Diritti

La morte di Silvio Berlusconi, vista dai Millennial

Tra riso, stupore, ammirazione e rassegnazione, non possiamo credere che sia morto davvero, questa è la verità. Ma a essere sinceri, Berlusconi non è morto e noi italiani non lo seppelliremo
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14 giugno 2023 Aggiornato alle 06:30

Ho il silenzioso, ma sento comunque il fastidioso tremolio della vibrazione. Non voglio rispondere, già lo so.

Sono in ansia per un documentario e, mentre mi continuo a chiedere cose sulla falsariga de “Ma sarò la persona adatta?” o “sto per fare una figura pietosa?”, sbircio lo schermo, controvoglia e con scarsa attenzione. Era solo la Bbc, con la sua notifica schietta. Faccio per bloccare nuovamente lo schermo ma il testo mi cattura: Former Italian Prime Minister Silvio Berlusconi dies at 86.

La prima cosa che mi viene in mente è che si tratta di una fake news. Che Berlusconi è vivo e vegeto, pronto a smentire la sua morte in un’ovazione di contorno. Poi però vedo che entra il regista del documentario, il telefono teso in avanti e lo schermo aperto sulla notizia: Berlusconi è morto.

All’improvviso, gli smartphone si animano.

E capisco che Berlusconi è morto davvero che per almeno una settimana ogni palinsesto televisivo, ogni giornale, ogni post saranno dedicati a lui. Pro o contro, poco importa, Berlusconi sarà al centro dei nostri pensieri persino da morto.

Dopo l’intervista recupero il telefono e scorgo una serie di messaggi. Scorro le notifiche di whatsapp che più che conversazioni mi paiono un puzzle. Sticker, meme e battute.

Io stessa non resisto e digito per aprire l’app degli sticker, prendo il testo di una canzone su Berlusconi e vi appiccico sopra qualcosa che mi sembra al contempo sagace e descrittivo.

Voglio parlare con gli amici della morte di Berlusconi, mi rendo conto. Invio, salvo, riuso. Rido, rifletto.

Capisco così che i millennial stanno reagendo a qualcosa che pare impossibile, che mi fa impressione definire la fine di un’epoca.

Sono nata nel 1992, l’anno in cui sono stati assassinati Borsellino e Falcone, nonché l’anno prima di quello in cui Berlusconi è sceso in politica. Sono cresciuta sapendo che Berlusconi era un nome da conoscere, un politico. Ma non solo, Berlusconi era proprietario della squadra per cui ho sempre tifato: il Milan. Ho superato le elementari mentre l’Italia si convinceva - a torto - che gli Stati potessero essere guidati come aziende e mentre l’anima operaia del Milan veniva spennellata di proprietarismo.

Ricordo ancora, e temo lo ricorderò sempre, che oltre a credere che Berlusconi fosse il capo del mondo - avevamo meno di dieci anni e eravamo bombardati da Mediaset capiamoci - verso la fine delle elementari, molti di noi pensavano che Berlusconi fosse buono.

Non uso l’aggettivo a caso, intendo buono d’animo, tipo un puro di cuore. E lo pensavamo un po’ perché le sue televisioni - o quelle in cui aveva le mani in pasta - ci avevano portato Sailor Moon e Ken il guerriero, e un po’ perché sotto elezioni avevamo ricevuto tutti una calcolatrice blu formato tessera incredibilmente stimolante da usare. Oggi potrei dire che provo la stessa sensazione che mi suscitava premere i bottoni di quell’aggeggio quando guardo i video sugli slime senza audio.

Ecco, quando ero piccola, Berlusconi era insindacabile, naturale, manco fosse un fungo autoctono di Palazzo Chigi, e ricco. Ricco da far paura. Così ricco che tutte le persone adulte davano l’impressione di voler essere lui e quindi lo votavano. Lo difendevano. E oggi, alcune di loro, arrivano persino a piangerlo.

