Economia

I giovani? In miniera!

Nel nostro Paese gli under 35 sono a rischio povertà, alcuni si trovano già in condizioni di indigenza. Ma una soluzione c’è: mandiamoli a scavare!
Credit: cottonbro studio
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
16 aprile 2023 Aggiornato alle 06:30

Che questo non sia un Paese per giovani è stato detto molte volte. Ma, nel caso in cui ce lo fossimo dimenticato per un attimo, Eurostat, provvede a ricordarcelo, pubblicando nuovi dati sulla povertà. E, in particolare, sulla povertà giovanile.

Il focus dei nuovi dati è sulle persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni e sul loro rischio di incorrere in situazioni di povertà.

Ora, mentre la media europea è appena sopra al 20% (ed è già preoccupante, perché significa che in Europa 1 persona giovane su 5 è a rischio di povertà), in Italia la quota sfiora il 25%. In altri termini, 1 su 4.

Consoliamoci, come sempre, con i Paesi che presentano dati pessimi come il nostro o perfino peggiori: in questo caso, Spagna (25%), Romania (25%), Grecia (25%) e Danimarca (26%).

Ma certo, noi rilanciamo: in Italia, quasi il 6% delle persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni è già in uno stato di grave deprivazione (se ve lo steste chiedendo, anche in questo caso siamo in buona compagnia: in Francia superano il 6%, il Spagna sfiorano l’8%, ma per il resto, tutti gli altri Paesi presentano percentuali migliori di quella italiana).

A confermarci che si tratti di un problema sistemico, sono poi i dati sui Neet, ovvero i giovani Not in employment, education or training: secondo Eurostat e Istat, in Italia rappresentano il 25,1% della popolazione compresa tra i 15 e i 34 anni (stiamo parlando di circa 3 milioni di persone). Su questo, abbiamo il (triste) primato europeo: peggio di noi, nessuno.

Come risolvere?

Una buona notizia, ora: il Governo sta studiando un’ipotesi per favorire l’avvicendamento delle persone più giovani sul mercato del lavoro: la cosiddetta staffetta generazionale. Di cosa si tratta? In sostanza, chi ha ancora di fronte a sé non più di 3 anni al raggiungimento della pensione può lasciare l’azienda e favorire in questo modo il subentro di una risorsa che abbia meno di 35 anni.

L’idea non è male, in una popolazione che invecchia e l’ipotesi allo studio del Governo è incentrata su un focus specifico che riguarderebbe in particolare le piccole e medie imprese, che com’è noto costituiscono il tessuto produttivo del nostro Paese.

Almeno, questo è quanto ha recentemente affermato la ministra del Lavoro Marina Calderone. Anzi, la nuova circolare 1/2023 del Ministero del Lavoro prevede che il lavoratore anziano e di quello giovane possano anche lavorare entrambi, purché in contratto part time. In questo modo, si favorirebbe anche un passaggio naturale di competenze tra le due risorse.

Unico tema: chi paga? Finora, l’azienda (e certo, questa non è la congiuntura economica migliore per chiedere alle aziende di farsi carico di nuove spese).

Ma forse c’è un’altra soluzione

Mandiamoli in miniera! E no, non è uno scherzo. Pare che alcune aziende australiane stiano puntando la zona di Punta Corna, in Piemonte.

Il perché è presto detto: nasconderebbe giacimenti importanti di cobalto, un minerale attorno a cui ruota l’industria degli accumulatori delle auto elettriche. Una buona ragione? Il loro prezzo al chilo è arrivato a toccare il picco dei 50 dollari. Anche se ora è sceso nuovamente intorno ai 30, scatena comunque gli appetiti. E gli australiani non scherzano: avrebbero bisogno di manodopera, che potrebbe contribuire a ripopolare i paesini della zona, ormai deserti. E ci tengono a sottolineare che, certo, non sarebbe il tipo di lavoro dei loro nonni: oggi è tutto diverso, più sicuro e standardizzato.

Ma non si può fare a meno di chiedersi: non ce la facciamo proprio, a capire che per le mani abbiamo una ricchezza che non è il cobalto, ma sono i nostri giovani?

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