Diritti

I numeri dell’aborto illegale nel mondo

È provato che la criminalizzazione dell’aborto non serve a ridurre il numero delle interruzioni di gravidanza, anzi: aumenta mortalità e ospedalizzazione delle donne
La protesta fuori dalla Corte Federale a Los Angeles (Usa) contro la possibile revisione della sentenza Roe v Wade.
La protesta fuori dalla Corte Federale a Los Angeles (Usa) contro la possibile revisione della sentenza Roe v Wade. Credit: Raquel Natalicchio/ZUMA Press Wire

“Non c’è niente di più speciale, straordinario e meritevole di lotta che il miracolo della vita”, hanno dichiarato i deputati repubblicani Kevin McCarthy, Steve Scalise ed Elise Stefanik all’indomani della divulgazione della bozza della sentenza della Corte Suprema che molto probabilmente ribalterà la Roe v. Wade, la sentenza con cui nel 1973 la stessa corte sancì la legittimità dell’aborto negli Stati Uniti.

Se la bozza verrà confermata, il diritto all’aborto non sarà più protetto dalla Costituzione e in 26 Stati diventerà quasi o del tutto illegale. Peccato che una decisione simile, anziché proteggere il miracolo della vita, non farà altro che metterne in pericolo milioni.

L’illegalità dell’aborto non diminuisce il numero degli aborti

È stato ampiamente provato che la criminalizzazione dell’aborto non serve a ridurre il numero assoluto delle interruzioni di gravidanza (Ivg). Come spiega il Guttmacher Institute, tra le massime autorità sul tema, ogni anno si verificano nel mondo 121 milioni di gravidanze indesiderate, di cui il 61% si conclude con un’interruzione (per un totale di 73 milioni di aborti l’anno).

Circa 25 milioni di queste operazioni sono illegali e portano alla morte di 39.000 donne ogni anno e all’ospedalizzazione di 7 milioni per complicanze. Anziché dissuadere le donne dall’abortire, negli ultimi 30 anni il numero di aborti clandestini è aumentato del 15% nei Paesi dove vigono delle restrizioni.

Se si confronta la percentuale di gravidanze indesiderate che si concludono con un’Ivg nei Paesi dove essa è legale e illegale, si può notare come non ci sia una grande differenza: è del 41% nel primo caso e del 39% nel secondo. Quello che cambia è invece il numero delle gravidanze non pianificate: nei Paesi dove l’aborto è illegale, sono molto più frequenti (quasi l’80% del totale).

Questo accade perché dove ci sono restrizioni sull’aborto, c’è anche scarsa diffusione dei contraccettivi e dell’educazione sessuale. In uno studio condotto in Sri Lanka, solo il 4,2% delle donne ha citato l’illegalità dell’aborto come motivo per cui ha deciso di proseguire una gravidanza indesiderata.

L’aborto illegale alimenta il mercato nero e gli aborti fai-da-te

Se il 39% delle gravidanze nei Paesi dove l’aborto è illegale si conclude comunque con un’interruzione di gravidanza, è perché si ricorre all’aborto clandestino. Solo nel 20,5% dei casi l’operazione è condotta da personale sanitario. In tutti gli altri casi, ci si rivolge a persone non qualificate o si utilizzano rimedi casalinghi, con gravi conseguenze dal punto di vista medico.

L’illegalità della procedura, poi, espone le donne al rischio di trovarsi in situazioni pericolose, come truffe, ricatti economici o di natura sessuale, come è stato osservato in Cile. Questi crimini restano impuniti perché le vittime evitano di denunciarli alle autorità per timore di eventuali ripercussioni rispetto all’aborto.

L’aborto illegale mette a rischio la salute (e la vita) delle donne

L’aborto, sia chirurgico che farmacologico, è una procedura sicura e a basso rischio, purché eseguita o monitorata da personale sanitario e in condizioni igieniche adeguate. Al contrario, la criminalizzazione dell’aborto espone le donne a maggiori pericoli per la loro salute, sia perché le costringe a portare avanti gravidanze che possono mettere a rischio la loro vita, sia per il rischio di infezioni e complicanze.

Secondo l’Oms, il 4,7–13,2% delle morti materne ogni anno è causato dall’aborto clandestino. Al contrario, la legalizzazione dell’aborto è associata a minori tassi di mortalità materna (che arrivano al -30% fra le adolescenti) e a un minor numero di complicanze post-aborto.

L’aborto illegale inoltre criminalizza le donne e aumenta le disuguaglianze: l’85% delle donne denunciate per aver abortito a El Salvador ha meno di 30 anni, l’80% è povera e il 46% è analfabeta.

Nel 2016 in Italia l’aborto clandestino è stato depenalizzato, ma sono aumentate le multe amministrative, che sono passate da 51 euro a 10.000.

Se la Roe v. Wade verrà ribaltata, a soffrirne saranno soprattutto le donne nere e ispaniche, tra i gruppi sociali più poveri e, di conseguenza, quelli che hanno meno possibilità di viaggiare in uno Stato dove l’aborto è legale.

Anche la mortalità dell’aborto è legata alle disuguaglianze: nelle regioni in via di sviluppo, 220 donne muoiono ogni 100.000 aborti clandestini; nei Paesi sviluppati, sono “solo” 30.

L’aborto illegale mette in difficoltà il personale medico

La criminalizzazione dell’aborto ha un impatto negativo anche per i medici. Non solo è stata associata a una minore preparazione professionale, a causa dell’assenza di opportunità di formazione, ma fa ricadere sulle loro spalle la responsabilità di un’eventuale denuncia alle autorità.

La criminalizzazione dell’aborto induce inoltre il personale medico a non assistere le donne per timore di ripercussioni legali, come è accaduto in Polonia a novembre dello scorso anno, dopo che una donna di 30 anni è morta di sepsi perché i medici non hanno voluto rimuovere il feto privo di vita dal suo utero per paura di essere denunciati.

L’aborto illegale ha costi sociali

Secondo le stime dell’Oms, i trattamenti delle complicanze dovute agli aborti clandestini costano ogni anno alla collettività 553 milioni di dollari. A questo si aggiungono i 922 milioni di dollari persi dalle donne a causa delle conseguenze sulla salute dopo un aborto clandestino.

Al contrario, la regolarizzazione dell’aborto è stata associata a una maggior partecipazione al lavoro e alla vita pubblica, insieme a un maggior investimento da parte dei genitori nella crescita dei figli.

Se non bastassero i dati, c’è anche una prova storica

Negli ultimi trent’anni, solo tre Paesi al mondo hanno reintrodotto restrizioni sull’aborto dopo averle sollevate: El Salvador, Polonia, e Nicaragua. Ma c’è un precedente storico: nel 1965, la Romania di Ceaușescu vietò l’interruzione di gravidanza per aumentare la popolazione.

Se nei primi cinque anni il tasso di natalità raddoppiò, la Romania diventò anche il Paese con il più alto tasso di mortalità materna in Europa (159 decessi ogni 100.000 parti), causato nell’87% dei casi da complicanze dovute agli aborti clandestini.

Vietare l’aborto, un servizio di salute essenziale secondo le Nazioni Unite, non diminuisce il numero degli aborti, ma aumenta solo i rischi per la salute e l’integrità delle donne.

L’unico modo per salvare “il miracolo della vita” è rendere l’aborto sicuro, gratuito e legale e accompagnarlo all’educazione sulla salute sessuale e all’accesso alla contraccezione.

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