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A Lula l’arduo compito di ricambiare il Brasile

Il nuovo Presidente - vincitore con il 50,9% - dovrà gestire un difficile momento economico, ma soprattutto una transizione politica pacifica
Credit: EPA/Sebastiao Moreira
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31 ottobre 2022 Aggiornato alle 18:00

«Hanno cercato di seppellirmi, ma non ci sono riusciti». Luiz Inácio Lula da Silva, leader del Partito dei lavoratori (Pt), ha vinto il ballottaggio delle Presidenziali in Brasile, ed è stato eletto presidente del Paese per la terza volta. È un’elezione storica da molti punti di vista. Il suo avversario Jair Bolsonaro, leader dell’estrema destra, è il primo presidente uscente a non essere rieletto. Lula, invece, è il primo politico brasiliano a essere eletto tre volte presidente del Paese.

Classe 1945, Lula nasce a Caetes, nello stato del Pernambuco (nord-est), in una famiglia umile. Il padre era un contadino analfabeta e lo stesso Lula si sarebbe alfabetizzato solo all’età di dieci anni. Le condizioni difficili della famiglia impongono al futuro presidente di iniziare a lavorare già a 12 anni. Il suo primo impiego è da lustrascarpe.

Nel 1964, dopo aver perso un dito mentre lavorava in fabbrica come tornitore, inizia a interessarsi all’attività sindacale. Un attivismo non certo facile sotto la dittatura militare che governa in quegli anni il Brasile.

Ma Lula si rivela fin da subito un grande organizzatore. Nel 1978, da presidente del sindacato dei lavoratori dell’acciaio, è l’organizzatore dei primi scioperi contro la dittatura militare. La sua fama non si ferma neanche quando due anni dopo viene imprigionato per 31 giorni nelle celle del famigerato Dops (Dipartimento di ordine politica e sociale) in cui venivano torturati gli oppositori politici del regime.

Anzi, anche grazie a questo evento, la sua fama cresce. Nel corso degli anni Ottanta è ricevuto diverse volte a Roma da Papa Giovanni Paolo II.

La sua lotta per la democrazia gli fa guadagnare il soprannome di «Walesa brasiliano» (Lech Walesa è il sindacalista che riuscì a portare la Polonia alla democrazia durante gli anni Ottanta).

Nel frattempo all’attività sindacale Lula ha unito quella politica. Nel 1980 fonda il Pt di cui è ancora oggi, dopo vari periodi di pausa, il leader. Poi arrivano le prime elezioni libere nel Paese. È il 1989 e Lula si candida, arriva al ballottaggio, ma perde a favore della destra. Nonostante le successive sconfitte alle Presidenziali del 1994 e del 1998, Lula non demorde e cerca di creare la sua base elettorale tra gli “ultimi”. Come quando nel 1995 appoggia le dure proteste dei contadini senza terra che chiedono diritti e tutele economiche.

L’impegno paga nel 2002. Lula vince le Presidenziali. È il primo presidente di sinistra nella storia del Brasile e anche il primo senza un diploma universitario. Nella sua vittoria c’è anche lo zampino di un italiano. Si tratta di Guido Mantega, all’epoca suo principale consigliere economico. Poco prima del trionfo Mantega dichiara all’Ansa: «Se la sinistra brasiliana vincerà le presidenziali dovremo dire grazie anche a Massimo D’Alema (all’epoca leader della sinistra italiana ndr)». Il rapporto tra Lula e la sinistra italiana è da sempre molto stretto. Anche in occasione delle ultime elezioni il Pd ha sostenuto Lula come dimostra il viaggio in Sud America del vicesegretario Peppe Provenzano e i vari tweet di giubilo dei dem dopo la notizia della sua vittoria.

Certo, il rapporto con il nostro Paese non è stato sempre nel facile. Il caso più famoso è quello della decisione di Lula di negare l’estradizione e concedere l’asilo politico all’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo (Pac), Cesare Battisti, estradato solo nel 2018 sotto la presidenza di Michel Temer. Nel 2020 Lula ha chiesto scusa ai familiari delle vittime sostenendo di aver sbagliato nel concedere l’asilo all’ex terrorista. Scuse poi estese a tutti gli italiani in un’intervista televisiva nel 2021.

Rapporti con l’Italia a parte, il primo periodo di governo di Lula dura dal 2002 al 2010. La sua presa del potere non è certo salutata con entusiasmo dai mercati americani che, prima delle Presidenziali del 2002, arrivano a creare un “lulometro” collegando la probabilità di vittoria del leader del Pt alla caduta finanziaria del Brasile.

Le sue scelte politiche, tacciate spesso di populismo e assistenzialismo dagli avversari, trovano il loro simbolo nella “Bolsa Familia”, un programma di sovvenzioni che ha strappato alla fame milioni di persone. Al centro dell’agenda c’è anche l’ambiente. Tra il 2004 e il 2012, grazie alle politiche del suo governo, la deforestazione amazzonica è diminuita da 27700 chilometri quadrati all’anno a 4500.

Lula è anche un simbolo di speranza per i popoli indigeni. Non a caso Survival International, movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, ha salutato la sua vittoria come «un momento cruciale» dopo le azioni ostili intraprese da Bolsonaro.

Alle Presidenziali del 2010 Lula non può ricandidarsi a causa del divieto di correre per tre mandati consecutivi. Ma resta il punto di riferimento della sinistra brasiliana che vince anche alle Presidenziali del 2010 e del 2014. Nel frattempo nel 2011 gli viene diagnosticato un cancro da cui fortunatamente guarisce. Nel 2016 tutto sembra crollare. L’inchiesta “Lava jato” travolge il Pt, accusato di essere protagonista di un sistema di corruzione basato su tangenti e reciproci favori fra la compagnia statale petrolifera Petrobras e i governi presieduti da Dilma Rousseff e da Lula stesso.

Le accuse diventano concrete nel 2017 quando Lula è condannato a oltre nove anni di carcere. La decisione spacca il Brasile tra chi crede alle indagini e chi pensa siano manovrate politicamente (Sergio Moro, il magistrato di “Lava jato” sarà ministro della Giustizia con Bolsonaro). Alle Presidenziali del 2018 tutti i sondaggi danno per favorito il Pt guidato da Lula che viene però impossibilitato a candidarsi sempre a causa di una decisione di Moro. Sprovvisto del suo leader, il Pt perde e al governo va Bolsonaro.

Nel 2021 arriva l’ennesimo colpo di scena: la condanna di Lula viene annullata. Di nuovo libero di correre da presidente, si candida alle Presidenziali del 2022 contro Bolsonaro.

La campagna non è priva di colpi bassi. Lo staff di Lula mette in circolazione un video del 2016 in cui il presidente uscente spiegava al New York Times che da giovane voleva partecipare a un rituale in Amazzonia dove avrebbe «mangiato carne umana». La replica di Bolsonaro non si fa attendere: «Lula è un opportunista e un satanista».

Il resto è storia di oggi. Lula vince con il 50,9% dei voti al ballottaggio. La sfida è duplice: far uscire il Paese da un difficile momento economico e garantire una transizione dei poteri pacifica dopo i toni molto forti usati da Bolsonaro in campagna elettorale (ha più volte messo in dubbio la legittimità di una vittoria di Lula). Il neo presidente nel frattempo festeggia: «Non ho vinto io. Ma la democrazia». Ora è il momento di governare.

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