Sono cresciuta dai tempi della calcolatrice e ho scoperto cos’è la propaganda politica, ma, soprattutto, che in Italia si può essere indagati per scandali sessuali e finanziari ma rimanere in auge purché si sia indecentemente ricchi.

Fininvest, la P2, dispute costituzionali sul possesso di canali televisivi, leggi a personam, le dichiarazioni di Totó Riina su Berlusconi che pagava il pizzo, Dell’Utri, Porto Rotondo, D’Addario, Noemi Letizia, Ruby e Arcore.

Per non parlare della politica fiscale, delle relazioni internazionali e del sessismo senza confini che ha legittimato e di cui ha sempre fatto vanto. Ricordo le battute su Angela Merkel, ma anche la sua reazione alla protesta di una militante delle femen che ha manifestato mentre lui stava per votare.

Con oltre trenta procedimenti giudiziari è un patrimonio stimato pari a 6 miliardi di euro, come siamo arrivati a vederlo correre ancora per le elezioni 2022?

Basti ricordare che quando era in carica nel 2001 come Presidente del Consiglio era anche proprietario di Mediaset e che dunque, controllava il 90% dell’offerta televisiva italiana. In letteratura si studia il personalismo alla Berlusconi, o Berlusconismo, quindi il suo schema politico e ideologico basato sul culto di sé stesso, sul liberismo sfrenato e sul populismo della leggerezza.

Per Berlusconi, nulla è mai stato un serio problema, e il popolo italiano ha voluto credergli fino in fondo, rifuggendo la realtà e ritrovandosi con più problemi di prima. Noi Millennial ci siamo cresciuti con Berlusconi, una figura iperrealistica che ha finito con il diventare il meme di sé stesso. Ed è stato persino in grado di camparci, fino a lunedì almeno.

Ho fatto un sondaggio - che non ha valore statistico, sia chiaro, non ho il bacino di utenza dell’Istat nella mia rubrica - tra le persone che conosco, mie coetanee.

“Come ti vivi la morte di Berlusconi?”, chiedo. Ricevo risposte principalmente audio visive. Ci sono sticker dal sapore decisamente crudo, ma che mi fanno sorridere, frasi sconsolate che ricordano “che tanto non cambia nulla” e rilevo dello shock diffuso. Mi faccio un giro nell’Internet per vedere come la vivono altri Millennial, quelli che ancora amavano Berlusconi.

Ed ecco che mi appare il post di una specie di cugina di quinto grado che lo ricorda con passione, come un uomo di successo, un eroe che ha insegnato agli italiani che tutti possono tutto. A patto che siano ricchi, penso io.

Ma nella nostalgia di quest’uomo che non c’è più non c’è spazio per la realtà dei fatti. Scovo altri post affini. C’è dell’ammirazione sparsa. Poi però l’algoritmo si rimette in carreggiata e mi riporta a chi - secondo i suoi calcoli - mi è più affine. Di nuovo, nessun dolore, solo stupore e cupa rassegnazione sui danni e i lasciti disastrosi di chi la politica se l’è comprata.

Non ci possiamo credere che sia morto davvero, questa è la verità. Ma a essere sinceri, Berlusconi non è morto e noi italiani non lo seppelliremo. La traccia politica di una prosopopea personale e insostenibile permane nelle aule del Parlamento, nei percorsi politici eredi della sua presenza trentennale, nel tentativo di ricalcare il Berlusconismo, ma soprattutto nell’educazione - italianissima - per cui qualsiasi atto criminale o socialmente deprecabile commesso da un uomo potente sia ammirabile, in quanto espressione tangibile del suo potere.

È la fine di un’era ma non oso essere ottimista. Mi auguro che dopo il fascismo, la Dc, il Berlusconismo e il neofascismo impareremo a smetterla con i culti della personalità, con la ricerca spasmodica di un idolo con cui fingere che la vita sia un idillio.

Ah, ovviamente, già so che in Italia non si può parlar male dei morti. Ma noi millennial tra le tante disillusioni abbiamo pure quelle del paradiso, della vita eterna e della sacralità del lutto.

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