Economia

Licènziáti: chi sta perdendo il lavoro oggi a First Republic?

Sono colossi che hanno accumulato profitti per anni. E ora licenziano. Stiamo parlando di multinazionali, banche e Big Tech. Se vuoi sapere quali, hai scelto la rubrica giusta
Credit: Vincent Garnier
Tempo di lettura 4 min lettura
28 aprile 2023 Aggiornato alle 14:00

Per le grandi banche, imprese del settore tech e multinazionali non è decisamente un buon momento: incertezza finanziaria e riduzioni significative degli investimenti hanno colpito le enormi aziende. Come accade per ogni crisi economica, a patire le vere conseguenze sulla propria pelle è il mondo del lavoro: non bastano riduzioni di capitale sociale e ricorso a sovraindebitamento per salvare i titoli sui mercati, spesso sospesi per eccessivo ribasso. Bisogna licenziare, tagliare le posizioni ormai superflue.

La crescente mancanza di fiducia verso il sistema bancario colpisce anche la First Republic Bank, fondata a San Francisco nel 1985. I suoi clienti, spaventati dalla fragilità delle banche regionali americane (sulla scia dei recenti crack di Silicon Valley Bank e Signature Bank) sono accorsi in massa agli sportelli per prelevare il proprio denaro e trasferirlo altrove, anche a causa del declassamento che il rating della banca ha recentemente subito da Standard & Poor’s e Fitch Ratings, dovuto al fatto che l’istituto di credito avrebbe prestato molto più denaro di quello depositato.

Da una recente comunicazione si apprende, infatti, che la banca ha registrato negli ultimi mesi un calo di circa 173,5 miliardi di depositi, oltre il 40% del totale. La notizia ha preoccupato fortemente gli investitori che hanno venduto immediatamente le loro partecipazioni, facendo crollare il titolo del 39,26%, con molteplici sospensioni per eccesso di ribasso e più del 50% del valore complessivo della banca andato in fumo.

D’altronde anche Jim Wilcox, professore di economia alla UC Berkeley, interpellato dal canale americano Fox KTVU ritiene che i «piccoli depositi» ossia i risparmiatori con meno di 250.000 dollari in banca «non hanno assolutamente nulla di cui preoccuparsi», mentre per le imprese con depositi superiori sarebbe più ragionevole ponderare l’idea di diversificare i propri conti correnti e spostarsi verso banche più grandi «sulla base del fatto che lì saranno più al sicuro».

A beneficiare della corsa agli sportelli, non a caso, sono stati gli istituti di credito maggiori, in grado di ispirare maggiore sicurezza e stabilità fra i risparmiatori. JPMorgan Chase, la principale banca statunitense, ha visto aumentare i suoi depositi di circa 50 miliardi netti negli ultimi mesi, mentre altre decine di miliardi hanno riempito le casse di Citibank e Wells Fargo, facendo schizzare in borsa il prezzo delle loro azioni.

La First Republic presta il fianco alla sfiducia generalizzata verso le banche più piccole e specializzate, con depositi che, al 31 marzo, sono scesi a circa 104 miliardi di dollari, se contiamo i 30 miliardi forniti in soccorso da 11 colossi bancari degli Stati Uniti, tra cui le stesse citate in precedenza.

A fronte di una strisciante crisi di liquidità, con funzionari governativi che sostengono che il Governo americano non sarebbe intenzionato a intervenire per un piano di risanamento della banca come ha fatto in precedenza per Svb e Signature, la Frb tenta di fermare l’emorragia, cercando di vendere crediti e titoli che possano ristrutturare il bilancio e, ovviamente, pianificando un massiccio taglio dell’organico nel secondo trimestre dell’anno, pari al 20-25%.

L’impresa, con 7.213 dipendenti registrati alla fine dello scorso anno, metterebbe in atto una riduzione di circa 1.800 lavoratori (un quarto della sua forza lavoro complessiva) con l’obiettivo è di scongiurare l’ennesimo fallimento e recuperare la fiducia degli investitori.

Nel tentativo di tagliare i costi, l’amministratore delegato e presidente della banca Michael J. Roffler ha annunciato una riduzione dei compensi dei dirigenti, oltre alla compressione del volume di prestiti, «progetti e attività non essenziali».

Nel frattempo, il consiglio di amministrazione ha sospeso la distribuzione dei dividendi, mentre i dirigenti più importanti hanno già eliminato i loro bonus annuali. Per dare l’esempio, il fondatore della stessa First Republic Bank nonché direttore esecutivo James H. Herbert ha rinunciato al proprio stipendio.

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