Economia

Licènziáti: chi sta perdendo il lavoro oggi ad Airbnb?

Sono colossi che hanno accumulato profitti per anni. E ora licenziano. Stiamo parlando di multinazionali, banche e Big Tech. Se vuoi sapere quali, hai scelto la rubrica giusta
Credit: Airbnb
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26 maggio 2023 Aggiornato alle 17:00

Per le grandi banche, imprese del settore tech e multinazionali non è decisamente un buon momento: incertezza finanziaria e riduzioni significative degli investimenti hanno colpito le enormi aziende. Come accade per ogni crisi economica, a patire le vere conseguenze sulla propria pelle è il mondo del lavoro: non bastano riduzioni di capitale sociale e ricorso a sovraindebitamento per salvare i titoli sui mercati, spesso sospesi per eccessivo ribasso. Bisogna licenziare, tagliare le posizioni ormai superflue.

Avrebbe dovuto essere l’anno della sua quotazione in borsa, del grande salto verso il mercato del capitale di rischio, un passaggio fondamentale per la crescita di una impresa e per il suo posizionamento nel mercato. Invece il 2020 (annus horribilis della pandemia da Covid-19 e punto di inizio di un nuovo decennio contraddistinto da guerre in occidente e tracollo climatico) sarà più che altro ricordato come un brusco stop alla crescita di Airbnb, piattaforma online per l’affitto breve di camere e appartamenti privati nata a San Francisco nel 2007, che per via di lockdown protratti in tantissimi Paesi ha visto calare le proprie prenotazioni di circa l’85% in pochi mesi, con cancellazioni di circa il 90% e ricavi diminuiti di oltre il 25%. Solo l’anno prima la società era stata valutata 31 miliardi di dollari e aveva incassato oltre 3 miliardi di dollari di commissioni (pari circa al 10% su ogni affitto).

Le quarantene generalizzate in tutti gli Stati maggiormente colpiti dal virus hanno colpito duramente la sharing economy, un nuovo modello economico e culturale frutto della crisi finanziaria e capace di promuovere forme di consumo caratterizzate dalla condivisione di beni e servizi invece della classica compravendita, di cui proprio Airbnb rappresentava l’esempio più riuscito.

Una crisi talmente insostenibile da portare l’amministratore delegato e cofondatore Brian Chesky a indebitarsi per oltre 2 miliardi di dollari con tassi di interesse pari all’11%, una soglia che in genere spetta «solo per le aziende in gravi difficoltà», e contemporaneamente istituire un fondo da 250 milioni di dollari in soccorso di tutti gli host che avevano visto cancellare la prenotazione al proprio appartamento.

Fino a giungere verso la più dolorosa (e quindi efficace) soluzione per riprendere fiato e recuperare la fiducia del mercato a cui la società si era appena affacciata: licenziare 1.900 dipendenti su 7.500, pari a circa il 25% della forza lavoro totale sparsa in 24 Paesi. Le dinamiche di questa spiacevole decisione sono descritte per intero in una nota ufficiale del 5 maggio 2020 che dà del tu al dipendente coinvolto dal taglio “Ti chiediamo un po’ di comprensione e pazienza per consentirci di dar loro tutto il supporto necessario. Ecco cosa puoi aspettarti la prossima settimana”.

Airbnb sceglie un taglio più personale, intimo e decisamente più empatico delle gelide notifiche di Twitter che avvisavano il licenziamento di massa (sempre dopo aver oscurato l’account aziendale), senza però nascondere la gravità della scelta presa. «Stiamo vivendo collettivamente la crisi più straziante della nostra vita - spiega Chesky, secondo cui quando finalmente riprenderanno i viaggi nel mondo - funzioneranno in modo diverso» e l’struttura aziendale dell’impresa deve sin da subito prepararsi.

È necessario dunque tagliare le spese superflue come gli investimenti nel settore dei trasporti e progetti sperimentali nella produzione di contenuti audiovisivi (Airbnb Studios), oltre a una drastica riduzione dei piani di integrazione nell’offerta di alberghi e proprietà di lusso. Con il risultato che «dovremo separarci dai compagni di squadra che amiamo e apprezziamo», a cui comunque saranno versate 14 settimane di retribuzione base, più una settimana aggiuntiva per ogni anno passato in azienda.

Con il tempo, l’arrivo dell’estate e il graduale allentamento delle misure di contenimento in Europa e negli Stati Uniti, le persone hanno ricominciato a viaggiare e quindi a consultare la piattaforma per prenotare i propri alloggi, portando la società a racimolare circa 200 milioni di dollari di utili, oltre che un’ottima quotazione in borsa che l’ha traghettata verso una capitalizzazione di mercato da 100 miliardi di dollari.

Recuperato terreno fra gli investitori, oltre che dagli utenti, nel 2022 Airbnb si è inserita nell’elenco di aziende tech che adottano il modello Live and Work Anywhere, come si evince in un’altra comunicazione dove Chesky annuncia che gli (ormai) 6.000 dipendenti sparsi in 27 città in tutto il mondo avranno «piena libertà di organizzarsi e scegliere se continuare a optare per lo smart working o se frequentare di più le sedi aziendali». Nomadi digitali inseriti in contesti lavorativi flessibili, nella speranza le vacanze e i viaggi non si fermino più.

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