Diritti

I (pochi) media iraniani che raccontano le proteste

Mentre le autorità e la stampa governativa parlano di ribelli e di nemici del Paese, alcuni giornali definiscono le contestazioni in corso come una vera e propria resistenza al regime
Credit: EPA/SEDAT SUNA
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
19 ottobre 2022 Aggiornato alle 19:30

Ormai è trascorso un mese dalla morte della giovane curda Mahsa Amini, fermata dalla polizia morale per alcune ciocche di capelli che sfuggivano dal velo. Secondo le stime della Ong Iran Human Rights, dall’inizio delle proteste - ininterrotte dal 16 settembre - sarebbero rimaste uccise almeno 215 persone, tra cui 27 bambini.

Al grido di “Donne, vita, libertà”, la folla continua a sfilare per le piazze e le strade delle città iraniane, sventolando gli hijab e bruciandoli in falò improvvisati, mentre la polizia in assetto antisommossa si serve di armi da fuoco, manganelli e cannoni ad acqua per disperderla. E, anzi, le manifestazioni prendono nuovo vigore ora che un’altra ragazza - l’ennesima - è stata brutalmente assassinata.

Stavolta la vittima è Asra Panahi, una studentessa iraniana di 16 anni picchiata a morte dalla polizia in una scuola di Ardabil, città nel nord-ovest del Paese. La ragazza, assieme ad alcune compagne di classe, si sarebbe filmata mentre, senza velo, si rifiutava di intonare l’inno dedicato a Alì Khamenei.

La rappresaglia del regime non si sarebbe fatta attendere: in un raid delle forze dell’ordine lei e le sue compagne sarebbero state picchiate senza pietà. A denunciare l’accaduto è stato il Consiglio di Coordinamento del sindacato degli insegnanti iraniani, secondo cui diverse studentesse e compagne di Asra Panahi, sarebbero finite in ospedale per le percosse. Non è un caso isolato purtroppo: da settimane le forze di sicurezza compiono sistematicamente spedizioni punitive e il bersaglio più frequente sono proprio gli istituti femminili.

Anche in questo caso, le autorità prima e la stampa - o parte di essa - poi forniscono la loro versione dei fatti, smentendo le accuse di violenza e parlando di propaganda nemica. I nemici sarebbero, primi fra tutti, gli Usa e lo Stato di Israele.

Il copione si ripete pressoché invariato. Mentre il sindacato parla di pestaggio da parte della polizia e in una nota condivisa su Telegram scrive di “comportamenti brutali e disumani”, si fa avanti un parente della vittima, probabilmente messo alle strette dal regime: è lo zio di Asra, che dichiara alla stampa e alla tv iraniana che la nipote avrebbe perso la vita per un problema cardiaco congenito.

Anche nel caso Masha Ameni, il rapporto dell’Organizzazione di medicina legale affermava che la ragazza era stata sottoposta “a un intervento chirurgico per un craniofaringioma all’età di 8 anni”, che avrebbe comportato dei disturbi legati al funzionamento dell’ipotalamo e della ghiandola pituitaria e all’assunzione di farmaci da parte della giovane per alleviarli. “La sua morte è davvero dipesa alla brutalità della polizia? Una tac al cervello e ai polmoni di Mahsa Amini, l’autopsia e gli esami patologici mostrano che la morte non è dovuta a un trauma cranico o a un colpo inferto su degli organi vitali” si legge sul Teheran Times.

In generale, a poche ore dall’inizio dei disordini le istituzioni avevano pubblicato un comunicato, ripreso dalle principali testate, in cui si accusava “il fronte controrivoluzionario e i nemici dell’Iran” (Usa e Israele, appunto) di celarsi dietro l’ondata di contestazioni. Una teoria ripetuta a regola d’arte dagli organi di stampa governativi per esternalizzare le cause dei disordini.

Proprio il Tehran Times, per esempio, ha riportato più volte le parole del ministro dell’Interno Ahmad Vahidi contro i rivoltosi che vorrebbero sfruttare a proprio vantaggio la morte di Mahsa Amini.

“Ci sono gruppi organizzati che compiono atti di sabotaggio in questi raduni e danno fuoco a proprietà pubbliche essendo presenti in diverse aree. Non stanno affatto cercando il problema della signora Amini, e con questa scusa hanno iniziato a ribellarsi”, ha riportato Press TV citando il ministro, il quale ha ricevuto formalmente l’incarico dal presidente Ebrahim Raisi di indagare sulla morte di Amini.

Alcune voci fuori dal coro esistono però. Il giornale dissidente Turkiye Press parla apertamente di “resistenza contro il regime del mullah”.

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