Diritti

L’Italia non è un Paese per donne

Violenza, lavoro, innovazione: tre report su tre temi così diversi arrivano alle stesse conclusioni. In Italia la strada verso la parità è ancora lunga e tutta in salita
Credit: Mika Baumeister/unsplash

Che il nostro non sia un Paese per donne non è una novità. Quanto siamo lontani dal raggiungimento della parità di genere, però, non è mai stato lampante come negli ultimi giorni, in cui tre report usciti a brevissima distanza dedicati a tre diversi ambiti – violenza di genere, parità e lavoro - hanno mostrato con una chiarezza allarmante quanto ancora la strada verso un Paese più giusto ed equo per tutte e tutti sia ancora in salita.

La violenza parla italiano e ha le chiavi di casa. Il rapporto D.i.Re.

Secondo il report annuale di D.i.Re. (Donne in Rete contro la violenza), le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza sono state 20.711 nel 2021: sono il 3,5% in più rispetto al 2020. Soprattutto, sono l’8,8% in più le donne che non lo avevano mai fatto e che, per la prima volta, hanno chiamato un CAV. Quasi la metà di loro ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni.

Tra le donne accolte meno di una su tre (il 28%) decide di denunciare, una percentuale che è rimasta sostanzialmente costante negli anni. Una percentuale che colpisce, ma non stupisce, visto che il rischio della vittimizzazione secondaria è sempre presente nel contatto con le istituzioni e continua a frenare molte donne nella possibilità di affidarsi alla giustizia. Non solo: in molti casi subentrano anche fattori di tipo economico: una donna su tre, infatti, è a reddito zero e solo il 37% (tra occupate e pensionate) può contare su un reddito sicuro.

Dal report emerge anche un altro dato, che conferma quelli degli anni precedenti e sconfessa ancora una volta la leggenda ripetuta da (alcuni) politici e media secondo cui le donne dovrebbero temere “gli extracomunitari” (con tutti i controsensi con cui il termine viene utilizzato) o, per i più nostalgici, “l’uomo nero”: le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza sono prevalentemente italiane (l’84%) e nella stragrande maggioranza dei casi a essere italiano è anche l’autore della violenza, che solo in 27 casi su 100 ha provenienza straniera.

Ma c’è di più: nove volte su dieci, infatti, il maltrattante non è un estraneo, ma una persona che ha una relazione affettiva con la vittima: nel 56,7% dei casi è il partner, nel 23,1% l’ex partner, nell’11,1% un familiare.

Oggi no, domani nemmeno, sì tra 132 anni. Il Gender Gap Index 2022

Se le cose non vanno bene sul fronte della violenza di genere, non si può dire che la condizione femminile sia più rosea sul fronte della parità.

Secondo i dati del Global Gender Gap Index 2022 del World Economic Forum, infatti, l’Italia non ha fatto alcun miglioramento nella riduzione del divario di genere. Rispetto al 2020, infatti, i passi avanti sulla strada della parità tra uomini e donne sono stati così piccoli (pari allo 0,001) da essere impercettibili.

Immobile nella sua arretratezza, al 63esimo posto dopo Uganda e Zambia e appena sopra la Tanzania, il “bel” Paese rimane lontano non solo dalle altre democrazie europee che guidano la classifica - Islanda, Finlandia e Norvegia - ma anche dai paesi con cui siamo soliti confrontarci: siamo 46 posizioni sotto la Spagna (17esima), 48 sotto la Francia (15esima) e ben 53 sotto la Germania (decima).

C’è da dire che dal punto di vista dei miglioramenti dell’ultimo anno siamo in ampia compagnia: secondo l’analisi, delle 146 economie mondiali esaminate solo 1 su 5 è riuscita a ridurre il divario di genere di almeno l’1% nell’ultimo anno. Peccato che l’Italia faccia sempre parte delle quattro che non lo hanno fatto e che, anzi, registrano percentuali irrisorie.

Anche le prospettive per il futuro non lasciano ben sperare: per ridurre il divario di genere nel mondo ci vorranno addirittura altri 132 anni. Un dato migliore di quello dello scorso anno (in cui erano 136) ma ancora lontanissimo dall’essere anche solo minimamente accettabile, soprattutto dopo l’impatto devastante della pandemia, che ha riportato le lancette indietro di una generazione: non solo, infatti, le donne hanno subito di più il peso della quarantena (perdendo il lavoro in misura doppia rispetto agli uomini) ma sono state anche le più penalizzate nel post-lockdown.

Una nota positiva è quella dell’Europa nel suo insieme, che ha il secondo livello più alto per parità di genere (76,6%): per il Vecchio Continente, il tempo stimato per colmare il divario è di “soli” 60 anni.

Tecnologia canaglia. Il Boston Consulting Group e Women’s Forum

Se questo è lo scenario non sorprende quello che emerge dal terzo report legato alla condizione femminile uscito negli ultimi giorni, il rapporto del Boston Consulting Group e Women’s Forum dal titolo “The Network Effect: How Women Beat the Odds to Get to the Top in Tech”.

Secondo l’indagine, realizzata su oltre 1.500 donne e uomini che ricoprono ruoli apicali nel settore tecnologico o nelle divisioni tech delle imprese in Francia, Germania, Italia e Regno Unito, le donne faticano di più per ottenere lo stesso riconoscimento degli uomini anche in un settore che immaginiamo caratterizzato da apertura e innovazione.

A parità di ambizione – o quasi: le donne che dicono di volere un aumento di carriera nei prossimi 3 anni sono il 47% contro il 42% degli uomini – di competenze e di volontà di assumersi dei rischi, infatti, le donne non riescono a far corrispondere al desiderio di carriera un effettivo avanzamento professionale: solo il 17% delle donne manager ha cambiato più di cinque lavori nel corso della propria storia professionale, contro il 22% degli uomini. Questo perché nel loro cammino verso la leadership la maggior parte delle donne deve affrontare sfide che gli uomini non incontrano.

Non solo ci sono pochi mentori che possano aiutarle e sostenerle; le donne subiscono una maggiore pressione per dimostrare le loro abilità rispetto agli uomini, in particolare per quanto riguarda proprio le competenze tecnologiche, il che significa che le donne sentono di dover lavorare di più per lo stesso riconoscimento.

A frenare la leadership femminile nel tech, però, è anche un fenomeno ben poco innovativo e ormai noto in tutti i campi lavorativi: molte donne hanno responsabilità di caregiving – verso bambini, anziani o persone con disabilità - che si traducono in lunghi periodi di assenza dal lavoro.

Sebbene sia uomini e donne siano d’accordo che un lungo periodo di assenza o il part time abbiano un impatto negativo sulla carriera (in Italia lo pensano il 57% degli uomini e il 50% delle donne), solo due uomini su 10 utilizzano questi strumenti. Le colleghe che lo fanno sono 5 su 10, la metà.

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di Azzurra Rinaldi 3 min lettura