Diritti

Proteste Kosovo: cosa sta succedendo?

I serbi kosovari hanno occupato gli edifici comunali di alcune città contro l’insediamento dei neosindaci di etnia albanese. La Nato ha aumentato la propria presenza, mentre la Serbia ha messo l’esercito in allerta
Un ufficiale di polizia del Kosovo salta fuori da un veicolo blindato mentre i soldati della forza internazionale per il mantenimento della pace del Kosovo (Kfor), guidata dalla Nato, giacciono feriti dopo una colluttazione con serbi davanti all'edificio del Comune di Zvecan, il 29 maggio 2023
Un ufficiale di polizia del Kosovo salta fuori da un veicolo blindato mentre i soldati della forza internazionale per il mantenimento della pace del Kosovo (Kfor), guidata dalla Nato, giacciono feriti dopo una colluttazione con serbi davanti all'edificio del Comune di Zvecan, il 29 maggio 2023 Credit: EPA/GEORGI LICOVSK
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1 giugno 2023 Aggiornato alle 18:00

Da venerdì scorso il nord del Kosovo è terreno di proteste violente che hanno provocato decine di feriti tra cittadini, poliziotti e militari Nato. Zvecan, Zubin Potok e Leposavic sono le principali città dove i serbi kosovari che rivendicano l’autonomia hanno occupato gli edifici del Comune manifestando contro l’insediamento dei sindaci di etnia albanese che ad aprile hanno vinto le elezioni.

I serbi che protestano in Kosovo negano la legittimità delle recenti elezioni comunali, che hanno boicottato in massa e in cui ha votato solo il 3,5% della popolazione. La maggioranza serba che vive nella regione settentrionale del Paese chiede da tempo l’attuazione di un accordo del 2013 mediato dall’Ue per la creazione di un’associazione di Comuni autonomi nella loro area. Negli anni, l’Unione Europea, con il supporto degli Stati Uniti, ha invitato ripetutamente il Governo kosovaro a istituire i Comuni autonomi previsti dall’accordo, ma non è chiaro come questi prenderanno forma.

Dall’inizio delle proteste, la polizia che ha scortato i sindaci neoeletti presso gli uffici comunali è stata bersagliata con sassi e granate, rispondendo con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti. L’esercito Nato che conduce la missione di peace-keeping in Kosovo (Kfor) ha aumentato la propria presenza per proteggere i 3 Comuni interessati dalle proteste, mentre la Serbia ha messo l’esercito in stato di massima allerta.

Il Governo kosovaro e quello serbo si accusano reciprocamente di aver causato gli scontri per creare tensioni e destabilizzare il Paese. Il primo ministro del Kosovo Albin Kurti ha spiegato che con il dispiegamento delle forze dell’ordine mirava a garantire il regolare insediamento dei sindaci eletti contro “folle fasciste” controllate da Belgrado. Il Primo Ministro ha fatto riferimento a “folle con la lettera Z che sparano a soldati e poliziotti e lanciano granate”. Come riferito da Reuters, il simbolo filo-russo usato nella guerra in Ucraina sarebbe stato disegnato sui mezzi del Kfor dai manifestanti serbi.

Kurti ha inoltre comunicato di aver rifiutato una richiesta degli Stati Uniti di trasferire i sindaci recentemente insediati fuori dai loro uffici per allentare la tensione nel Paese. La stessa richiesta è arrivata dai leader del partito serbo del Kosovo, i quali hanno annunciato che le proteste non finiranno finché i sindaci e la polizia non se ne andranno.

Usa e Unione europea hanno rimproverato duramente il Kosovo, loro alleato, per l’escalation delle tensioni con la Serbia, affermando che l’uso della forza per insediare sindaci nelle aree ha minato gli sforzi per migliorare le travagliate relazioni bilaterali con quest’ultima. Negli scorsi giorni il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov ha espresso il proprio appoggio alle proteste affermando che «i serbi stanno combattendo per i loro diritti nel nord del Kosovo».

Quando il Kosovo ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza dalla Serbia nel 2008, Belgrado e i suoi principali alleati, Russia e Cina, si sono rifiutati di riconoscerla, impedendo al Kosovo di far parte delle Nazioni Unite. A marzo, Miša Vacić, il leader del partito della destra serba nazionalista e filo-Cremlino, intervistato da Politico, ha detto che «una vittoria del presidente russo Vladimir Putin in Ucraina è un trampolino di lancio per la riconquista del Kosovo da parte della Serbia».

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera a gennaio, la presidente del Kosovo Vjosa Osmani ha dichiarato che «la Serbia considera il Kosovo, la Bosnia e il Montenegro come Stati provvisori da distruggere» e che «vuole destabilizzarli». Secondo Osmani, la Russia intende spostare sui Balcani occidentali l’attenzione di Europa e Usa per distoglierla dall’Ucraina. Senza indicare le proprie fonti, la Presidente ha aggiunto che la Serbia minaccia la sicurezza del Paese usando forze che «cooperano col Gruppo Wagner, comprano armi russe e mandano paramilitari nel nord del Kosovo a erigere barricate, creare tensioni».

Il fatto che il Paese sia in fibrillazione, secondo alcuni analisti, agevola la Russia nel limitare il ruolo dell’Unione europea e della Nato nei Balcani. Più il Kosovo è instabile, spiega per esempio Giorgio Fruscione dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), più l’influenza russa in Serbia e nei Balcani può crescere, a discapito del ruolo dell’Ue e del processo di integrazione dei Paesi dell’est contesi con la Russia.

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