Diritti

La violenza ostetrica non è un’eccezione

Abuso fisico e verbale, umiliazione, procedure coercitive: nel nostro Paese sono oltre un milione le donne che l’hanno subita. Ma, a quanto pare, non è un problema solo italiano
Credit: David Todd McCarty/unspl
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
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23 luglio 2022 Aggiornato alle 17:00

«Sono entrata in ospedale per un controllo sana e felice. Sono uscita dopo alcuni giorni con un utero tagliato senza capirne il motivo e in braccio una bambina che non riuscivo a riconoscere come mia».

«Itg a 18 settimane per rottura sacco, mamma in pericolo di vita per infezione. Programmata induzione ma il travaglio parte da solo. Nessuno mi crede e dopo 12 ore partorisco la mia bambina morta andando in bagno e pensando di fare pipi. Nessuna assistenza né medica né morale».

«Mi lasciano sola nella pre-sala. La dott. si affaccia solo per dirmi di smettere di piangere perché così rischiavo di far morire la bambina. Da sola mi tolgo i pantaloni sporchi di sangue. Resto nuda a piangere e gridare aiuto».

Umiliate, maltrattate, abbandonate, sottoposte a trattamenti invasivi – non sempre necessari – senza avere piena consapevolezza di cosa stesse accadendo. Secondo le stime, le donne che hanno subito violenza ostetrica sono oltre un milione solo in Italia. Eppure, si continua a pensare che quando episodi come questi siano “un caso”, un’eccezione. I dati, però, raccontano una storia diversa.

Già in una dichiarazione del 2014, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva denunciato come molte donne durante il parto avessero subito trattamenti irrispettosi e abusivi, che comprendevano «abuso fisico, profonda umiliazione e abuso verbale, procedure mediche coercitive o senza consenso (compresa la sterilizzazione), mancanza di riservatezza, fallimento nell’ottenere un consenso pienamente informato, rifiuto di somministrare antidolorifici, gravi violazioni della privacy, rifiuto di ammissione alle strutture sanitarie, donne lasciate sole a soffrire durante il parto, complicazioni potenzialmente letali ed evitabili e detenzione delle donne e dei loro neonati all’interno delle strutture dopo il parto a causa dell’impossibilità di pagare».

Cesarei non necessari, episiotomie non necessarie senza preavviso, mancato consenso informato, donne costrette a partorire sdraiate con le gambe sulle staffe o esposte nude di fronte a una molteplicità di soggetti, madri separate dai bambini senza una ragione medica, appropriazione dei processi riproduttivi della donna da parte del personale medico, che non coinvolge la donna nei processi decisionali che riguardano il proprio corpo e il proprio parto, umiliazioni verbali prima, durante e dopo il parto. Per alcune donne, le umiliazioni non si fermano nemmeno dopo parto, come i gravi maltrattamenti verbali che deve subire chi non può, non riesce o non vuole allattare al seno.

In Italia, secondo i dati di un’indagine Doxa-OVOItalia condotta nel 2017, il 21% delle donne diventate madri per la prima volta nei 14 anni precedenti erano state vittime di una qualche forma (fisica o psicologica) di violenza ostetrica durante. Oltre un milione di donne. Per il 6% di loro, è stata un’esperienza così traumatica da spingerle a non affrontare una seconda gravidanza. In un Paese in cui il calo demografico avanza inesorabile, parliamo di circa 20.000 bambini non cercati ogni anno per paura del momento del parto.

L’indagine è nata come proseguimento di una campagna lanciata tramite una pagina Facebook nel 2007, #bastatacere: le madri hanno voce, che invitava le donne a condividere le proprie esperienze e da cui sono tratte le parole piene di dolore e sofferenza che aprono questo articolo. Al momento della pubblicazione Aogoi, l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani, aveva preso duramente posizione contro i risultati dell’indagine, definendola una falsa ricostruzione della sanità italiana e sollevando sospetto su presunti scopi di lucro (perché OVOItalia invitava sul proprio sito a sostenere le proprie attività attraverso donazioni spontanee) e politici, poiché al momento della diffusione dei risultati il deputato Adriano Zaccagnini (Liberi e Uguali) aveva presentano una proposta di legge – mai arrivata in Senato – per il riconoscimento della violenza ostetrica come reato.

Eppure, quello della violenza ostetrica non è un problema solo italiano, né denunciato e registrato esclusivamente dall’indagine del 2017. Secondo le Nazioni Unite, anzi, «Il maltrattamento e la violenza contro le donne durante l’assistenza sanitaria riproduttiva e il parto sono una grave violazione dei diritti umani delle donne che si verifica in tutti i contesti geografici e a livello di reddito».

Non solo l’indagine non rappresentava una realtà molto diversa da quella degli altri Paesi, ma i dati tanto contestati sono stati confermati da una nuova ricerca. Secondo uno studio dell’Istituto Burgo Garofalo di Trieste sulla qualità delle cure materne e neonatali durante il parto nel primo anno di Covid-19, il 12,7% delle donne che hanno partorito durante la pandemia ha denunciato abusi, il 24% ha dichiarato di non essere stato trattato con dignità, mentre i trattamenti considerati lesivi e pericolosi, come la manovra di Kresteller o l’episiotomia, sono stati praticati rispettivamente nel 68% e nel 19,6% dei casi, con punte del 48,5% in Calabria.

Nell’autunno 2019, il Consiglio d’Europa ha adottato la Risoluzione 2306/2019 e ha chiesto agli Stati membri di garantire un’assistenza alla nascita rispettosa dei diritti e della dignità umana. I numeri – e le voci delle madri, che non tacciono – ci dicono che la strada è ancora lunga, e in salita.

Per questo, in aprile OVOItalia ha diffuso la versione italiana della Carta dell’assistenza rispettosa alla maternità: i diritti universali delle donne e dei neonati della White Ribbon Alliance, un’organizzazione internazionale che promuove e sostiene la salute e i diritti fondamentali di madri e neonati, pensata come uno strumento di tutela per tutti gli attori coinvolti nel percorso nascita, ma soprattutto per le madri, nell’idea che «una maggiore consapevolezza dei diritti delle donne e dei neonati può influire positivamente sulla qualità delle cure erogate all’interno delle strutture sanitarie riducendo i casi di maltrattamento, di abusi e di mancanza di rispetto riportati dalle donne durante l’assistenza al parto, in gravidanza e nel post-parto».

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