Futuro

Smart working: i nomadi digitali fondano uno Stato

I remote workers, 4 milioni solo in Italia, stanno iniziando a pensarsi come una nuova nazione, uno stato a-geografico, agnostico dal punto di vista politico. Il progetto più avveniristico in questo senso è Kift
Credit: Surface/Unsplash
Tempo di lettura 6 min lettura
1 settembre 2022 Aggiornato alle 21:00

Se la matematica non è un’opinione e se i numeri influenzano la politica allora è il caso di incominciare a fare i conti che una grande trasformazione che sta per arrivare nel panorama geopolitico mondiale. Sto parlando dei nomadi digitali.

Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano sono 4 milioni gli smart workers in Italia.

E complessivamente nel mondo, anche secondo le stime più conservative, sono molte decine di milioni. Una parte consistente di questi remote workers ha completato la serie di conseguenze logiche associate al “lavorare dove si vuole” divenendo nomadi digitali.

Se si può lavorare nel luogo in cui si preferisce, perché allora continuare a vivere in una città grigia, costosa e inquinata (come Milano, Boston, Chicago, Londra)?

In effetti con lo smart working molte delle ragioni che ci hanno spinto per anni a trasferirci nelle città “dove c’è il lavoro” sono cadute. Forse per sempre.

Secondo alcune stime, sono 35 milioni i nomadi digitali nel mondo. Solo 10 milioni sono americani.

Si tratta di persone che hanno scelto di lavorare comodamente da casa e di trasformare la propria casa nel mondo.

Vivono in hotel, in appartamenti affittati con formule di media-lunga permanenza su AirBnB, da amici e in community temporanee che si formano in specifici e attrattivi luoghi del mondo. Che si stanno strutturando per diventare mete e luoghi privilegiati dai nuovi nomadi (es. Bali).

Una parte dei remote workers sono dunque diventati nomadi digitali e complessivamente stiamo parlando dell’equivalente, in termini di numeri, di una nuova nazione, mobile, apolide, cosmopolita, un po’ hippie, un filino new age, ma con un indubbio spirito imprenditoriale.

Sfruttano i visti e i permessi turistici, abitano le nazioni per il tempo che gli viene consentito dai tempi di permanenza delle visite turistiche e poi volano come uccelli migratori in nuovi lidi.

Tornando periodicamente dai genitori, nella casa di famiglia. Insomma è un grande trend culturale. Ma chi pensa che si tratti solo di questo si sbaglia di grosso.

Per questo, abbiamo parlato di numeri all’inizio.

I 35 milioni di nomadi digitali sono destinati ad aumentare e a crescere esponenzialmente. Per varie ragioni, in primis per la diffusione dello smart working, che sta diventando sempre di più un’esigenza tanto di aziende quanto dei dipendenti.

E in secondo luogo perché nei settori trainanti dell’economia, in particolare il digitale, la presenza fisica è ampiamente sostituibile da ogni genere di programma, software, strumento online. Insomma da remoto si lavora bene. Quello che manca eventualmente è il contatto umano. Ed è questo il punto.

I nomadi digitali si stanno aggregando. Stanno nascendo siti, progetti e community per permettere ai nomadi di ritrovarsi e sostenersi quando si trovano dispersi in qualche angolo ameno del pianeta. Il progetto più avveniristico al momento è Kift.

Kift non si propone come il solito sito di incontri dei nomadi digitali. Kift è la conseguenza logica di quanto abbiamo detto: è un progetto sociale e politico al tempo stesso.

Se i nomadi digitali sono decine di milioni e stanno crescendo, allora possono iniziare a pensarsi come a una nuova nazione, uno stato a-geografico, agnostico dal punto di vista politico. I nomadi digitali producono reddito, fatturato, PIL, consumano, stimolano le economie locali.

Ma non sentono di appartenere al mondo tradizionale, ai confini disegnati dai potenti per spartirsi le ricchezze.

Kift è la community di nomadi e si propone come un nuovo Stato che cerca di ottenere qualche tipo di riconoscimento dalle arcane istituzioni geo politiche tradizionali.

Il principio si basa sulle community houses, case a disposizione dei nomadi digitali in varie località del mondo e sul noleggio di vans per rendere raggiungibili le varie community.

Pagando la membership, con un abbonamento di circa 400€ al mese, si ha accesso a tutte le community house del progetto e con quello di 800€ al mese si può affittare anche il caravan per spostamenti tra le varie location. Inoltre il programma include eventi culturali e sociali a cui si può partecipare in quanto nomadi della community.

Tecnicamente Kift è un po’ il Tinder, l’AirBnB e il Facebook dei nomadi digitali.

Ma come dicevamo ha un ambizione più ampia, ovvero quello di vedere ufficializzato e riconosciuto questo nuovo modello di vita.

Kift oggi è inserito sulla dashboard di The Network State, l’aggregatore di progetti online-offline (onlife) che ambiscono a diventare nuove tipologie di stati non geografici e non tradizionali, ma riconosciuti e con un’organizzazione politica interna e autonoma.

Perché questo bisogno di riconoscimento? Per tanti motivi.

In primo luogo, i nomadi digitali oggi sono vincolati ai visti turistici e dunque non hanno libero accesso al mondo.

In secondo luogo pagano le tasse nella nazione a cui è associata l’azienda o le aziende per cui lavorano, ma generano economia e indotto in ogni luogo del mondo. Anche questo è incongruente.

Il terzo motivo è ideologico ed è condiviso da molti progetti elencati su The State Network.

Oggi è la rete che definisce l’appartenenza, non è più il vincolo di prossimità geografico.

Grazie alla rete io posso sentirmi più a casa in un gruppo su Facebook di appassionati di meditazione himalayana, che non con i miei compaesani.

Grazie allo smart working, posso inoltre trascorrere mesi all’anno con altre persone appassionate in Nepal, Bhutan e Tibet, meditando ed esplorando la spiritualità che sento mia.

Oggi grazie a progetti come Kift la mia permanenza in questi luoghi diventa molto simile a quella di una vita stabile, grazie a servizi, appartamenti, eventi e comunità.

Ma in luoghi lontani dalla mia casa originale e non del tutto connotati geograficamente. Insomma non è turismo, non è pellegrinaggio e non è un viaggio. È un nuovo modo di vivere a cui dovrebbero corrispondere nuove regole e un riconoscimento. Il progetto di Kift ambisce dunque a ottenere questo riconoscimento e a creare una nuova nazione. Il mondo è cambiato. I numeri lo dicono. Saremo in grado di capirlo prima di creare ulteriori fratture?

In queste settimane non si parla d’altro che di programmi politici di destra e di sinistra. Ma il mondo si sta trasformando.

I nomadi digitali non sono certamente di destra e di sinistra.

Hanno qualcosa degli hippie degli anni 60, ma con piglio imprenditoriale. Non credono nei valori tradizionali della famiglia e della nazione. Ma creano nuovi nuclei famigliari apolidi e cosmopoliti. Voteranno il 25 settembre?

La mia sensazione è che vorrebbero votare per il loro “Stato” Kift, se mai dovesse venire riconosciuto come tale. Piuttosto che per nazioni che non significano più molto per loro.

Leggi anche
Smart working
di Elena Esposto 7 min lettura