Culture

Cultura: i lavoratori sono precari, sottopagati e senza diritti

La maggior parte guadagna meno di 8 euro l’ora. Il 56% meno di 10.000 euro all’anno. Ecco cosa racconta il questionario dell’associazione Mi riconosci!
Credit: Donal Murphy
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
19 gennaio 2023 Aggiornato alle 16:00

Che il mondo della cultura in Italia non navighi in acque rosee non è una novità: non solo dal punto di vista della parità di genere (pressoché inesistente) o della possibilità di accedervi. A subire le condizioni peggiori sembra essere proprio chi lavora nel settore, che vive una condizione di precarietà e sfruttamento frutto di anni di mancati investimenti e regolamentazioni.

Mentre si discute dell’opportunità di innalzare il prezzo del biglietto per gli Uffizi a 25 euro – tanto i turisti “se lo possono permettere” – il questionario “Lavorare nel settore culturale oggi: contratti, condizioni e prospettive” realizzato da Mi riconosci? e presentato alla Camera fotografa una realtà in cui i 10-20.000 euro che una famiglia americana spende per un viaggio in Italia secondo il ministro Sangiuliano sono lo stipendio di uno-due anni di lavoro per quasi l’80% delle 2.526 persone che hanno risposto. Persone che lavorano ogni giorno per mandare avanti l’immenso patrimonio culturale italiano ma che al museo potrebbero andarci solo nelle giornate gratuite.

Solo l’8,7% guadagna tra i 20 e i 30.000 euro, meno del 4% oltre i 30.000. Le retribuzioni orarie mostrano ancor più chiaramente quanto gli stipendi siano ben al di sotto della norma (un eufemismo per non dire da fame) – e del costo della vita: il 68,9% dei lavoratori dipendenti, infatti, guadagna meno di 8 euro netti l’ora, al di sotto anche del salario minimo di cui si è discusso, inutilmente.

Eppure, le risposte al questionario annuale dell’associazione che raccoglie i professionisti della cultura mostrano chiaramente come le persone del settore siano altamente istruite e qualificate: oltre la metà ha almeno la laurea triennale (15,1%) o la specialistica (39,9%), un ulteriore 10% la scuola di specializzazione. Per la stragrande maggioranza (76,1%) sono donne, di un’età compresa tra i 26 e i 39 anni.

Il questionario ha raccolto disoccupati, liberi professionisti e lavoratori dipendenti: gli ultimi sono il 68,7% del totale (il 30,21% lavora nei musei, il 16,2% in biblioteche, il 21,88% presso la Pa). Solo il 42% ha un contratto a tempo indeterminato, il 26,54% ha il tempo determinato (ma solo nel 6% dei casi si tratta del contratto di settore): la percentuale restante si divide in una giungla di contratti o pseudocontratti che di fatto, si traducono in mancate tutele e, in oltre 6 casi su 10, nello svolgimento di mansioni diverse da quelle previste.

Le cose non vanno meglio per i lavoratori autonomi, una condizione che per oltre il 63% più che autonoma è obbligata: chi lavora a partita Iva in molti casi ha un solo committente ed è, di fatto, un falso dipendente. Le condizioni nell’ambiente di lavoro non cambiano, infatti, a seconda di come lavoratori e lavoratrici sono inquadrati: il 40% ha subito mobbing o è stato vittima di atteggiamenti intimidatori da parte del datore di lavoro o dai colleghi, perché «si creano molte situazioni di competizione tra colleghi, perché si è messi nelle condizioni di accettare paghe orarie bassissime e quindi fare concorrenza al collega che accetta di meno», ha spiegato la deputata Anna Laura Orrico nella conferenza stampa. Il congedo di maternità o di paternità è un lusso garantito solo al 32%, e non a caso quasi il 40% degli intervistati ha dovuto rispondere a domande sulla vita privata durante i colloqui.

Oltre ai dati, però, il questionario ha raccolto anche le storie di lavoratrici e lavoratori. Storie che l’associazione aveva anticipato già in dicembre in un post sulla pagina Facebook. Storie che, in fondo, abbiamo sempre saputo e che tratteggiano un quadro di ingiustizie e sfruttamenti che chiede un intervento drastico e urgente.

“Costretto a lavorare in sala con temperature di 13 gradi, senza che la cooperativa fornisse nulla per ripararsi dal freddo, sotto minaccia collettiva che chi avesse posto rimostranze non avrebbe avuto il rinnovo del contratto”.

“C’è un enorme divario tra le possibilità lavorative date agli uomini e alle donne, soprattutto in ruoli di responsabilità”.

“Sminuiti e ridicolizzati per aver richiesto un bagno chimico in un sito della durata di più di 2 mesi, per aver domandato un gazebo sotto cui ripararsi a ferragosto, per aver osato chiedere i dpi che dovrebbero essere forniti dal datore stesso”.

Sono assunta part-time ma lavoro full time, le ferie non sono pagate, i festivi lavoro non percependo maggiorazioni, non posso ammalarmi perché non percepisco l’indennità di malattia e allo stesso modo non posso assentarmi per visite mediche. I giorni piovosi non lavoro e non vengo pagata”.

“Non era accettabile bere acqua durante l’orario di servizio”.

“Eravamo circondati da capi/responsabili e colleghi che si mettevano i bastoni tra le ruote a vicenda, che sparlavano di tutti alle spalle, insoddisfatti e incattiviti ma orgogliosi in modo macabro delle condizioni lavorative di sfruttamento e ai limiti della decenza in cui si lavora perché l’archeologia funziona così”.

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