Diritti

Serbia e Usa hanno un problema con le armi (e non sanno affrontarlo)

In questi giorni, stragi simili hanno rimesso al centro il problema dell’uso delle armi nei due Paesi. Un’emergenza che, soprattutto negli States, è ormai fuori controllo
Credit: EPA/ANDREJ CUKIC
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
9 maggio 2023 Aggiornato alle 09:00

La scorsa settimana la Serbia ha vissuto un episodio mai avvenuto prima ma non del tutto inatteso, considerando l’alto numero di armi in circolazione: una sparatoria in una scuola.

Eventi di questo tipo purtroppo non sono una novità e a causa della frequenza tutt’altro che minima con la quale si verificano le notizie in merito scivolano sempre più spesso dalle prima pagine dei giornali a quelle che si occupano di fatti non del tutto eccezionali.

Solitamente però teatro di questi orrori sono località statunitensi. Questa volta, invece, è toccato a Belgrado, dove un ragazzino di 14 anni ha aperto il fuoco in una scuola elementare, uccidendo nove persone, otto bambini e un adulto, e ferendo altri 6 studenti e un insegnante.

Ma non è finita, il giorno dopo in un villaggio a Mladenovac, a sud della capitale, un ventunenne dalla propria auto ha aperto il fuoco sulla folla, uccidendo 8 persone e ferendone 13 in quello che il Presidente della Serbia Aleksandar Vucic ha definito «un attentato terroristico e un attacco all’intero Paese».

Due giorni di sangue che hanno sconvolto la popolazione e alla quale la politica sta provando a dare risposte tempestive.

Le uccisioni di massa sono rare in Serbia, nonostante le armi illegali siano molto diffuse nei Balcani, sulla scia delle guerre degli anni ‘90.

Secondo i dati raccolti nel 2017 dalla Small Arms Survey del Geneva Graduate Institute, la Serbia ha il quinto più alto tasso di possesso di armi civili pro capite al mondo, insieme al Montenegro, con 39,1 armi da fuoco ogni 100 persone. Tuttavia, il Global Burden of Disease del 2016 ha attestato che i morti per armi da fuoco sono sempre stati relativamente pochi, tanto da escludere il Paese dalla top 50.

Forse anche per questo la guardia non è mai stata particolarmente alta.

Adesso però le cose sembrano destinate a cambiare, con il Presidente pronto a virare verso un disarmo quasi totale, da perseguire attraverso controlli più stringenti sulle armi, nuove regole per possederle, l’istituzione di una moratoria di due anni sul rilascio dei permessi, verifiche su quelli già in essere e sanzioni più severe per il possesso di armi illegali.

Mentre è stata annunciata anche l’assunzione di 1.200 agenti di polizia per aumentare la sicurezza nelle scuole, è al vaglio la possibilità di vietare gli smartphone negli istituti e introdurre nuove normative sui social network, specificamente rivolte a contenuti che possono danneggiare gravemente lo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori.

Una misura che si lega a filo doppio con le recenti stragi, effettuate entrambe da giovanissimi.

La prima soprattutto porta al centro del dibattito il tema della salute mentale degli adolescenti e il semplice accesso a contenuti violenti.

Secondo il capo della polizia di Belgrado Veselin Milić, la notte prima dell’omicidio alla Vladislav Ribnikar Elementary, il 13enne che avrebbe poi aperto il fuoco sarebbe stato sveglio fino a tardi a guardare video su TikTok e un documentario americano su una sparatoria in una scuola.

Probabilmente non era nemmeno la prima volta che provava a documentarsi. Almeno questo è ciò che suggerisce la dimestichezza con la quale ha sparato 57 colpi e maneggiato le due pistole, sottratte al padre che le possedeva legalmente e che lo aveva portato a sparare a un poligono di tiro nel seminterrato dello stadio del FK Partizan di Belgrado, nonostante in Serbia sia illegale per i giovani maneggiare armi.

A ispirare l’omicida sono stati quindi con ogni probabilità coetanei Usa e non c’è da stupirsi visto che oltre Oceano le sparatorie sono ormai all’ordine del giorno e molto avvengono proprio nelle scuole.

Secondo la Small Arms Survey del Geneva Graduate Institute, gli Stati Uniti hanno il più alto tasso di possesso armi pro capite, con 120,5 pistole per 100 persone.

L’ultima strage in ordine di tempo è avvenuta sabato scorso nel parcheggio di un centro commerciale a Dallas, in Texas, dove un uomo con idee neonazista e suprematiste ha ucciso otto persone.

Il copione del dopo in questi casi è tristemente noto e si è ripetuto anche questa volta, con il presidente Joe Biden che ha ordinato bandiere a mezz’asta sugli edifici pubblici in memoria delle vittime, ribadito la sua ferma condanna alla circolazione indiscriminata di armi negli Usa e la volontà, vana, di arrivare a un giro di vite. «Ancora una volta chiedo al Congresso di approvare una legge che vieti i fucili d’assalto e i caricatori ad alta capacità e che imponga controlli sul background di chi vuole acquistare un’arma. Non abbiamo bisogno di altro per tenere le nostre comunità al sicuro», ha affermato.

Alcuni giorni prima un’altra sparatoria, questa volta in un ospedale di Atlanta, aveva generato le stesse reazioni, che diventano sempre più deboli a fronte di un bollettino quasi quotidiano.

Dall’inizio dell’anno, infatti, secondo il Gun Violence Archive, un’organizzazione indipendente di ricerca e raccolta dati sulle sparatorie negli Stati Uniti, nel 2023 ci sono state 202 sparatorie di massa. The Gun Violence Archive definisce una sparatoria di massa un evento in cui almeno quattro persone sono state colpite o ferite, al di fuori dell’uomo armato. Nel complesso, solo quest’anno sono morte più di 14.500 persone a causa della violenza armata, 273 sono state ferite in sparatorie di massa e altre 781 ferite.

Dal 2020, ci sono state almeno 600 episodi simili ogni anno in tutta l’America e diversi studi dimostrano che questo fenomeno sta avendo un impatto significativo sulla salute mentale dei giovani, che proverebbero maggiore ansia e stress. Le persone, inoltre, sembrano aver mutato negli anni parte delle loro abitudini, con un terzo degli adulti che afferma di allontanarsi da determinati eventi e luoghi molto affollati a causa della paura.

Nonostante ciò le probabilità che qualcosa cambi sul serio sono remote, e non solo per lo strapotere della lobby delle armi, la National Rifle Association, contro il quale anche lo stesso Biden può ben poco.

A fronte di chi si dimostra spaventato, infatti, c’è chi, soprattutto tra i repubblicani, vede qualsiasi misura di controllo delle armi come un ripudio del Secondo Emendamento, che sancisce invece il diritto dei cittadini statunitensi di detenere e portare armi.

E mentre alcuni candidati alla presidenza, primo tra tutti Donald Trump, stanno ponendo i diritti sulle armi al centro delle loro campagne elettorali, molti Stati repubblicani stanno rendendone più agevole l’accesso.

In Tennessee un giudice ha abbassato il limite d’età per acquistarne una senza bisogno di permessi da 21 a 18 anni, lo stesso giorno in cui in una scuola elementare di Nashville si era consumata l’ennesima strage.

Il bollettino dei morti, quindi, è destinato ad allungarsi.

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