Diritti

Usa: 20 milioni di AR-15 nascosti in tutto il Paese

Circa 1 americano su 20 possiede il fucile: non a caso, è l’arma più diffusa negli States e la preferita per le sparatorie di massa. I Repubblicani vogliono leggi ancora più permissive
Credit: Gabriele Galimberti, Ameriguns-IMP-Festival-2
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
3 aprile 2023 Aggiornato alle 11:00

“Non avrebbe dovuto essere un bestseller”, dice il Washington Post. Eppure, l’AR-51 oggi è uno dei fucili più diffusi negli Stati Uniti.

Nato negli anni ‘50 come arma militare, è diventato la dotazione standard dei soldati americani in Vietnam con il nome M16. Oggi è l’arma più venduta e prediletta degli autori di sparatorie di massa.

“Pochi produttori di armi hanno visto una versione semiautomatica del fucile […] come un prodotto per la gente comune. Non sembrava adatto alla caccia. Sembrava eccessivo per la difesa di casa. I dirigenti delle armi dubitavano che molti acquirenti avrebbero voluto spendere i loro soldi per comprarne uno”. Si sbagliavano.

Le grandi fiere del settore, ricorda il Wp nell’articolo Il fucile che divide una nazione, lo hanno relegato nelle retrovie, mentre la National Rifle Association promuoveva altri modelli di armi. Evidentemente, senza risultati: oggi, l’AR-15 è il fucile più venduto negli Stati Uniti, secondo i dati di settore. Circa 1 americano adulto su 20 (parliamo di 16 milioni di persone) ne è in possesso, secondo i dati dei sondaggi del Washington Post e Ipsos. L’industria stima che almeno 20 milioni di AR-15 siano immagazzinati e nascosti in tutto il Paese. Quasi tutti i principali produttori di armi ne realizzano una propria versione, che ormai domina i siti web dei trafficanti di armi.

È diventato così iconico che Barry Moore, un deputato repubblicano dell’Alabama, a febbraio (quando il Gun Violence Archive aveva registrato già 81 sparatorie di massa negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno, vale a dire poco più di 30 giorni), ha presentato un disegno di legge per dichiarare l’AR-15 “National Gun of America”.

L’indagine del Washington Post (basata su interviste con 16 dirigenti ed ex del settore, oltre a documenti interni e documenti pubblici che descrivono i cambiamenti in dettagli precedentemente sconosciuti) ha rilevato che l’industria statunitense delle armi da fuoco è arrivata abbracciare il significato politico e culturale della pistola come valore aggiuntivo di marketing, mentre si accaparrava nuove entrate.

Il cambiamento, spiega il Post, “è iniziato dopo la scadenza nel 2004 di un divieto federale sulle armi d’assalto che aveva bloccato le vendite di molti fucili semiautomatici. Una manciata di produttori ha visto la possibilità di cavalcare un’ondata di glorificazione militare post 11 settembre, alimentando anche il desiderio tra i nuovi proprietari di armi di personalizzare le proprie armi con accessori tattici. ‘L’abbiamo fatto sembrare bello - ha detto Luth - Lo stesso motivo per cui compri una Corvette’.”

Questo fucile, però, è diventato anche il simbolo di qualcos’altro: 10 delle 17 sparatorie di massa più letali negli Stati Uniti dal 2012, infatti, hanno coinvolto proprio l’AR-15. Non solo: le vendite di questo modello aumentano di più con ogni sparatoria nelle scuole.

Eppure, questo fucile e tutti i suoi “colleghi” sono stati capaci di influenzare non solo le vite che hanno strappato (e quelle che hanno dovuto continuare a vivere con il trauma o il dolore della perdita) ma anche quelle di milioni di americani.

Convivere con le armi, e con la paura

Il 22 febbraio, il Nyt aveva chiesto ai suoi lettori di condividere i loro sentimenti e paure rispetto alla minaccia delle armi, sia che avessero avuto esperienze dirette che attraverso le news, per conoscere in che modo “la minaccia della violenza armata ha influenzato il loro stato mentale o il modo in cui conducono le loro vite”.

