Economia

Licènziáti: chi sta perdendo il lavoro oggi a…?

Sono colossi che hanno accumulato profitti per anni. E ora licenziano. Stiamo parlando di multinazionali e Bigtech. Se vuoi sapere quali, hai scelto la rubrica giusta
Credit: Cottonbro Studio
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29 marzo 2023 Aggiornato alle 19:00

Per le grandi imprese del settore tech e multinazionali non è decisamente un buon momento. Incertezza finanziaria e riduzioni significative degli investimenti hanno colpito perfino aziende enormi come quelle della Silicon Valley. Come accade per ogni crisi economica, a patire le vere conseguenze sulla propria pelle è il mondo del lavoro: non bastano riduzioni di capitale sociale e ricorso a sovraindebitamento per salvare i titoli sui mercati, spesso sospesi per eccessivo ribasso. Bisogna licenziare, tagliare le posizioni ormai superflue.

Questa è stata la conclusione di circa 528 imprese del settore tech che solo nel 2023, stando ai dati riguardanti i licenziamenti per motivi economici monitorati dal portale Layoff.fyi, hanno mandato a casa ben 153.598 dipendenti. Una cifra che spaventa e ci pone di fronte a uno scenario, quello delle industrie del tech, che tenta di riorganizzarsi di fronte a una impalcatura finanziaria mondiale estremamente fragile.

In vetta alla classifica dei più vasti licenziamenti dal periodo Covid-19 in poi spicca Google con 12.000 posti di lavoro saltati. Seguono poi Meta, che per far fronte a vaste riduzioni dell’utile dovuto agli investimenti non proprio fruttuosi per il metaverso ha dovuto licenziare 11.000 persone nel 2022 e altre 10.000 l’anno dopo.

Scorrendo la classifica, al 16° posto troviamo Twitter con i 3.700 licenziamenti ordinati dal nuovo Ceo Elon Musk. Proprio pochi giorni dopo aver twittato entusiasta riguardo la “liberazione” dell’uccellino simbolo della piattaforma, l’imprenditore sudafricano ha immediatamente fatto piazza pulita dei top manager, per poi passare ai dipendenti, licenziati attraverso mail, spesso mandate per errore e senza una ponderata valutazione relativa alla necessità di mantenere o meno quel dipendente.

Licenziamenti su vasta scala, sbrigati in fretta e furia, con il peso di un bilancio in “profondo rosso” sulle spalle e conseguenti class action contro l’azienda di Musk per non aver adempiuto alla corretta procedura stabilita dalla legge (che prevede un preavviso di 60 giorni) da parte di migliaia di lavoratori che avevano appreso la notizia solo grazie agli account di lavoro bloccati.

D’altronde, questa è la forma più estrema di una modalità di licenziamento tipica delle imprese del settore tech, caratterizzata dalla immediatezza e da forme di comunicazione talmente semplici da sembrare ancora più ciniche e insensibili.

Un esempio è Indeed, motore di ricerca che raccoglie annunci di lavoro da quotidiani, associazioni e compagnie private: il 22 marzo, 2.200 persone hanno ricevuto una mail con oggetto “Your Position Has Been Impacted” (la tua posizione è stata colpita, impattata). È questo il modo con cui le aziende digitali annunciano tagli al personale effettivi sin da subito (l’ultimo giorno è quello della comunicazione) e immediata disconnessione dal sistema internet interno dell’azienda, con la possibilità di accedere a Slack, un software aziendale per messaggiarsi con amici e colleghi per qualche giorno ancora, fino al definitivo oscuramento.

Nel giro di pochi minuti, dopo aver ricevuto una semplice notifica sullo smartphone, la vita di migliaia di lavoratori cambia per sempre, liquidata con 16 settimane di stipendio con la speranza che il servizio di ricollocamento offerto dalla società porti qualche risultato. “A chi ci lascerà, stiamo lavorando per dare il massimo del nostro supporto”, conclude la mail.

La posizione lavorativa, finanziaria e sociale delle persone è appesa a un messaggio di testo standardizzato: poche righe che cercano di spiegare la situazione di crisi dovuta a cali di 7,5 milioni di annunci di lavoro previsti nei prossimi anni, quanto sia stato difficile arrivare a quella conclusione e, infine, confortare vanamente i destinatari del messaggio.

Nel 2022 i tagli hanno colpito 161.000 lavoratori. Il 2023 si sta preparando, con buona probabilità, a superare il conteggio visto l’andamento crescente di imprese tech che optano per questa scelta. Perfino il colosso della consulenza strategica e direzionale Accenture, nonostante l’ultimo fatturato di 61,6 miliardi e aumenti del 5% nell’ultimo trimestre, si appresta a tagliare 19.000 posti (il 2,5% della sua forza lavoro globale) «per ridurre i nostri costi nell’anno fiscale 2024 e oltre», spiega l’amministratore delegato Julie Sweet.

Costi che, stando alla maggior parte delle mail dove i Ceo annunciano i tagli, sarebbero legati anche a un eccesso di assunzioni effettuati durante gli anni più duri della pandemia (circa 1 milione di nuovi lavoratori reclutati tra la primavera del 2020 e l’inizio 2023) in un momento storico in cui la presenza online e l’esplosione dell’e-commerce ha fatto lievitare i ricavi di tutto il settore tech, che di conseguenza ha avuto bisogno di più forza lavoro con la convinzione che gli utili sarebbero aumentati costantemente anche dopo il Covid. «L’ho pensato anch’io, e così ho deciso di aumentare in modo significativo gli investimenti - spiega Mark Zuckerberg in un messaggio rivolto ai dipendenti di Meta, che dal 2019 al 2022 aveva aumentato il suo organico del 94% - purtroppo, le cose non sono andate come mi aspettavo».

Gli studiosi più ottimisti ritengono che i lavoratori licenziati in massa dalle imprese tech possano trovare rifugio in altri settori sempre più bisognosi di talenti tecnologici che aiutino il proprio business a stare al passo della nuova era digitale. Banche e imprese assicurative hanno fra le mani milioni di dati da gestire e sfruttare in modo efficiente, ma anche tutto il mondo industriale è in cerca di figure lavorative che forniscano nuova linfa alla propria filiera.

Uno dei casi più emblematici è il settore automotive, sempre più focalizzato su software che conferiscano maggiore capacità di interconnessione ai propri prodotti.

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