Diritti

Brasile e aborto: ci sarà una nuova era con Lula?

Il neo Presidente ha ritirato il Paese dall’Alleanza internazionale antiabortista a cui Bolsonaro aveva aderito. Ma la possibilità di veder garantito questo diritto sembra ancora lontana
Credit: Manuel Cortina/SOPA Images via ZUMA Press Wire
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26 gennaio 2023 Aggiornato alle 22:00

Il presidente Lula ha ritirato il Brasile dall’alleanza internazionale contro il diritto di aborto: la Geneva Consensus Declaration on Promoting Women’s Health and Strengthening the Family. Promossa da Mike Pompeo, Segretario di Stato di Trump, nel 2020, era stata inizialmente co-sponsorizzata dai Governi di Ungheria, Egitto, Indonesia, Uganda e il Brasile di Jaír Bolsonaro. Attualmente è firmata da 32 Paesi: alcuni di questi si collocano ai primi posti per il numero di stupri, matrimoni infantili e schiavitù sessuale, nonostante la dichiarazione pretenda di proteggere l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne e delle famiglie.

Il punto principale su cui si concentra la Dichiarazione è il fatto che il diritto di aborto non è previsto dalle leggi internazionali. Pertanto, si chiede alle Nazioni Unite di non interferire nelle scelte dei singoli Paesi per quanto riguarda l’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) e le politiche della famiglia, ritenuta valida solo se fondata sulla coppia eterosessuale.

A distanza di poche settimane dall’assalto al Palácio do Planalto, Lula ha deciso di dare anche un altro forte segnale di presa di distanza dal suo predecessore, procedendo alla revoca da parte del Ministero della Sanità degli ostacoli legali per l’accesso all’aborto nei casi previsti dalla legge. Il Governo Bolsonaro aveva infatti introdotto l’obbligo per il personale sanitario di notificare alla polizia i casi di aborto per stupro (1 dei 3 casi in cui l’aborto è consentito dalla legge brasiliana), di conservare frammenti di tessuti organici come prove giudiziarie e di praticare ecografie alle donne affinché potessero vedere il feto prima dell’Ivg.

In una nota congiunta del Ministero dei Diritti Umani, degli Esteri, della Donna e della Sanità, il Governo ha giustificato il ritiro dalla Dichiarazione sostenendo che il documento non è in linea con la legislazione nazionale. “Il Brasile ritiene che la Dichiarazione contenga una visione limitata dei diritti sessuali e riproduttivi e del concetto di famiglia e che potrebbe compromettere la piena applicazione della legislazione in materia - si legge nella nota - Il Governo reitera il fermo impegno a promuovere la salute femminile, in linea con quanto previsto dalla legge nazionale e dalle politiche sanitarie in vigore, e il pieno rispetto delle differenti configurazioni familiari”.

Un segnale importante di apertura e di retromarcia rispetto alle politiche conservatrici del Governo Bolsonaro, ma che non cambia in sostanza il fatto che il Brasile è uno dei Paesi meno all’avanguardia per quanto riguarda il diritto all’aborto. Il divieto pressoché totale di accedere all’Ivg fa sì che le donne che vogliono abortire debbano assumersi non solo il rischio della pena (che va da 1 a 3 anni di carcere per chi si auto induce l’aborto) ma anche di gravi complicazioni di salute che possono portare alla morte.

Secondo Human Rights Watch ogni anno in Brasile vengono praticati tra 1 e 4 milioni di aborti la maggior parte dei quali eseguiti in cliniche illegali o altre sistemazioni clandestine e in situazioni sanitarie precarie o totalmente inesistenti. Gli aborti clandestini rappresentano la quarta principale causa di mortalità materna del Paese. Secondo il Sistema Único de Saúde sono circa 250.000 le donne che arrivano al pronto soccorso a causa di complicazioni dovute ad aborti illegali, tra cui emorragie e infezioni spesso letali.

Le principali forze di opposizione al diritto di aborto in Brasile sono la chiesa cattolica, le chiese evangeliche e neo-pentecostali e un certo settore della destra conservatrice. Nei suoi primi due mandati, nonostante le promesse, Lula non è riuscito a scalfirne il potere e tutte le proposte di legge per allargare l’accesso all’aborto sono rimaste in sospeso e poi mandate al macero.

Oggi però la società brasiliana è molto diversa da quella del primo decennio del 2000: è aumentata la coscienza politica e sono apparsi sempre più gruppi di pressione sul fronte dei diritti, e in particolare dei diritti delle donne e delle altre comunità marginalizzate. La speranza è che nella nuova congiuntura politica si trovi terreno fertile per affrontare finalmente il tema e arrivare a una garanzia piena ed equa a questo diritto.

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