Diritti

Maternità e lavoro: un equilibrio sempre più difficile

Secondo il rapporto Le equilibriste-la maternità in Italia 2023 di Save the children, la condizione delle madri nel nostro Paese è estremamente complessa, soprattutto dal punto di vista lavorativo
Credit: Sydnee Marie
Tempo di lettura 6 min lettura
14 maggio 2023 Aggiornato alle 08:00

Essere mamme, in Italia, diventa sempre più difficile. Non sorprende, quindi, il raggiungimento del record negativo di nascite nel 2022, per la prima volta sotto i 400.000 nuovi nati: un trend che prosegue da diversi anni e, a oggi, sembra aver toccato il punto più basso.

Tra le cause principali, che portano molti giovani a fermarsi a un figlio o a rinunciare direttamente, c’è la difficoltà economica nel lasciare la famiglia di origine, ritardando quindi la convivenza e una ipotetica gravidanza.

Altri motivi centrali sono, sicuramente, l’alto costo della vita e la difficoltà riscontrata dai giovani nel mercato del lavoro. Tutto questo porta a un aumento dell’età media delle donne al primo figlio.

A risentirne maggiormente sono proprio le donne, a partire dal mercato del lavoro, come emerge dal rapporto Le equilibriste-la maternità in Italia 2023 redatto da Save the children. Il titolo è emblematico: donne equilibriste alla continua ricerca di un equilibrio tra vita privata e vita lavorativa.

Il divario di genere nel mondo lavorativo è ancora molto forte, nonostante sia aumentata la partecipazione femminile. Stando ai dati, nel 2022 solo il 41,5% dei nuovi contratti ha riguardato le donne.

Dei contratti a tempo indeterminato, solo il 35% è destinato alle donne; in aumento, invece, la percentuale dei contratti stagionali (48%) e intermittenti (52%). Il part-time riguarda il 49% dei nuovi contratti, contro il 26% degli uomini.

Ovviamente, tutto ciò ha radici profonde: un ruolo centrale lo gioca il pregiudizio, a partire dalla scelta del percorso universitario. Le ragazze sono più frenate, rispetto ai ragazzi, nell’intraprendere un percorso scientifico, e questo porta a una netta divisione anche nelle professioni: nei settori dell’amministrazione, dell’istruzione, della sanità o dell’assistenza sociale le donne sono sempre in maggioranza. Questo fenomeno prende il nome di segregazione orizzontale.

Ma vi è anche una segregazione verticale: una grande difficoltà, da parte delle donne, nel raggiungere posizioni ai vertici nel mondo lavorativo. E qui entra in gioco la maternità, che viene vista come un impedimento e un ostacolo alla carriera, rendendo maggiormente complicata la conciliazione tra vita lavorativa e vita privata.

Il rapporto evidenzia anche un forte divario territoriale: nel Mezzogiorno, nel 2022, la percentuale di donne occupate raggiunge il 35,3%, uno dei dati più bassi d’Europa, contro il 62% del Nord e il 58,3% del Centro.

Disuguaglianze anche per il livello di istruzione e per la retribuzione: se gli uomini laureati, a cinque anni dal raggiungimento del titolo, hanno una retribuzione mensile di 1.799€ netti, le donne a parità di condizioni percepiscono, mediamente, 1.593€ netti al mese.

Tutto è ancora più complesso se le donne sono anche madri: il rapporto tra il tasso di occupazione delle donne appartenenti alla fascia di età 25-49 anni con figli in età scolare e il tasso di donne nella stessa fascia d’età senza figli, nel 2021 è pari al 73%, quindi per ogni 100 donne senza figli occupate ce ne sono 73, con figli in età scolare, occupate.

È interessante, invece, notare l’andamento per gli uomini con o senza figli: nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 54 anni, il tasso di occupazione totale è di 82,7%, scende al 76,1% per coloro che non hanno figli, sale al 90,4% per chi ha un figlio minore, e al 90,8% per chi, invece, ne ha due. Completamente opposta la situazione per le donne: il tasso di occupazione totale è pari al 62%, sale al 67% per le donne senza figli, per chi ha un figlio minore raggiunge il 63% e scende al 56,1% per chi ha due figli minori.

Differenze anche per il tasso di inattività, ovvero quello che riguarda coloro che sono al di fuori del mondo del lavoro, che non lo cercano neanche. Per gli uomini (25-54 anni) senza figli la percentuale è pari al 16,4%, per le donne 24,8%. Se si hanno figli minori, la percentuale degli uomini scende al 5,3% mentre per le donne sale al 34,7%. Anche qui, il divario territoriale è forte.

Aumentano, poi, le dimissioni volontarie: di 52.436 totali, il 71,8% riguarda le donne mentre il restante 28,2% riguarda gli uomini. Per le donne, il 65,5% delle dimissioni è dovuto alla difficoltà di trovare un equilibrio tra attività di cura e lavoro, a differenza del 3% degli uomini. Dati impressionanti.

Ma non finisce qui, i problemi per le donne cominciano al momento del parto: una intervistata su 2 non si è sentita supportata dal punto di vista emotivo e psicologico. A casa, nel periodo post-partum, il 42% non si è minimamente sentita sostenuta dall’assistenza domiciliare, mentre il 33% si è sentita abbandonata dai consultori familiari. Tutto è, quindi, in mano alla cerchia familiare che non è sempre in grado di gestire la situazione, estremamente complessa e delicata.

C’è però un dato positivo: negli ultimi anni sono aumentati sempre di più i padri che decidono di usufruire dei congedi di paternità, sia quello obbligatorio sia quello facoltativo. Nel 2013, quando i nuovi nati hanno superato la soglia dei 500.000, solo il 19,5% dei padri ha usufruito della misura, nel 2021 la percentuale è salita al 57,6%.

«Il mercato del lavoro in Italia è ostile alle mamme e al contrario accogliente verso i papà. La narrazione sottesa a questa dinamica è chiara: il padre deve provvedere economicamente alla famiglia e la madre sobbarcarsi del lavoro di cura non retribuito. Ma la ricerca dimostra che dove le donne lavorano di più, fanno anche più figli. I provvedimenti approvati negli ultimi anni, pur andando nella giusta direzione, non sono che timidi passi verso un riequilibrio dei ruoli nella coppia, primo passo necessario anche per favorire l’occupazione femminile. Non possiamo permetterci di perdere ora l’occasione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza per costruire finalmente una rete capillare di servizi per la prima infanzia ed è altrettanto necessario andare con più forza verso un congedo di paternità paritario rispetto a quello delle madri», spiega Antonella Inverno, responsabile ricerca, dati e politiche Save the Children.

Quali sono, dunque, i punti su cui bisogna insistere per cercare di contrastare la crisi demografica nel nostro Paese? Primo fra tutti, rilanciare l’occupazione femminile e investire sulla parità di genere. Continuare, poi, con le politiche a sostegno della genitorialità; migliorare i servizi educativi della prima infanzia, favorendone l’accessibilità; e migliorare i servizi dedicati ai primi giorni di vita, fornendo un maggiore sostegno alle neomamme e ai neopapà.

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