Diritti

È possibile migliorare l’assistenza alla maternità?

La ricerca Every Mother Counts, pubblicata dall’American Journal of Obstetrics and Gynecology, propone 3 spunti (e soluzioni) partendo dai racconti personali delle donne
Credit: RODNAE Productions
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3 aprile 2023 Aggiornato alle 16:00

Nella maggior parte dei casi, l’approccio clinico adottato nei reparti di maternità degli ospedali lascia poco spazio all’ascolto delle emozioni, esigenze e preferenze soggettive di ogni donna: le madri non sono incoraggiate a condividere pubblicamente le loro opinioni riguardo ciò che vivono durante e dopo il parto. Anche nella sfera privata, sono poche le donne che si confrontano con altri e altre al di fuori della cerchia più stretta, perché il racconto del parto è ancora percepito come personale e intimo.

Tutto ciò ha contribuito a tenere sommerso per anni il fenomeno diffuso della violenza ostetrica, ovvero tutti i trattamenti irrispettosi o addirittura abusanti che tolgono dignità alla partoriente durante il travaglio, il parto e il post partum, privandola di un’esperienza serena e personale. Mancanza di supporto fisico ed emotivo, umiliazioni verbali, procedure compiute senza consenso e pressioni riguardo all’allattamento: il numero dei casi è alto in tutto il mondo.

La ricerca Every Mother Counts, pubblicata dalla rivista American Journal of Obstetrics and Gynecology, non solo ha analizzato i problemi relativi all’assistenza alla maternità, ma ha anche proposto soluzioni inedite, partendo dall’idea (semplice ma non banale) che per trasformare il sistema bisogna partire proprio dall’ascolto di ogni madre. L’assunto è questo: ascoltiamo ciò che hanno da dire le persone più coinvolte dall’esperienza del parto per rimettere al centro il rispetto e la dignità delle donne e consentire una condivisione consapevole delle scelte con ginecologi, ostetrici e altro personale sanitario.

La pubblicazione prende in prestito il nome dall’organizzazione non profit Every Mother Counts (Emc), di cui ripercorre la storia e i risultati. Con l’obiettivo di rendere sicura e rispettosa la gravidanza e il parto di ogni madre e in ogni luogo, Emc si è battuta per riportare il discorso proprio dalla loro parte. Il suo lavoro di raccolta di storie personali ha reso evidente come l’ascolto delle donne appartenenti a settori diversi (media, ricerca, attivismo, istruzione e sanità) può diventare un potente strumento per avere consapevolezza delle carenze e problematiche nell’ambito dell’assistenza materna e per elaborare soluzioni adeguate a fornire il supporto di cui ogni madre ha bisogno.

Tutto è partito dalla storia raccontata nel documentario del 2010 No Woman, No Cry, diretto da Christy Turlington: la supermodella si interessò al problema dell’alto tasso di mortalità materna negli Stati Uniti e nel mondo, dopo aver subito lei stessa gravi complicazioni post partum con un’emorragia fortunatamente risolta grazie all’esperienza del team dell’ospedale di New York in cui era stata ricoverata. All’epoca del film, che dà voce al vissuto di Turlington e di altre madri, quasi mezzo milione di donne moriva di parto ogni anno. Oggi, il numero di morti materne è ancora troppo alto, nonostante gli sforzi fatti per ridurlo: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sono morte circa 295.000 donne nel 2020 per motivi legati alla gravidanza o al parto.

Tornando al lavoro svolto da Emc, l’organizzazione si è mobilitata per far comprendere a livello internazionale che il diritto alla salute materna include necessariamente anche il diritto a un’assistenza di qualità, rispettosa, senza discriminazioni né abusi, come aveva riconosciuto l’Oms nel 2014, con l’appoggio di più di 90 enti nel mondo.

Il rispetto nel momento del parto è un aspetto irrinunciabile. Nella campagna What Women Want promossa dalla White Ribbon Alliance, che invitò 1,2 milioni di donne e ragazze in 114 Paesi a rispondere alla domanda “Qual è la prima cosa che vuoi per la tua assistenza materna e riproduttiva?, la risposta più diffusa fu: “Essere trattata con rispetto e dignità”.

Il tema dell’ascolto delle madri negli Stati Uniti ha già cominciato a essere affrontato nel contesto della cura ostetrica, con il motto “Ascolto. Ogni madre. Ogni voltadell’American College of Obstetricians and Gynecologists, e con la campagna per la salute materna intitolata Hear her, “Ascoltala”, promossa nel 2022 dai Centers for Disease Control and Prevention, organismo di controllo della sanità pubblica americana. Anche l’amministrazione Biden nello stesso anno ha elaborato un piano (Blueprint) per migliorare la salute materna, includendo come priorità l’ascolto e il potere decisionale delle donne che devono partorire.

Dall’enorme coro di voci femminili che hanno contribuito alla ricerca Emc è emerso che ogni persona che lavora nel settore dell’assistenza alla maternità può fare passi concreti per rendere tutte le fasi della gravidanza più eque e rispettose. Ma cosa è possibile fare esattamente per trasformare il sistema?

Le soluzioni individuate dalla ricerca sono: 1. implementare nell’ambito della pratica clinica standard un modello basato sulla persona e sulle esperienze riportate dalla paziente, che abbia al centro il diritto di auto-determinazione della donna;

2. elaborare piani di nascita personalizzati e utilizzare strumenti di condivisione delle scelte;

3. sviluppare una procedura interna per i reclami che consenta di individuare e gestire i casi di abuso, discriminazione o trattamento irrispettoso e di adattare le policy e le prassi mediche per migliorare la qualità del servizio.

Riguardo al primo punto, secondo Every Mother Counts un modello esistente da valorizzare è quello del servizio gestito da ostetriche (midwifery care) che enfatizza l’importanza della relazione con la donna, alla quale vengono assicurati autonomia, rispetto e la possibilità di assumere decisioni informate. Tra le persone che hanno avuto la possibilità di approcciarsi a questo modello, sono stati riportati meno interventi di medicalizzazione (come episiotomia e ricorso all’epidurale), un minor numero di lacerazioni gravi e una maggiore probabilità di successo nell’allattamento.

Nonostante questi benefici, oggi solo il 12% delle nascite negli Stati Uniti è gestito da ostetriche. In Italia, ci sono 3 unità intra-ospedaliere in cui le gravidanze a basso rischio sono gestite in autonomia da ostetriche: a Firenze, Genova e Torino. Anche qui, i numeri delle nascite sono piuttosto bassi.

Applicare queste soluzioni dovrebbe essere l’obiettivo di ogni struttura sanitaria. Perché nessuna donna debba più dire «Una volta che ho messo piede in ospedale, mi sono sentita come se non avessi più alcun diritto. Sono successe troppe cose che andavano oltre il mio controllo. Mi sono sentita impotente e come se le mie opinioni non contassero nulla».

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