Diritti

Iran: la propaganda di Khamenei e il suo finto progressismo

Un articolo pubblicato dall’Iran International smentisce le dichiarazioni “di facciata” dell’ayatollāh, riguardo le donne che non indossano l’hijab e il loro ruolo nei processi politici e decisionali del Paese
Credit: Rouzbeh Fouladi via ZUMA Press Wire
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5 gennaio 2023 Aggiornato alle 22:00

Mercoledì a Teheran, il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei, durante una commemorazione per celebrare il compleanno di Hazrat Fatemeh Zahra (SA), figlia del Profeta Maometto, ha svolto un’assemblea davanti a un gruppo di donne sue sostenitrici. Le dichiarazioni di Khamenei (apparse per prime sull’Irna, agenzia di stampa del regime) hanno generato molto eco, con il pericolo, nascosto dietro l’angolo, di fraintendere le sue parole come una possibile apertura del regime islamico verso le donne.

Ma cosa ha detto l’ayatollāh? Tra le asserzioni che hanno fatto più scalpore ci sono quella di non accusare di irreligiosità le donne musulmane che non indossano l’hijab e quella sull’importanza di nominare e assumere più donne per posti di lavoro di rilevanza. Nulla, nei fatti, di più falso.

Un articolo uscito ieri sull’Iran International smentisce infatti la possibile apertura progressista dello ayatollāh, aggiungendo altre parti del suo discorso in cui emerge un’immagine della donna iraniana non certo meno oppressiva da quella che il regime ci ha proposto fino a oggi (in tal merito, si veda anche il rapporto Global Gender Gap, pubblicato a luglio del 2022, dove il World Economic Forum colloca l’Iran al 143 posto, ossia negli ultimi posti della classifica).

Iran International riporta che Khamenei, durante il suo discorso, ha ribadito che, per la donna iraniana, la maternità e la casalinga sono i suoi 2 ruoli principali e primari, ribadendo l’obbligo di indossare lo hijab come un dovere religioso e inevitabile per tutte le donne musulmane. Non sono mancate poi le accuse verso la società Occidentale: «L’assoluta sfacciataggine dell’Occidente emerge quando si presenta come il precursore della difesa dei diritti delle donne, mentre è responsabile di molti di colpi inferti alla dignità e al prestigio delle donne. Ciò potrebbe essere spiegato come totale spudoratezza», definendo alienate e in schiavitù le donne occidentali.

Accuse dello ayatollāh nei confronti dell’Occidente che non sono sfuggite nemmeno all’attivista e dissidente Masih Alinejad che le ha riportate brevemente in un suo post su Facebook.

Che il regime islamico non abbia fatto passi di tolleranza verso le donne e i manifestanti, che dall’uccisione di Mahsa Amini invadono, giorno e notte, le strade dell’Iran, e del mondo, per chiedere la fine della dittatura, sono confermate nei fatti: le condanne a morte, le incarcerazioni, le torture o le violenze contro i manifestanti e le loro famiglie, non sono mai cessate.

Proprio ieri Radio Farda ha diffuso la notizia della condanna alla pena di morte per 2 adolescenti con le accuse di “corruzione sulla Terra” e “guerra contro Dio”, un tipo di accuse create ad hoc dalla magistratura per aiutare il governo a sedare i disordini a livello nazionale, e avere quindi un motivo per detenere e giustiziare i cittadini che si ribellano. Mentre oggi l’associazione e agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani Hrana ha comunicato la sentenza a 5 anni di carcere e di deprivazioni sociali per il poeta Reza Keshvari.

A riprova del fatto che il regime non intende cedere nelle sue azioni repressive sono anche le recentissime accuse contro il settimanale satirico Charlie Hebdo che ha pubblicato il numero speciale Mollahs, retournez d’où vous venez! (Mullah, tornate da dove venite), con all’interno vignette satiriche contro i mullah e Khamenei, a sostegno del grido di libertà sorto dalla popolazione iraniana.

Una decisione, questa del settimanale, che ha scatento l’ira di Khamenei e che ha portato, in queste ore, alla chiusura dell’Istituto francese per la ricerca a Teheran.

Sembra quindi che il regime islamico stia provando - per stemperare le accuse che provengono da Occidente e provare a frenare le proteste - a propagandare un’immagine meno autoritaria di sé: si pensi a esempio alla diffusione il 4 dicembre della notizia, poi smentita, dell’abolizione della polizia morale o alle ad altre operazioni “di facciata”, come la scarcerazione - su cospicua cauzione 10 miliardi di rial, circa 225.000 euro - di Taraneh Alidousti, famosa attrice iraniana imprigionata nel carcere per oppositori politici di Evin, a Teheran. Ma la realtà per le donne e gli uomini iraniani resta tragica.

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