni sistematiche dei difensori dell’ambiente sono peggiorate sotto l’amministrazione di Bolsonaro, che ha messo a tacere brutalmente gli attivisti –, Colombia e Messico, ma ci sono stati almeno 6 casi anche negli Stati Uniti e in Europa.

Prevalentemente si tratta di conflitti legati a biomasse e territori, estrazione di minerali e conflitti industriali o legati ai servizi pubblici.

Il genere, spiegano le ricercatrici, è alla base di gran parte della violenza ecocida contro le Wed non solo in questi Paesi ma anche in tutto il mondo perché “l’estrattivismo stermina i leader della comunità e smantella i precedenti schemi di relazione di genere. Tale cancellazione e persecuzione culturale concentra il potere nelle industrie mascolinizzate a causa della composizione della forza lavoro, delle culture di produzione e della sua dipendenza dallo sfruttamento dei ruoli di custodia imposti dalle donne per compensare il mancato investimento nelle comunità”.

I dati della violenza di genere, però, potrebbero essere sottostimati. Non solo perché solo raramente i risultati sono disaggregati per genere e non ci sono indicatori stabiliti che analizzino la violenza di genere nei conflitti ambientali. Il motivo principale è che la mobilitazione delle donne è spesso trascurata e la violenza contro di loro potrebbe non essere considerata degna di nota. La cronaca dei conflitti spesso riduce le donne al ruolo di madri, altri ruoli di supporto o addirittura semplici residenti piuttosto che come attiviste.

Dato che gli aggressori uccidono i difensori di qualsiasi genere, continuano Tran e Hanačeke, potrebbe esserci una mancanza di documentazione piuttosto che una disparità di genere negli omicidi. Tuttavia, le altre forme di violenza sono statisticamente significative in associazione con le Wed, indicando che il genere influenza invece i meccanismi e le circostanze che portano alla violenza mortale.

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