“Ovunque io vada, controllo le vie di fuga”. “È scoppiato un palloncino in un locale gay in cui mi trovavo, e tutti si sono zittiti”. “Al lavoro, mi chiedo se la mia scrivania mi fornirebbe abbastanza spazio per nascondermi, o se dovrei semplicemente scappare”. “Ci penso ogni giorno”. Persone che temono per i loro figli, che piangono in segreto nel seminterrato per non mostrarsi spaventate, che si chiedono se loro o loro i cari saranno i prossimi, che ogni mattina abbracciano i figli più forte perché temono di non rivederli più, che pensano di lasciare il Paese. Le risposte sono state oltre 600.

Nelle parole di chi ha raccolto l’appello del Times è palpabile quanto la paura si sia insinuata in profondità sotto la pelle degli americani e quanto il timore di essere coinvolti (o che una persona cara sia coinvolta) in una sparatoria di massa sia estremamente diffuso.

Secondo il sondaggio condotto dall’Harris Poll per l’American Psychological Association, più di 7 adulti su 10 hanno citato la violenza armata come una fonte significativa di stress. Le donne e le persone nere e latine erano i più propense a dare questa risposta.

Le risposte non dovrebbero sorprendere, guardando i dati: le sparatorie di massa, che rappresentano solo una frazione degli omicidi commessi con armi da fuoco, sono cresciute da 383 nel 2016 alle 690 del 2021 e le 647 del 2022. Non solo: nel 2021, omicidi e suicidi con armi da fuoco, che colpiscono in modo sproporzionato le comunità nere e ispaniche, hanno raggiunto i tassi più alti degli ultimi 3 decenni. Le pistole sono la prima causa di morte tra i bambini e gli adolescenti americani.

Per noi è inconcepibile, ma per milioni di genitori la realtà quotidiana è temere che i figli e le figlie non tornino vivi da scuola.

La soluzione? “Più armi!”, parola di repubblicani

Le armi hanno cambiato l’America (e gli americani) eppure c’è chi non vuole imparare la lezione. È sempre il Times a registrare come, dopo le sparatorie di massa, in contrapposizione con chi chiede una legislazione più stringente, in molti Stati i Repubblicani vadano nella direzione opposta, spingendo leggi per facilitare l’acquisto e il possesso di armi.

Come il Tennessee, il cui governatore Bill Lee è convinto che leggi più severe sulle armi da fuoco non avrebbero mai scoraggiato i trasgressori perché “non possiamo controllare quello che fanno”.

La proposta dei legislatori dello Stato va invece nella direzione opposta: rendere le armi da fuoco ancora più accessibili, proponendo progetti di legge per armare più insegnanti e consentire agli studenti universitari di portare armi nel campus. E queste sono solo alcune delle misure proposte quest’anno.

Ma il Tennessee non è un caso isolato: anche in Kentucky, Ohio, Nebraska, Texas e Virginia, i repubblicani hanno spinto per limitare le zone “gun-free”, rimuovere i controlli sui precedenti e annullare le leggi sulle “red flag” che cercano di impedire a coloro che rappresentano un pericolo per se stessi o per gli altri di detenere armi.

La responsabile della sparatoria di massa di Nashville, identificata dalla polizia come Audrey E. Hale, secondo i genitori era in cura presso un medico per un “disturbo emotivo” e “non avrebbe dovuto possedere armi”, ha detto il capo John Drake del dipartimento di polizia della metropolitana di Nashville. Invece, aveva acquistato legalmente 7 armi da fuoco da 5 negozi di armi locali. 3 sono state usate usate durante l’attacco.

La situazione sta progressivamente peggiorando: ora, in 25 Stati non sono richiesti permessi per detenere una pistola. Nel 2020 erano 16, quasi il 40% in meno.

Nonostante un calo nei finanziamenti, dovuto soprattutto alla dubbia gestione delle spese della dirigenza, la National Rifle Association rimane una forza potente a destra. E, spiega il Times, lo stesso movimento per i diritti delle armi è diventato sia più diffuso che influente, con gruppi locali (tra cui i Gun Owners of America e la rete conservatrice dei fratelli Dorr nel Midwest) che hanno un largo un seguito e fanno pressioni sui legislatori statali repubblicani.

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