Diritti

Teheran: i poliziotti si uniscono al corteo

Mentre i manifestanti protestano al grido di “Morte al dittatore” e hackerano la tv di stato, la comunità internazionale teme per i propri cittadini nel Paese
Una donna iraniana passa davanti a un murale di Teheran, il 10 ottobre 2022.
Una donna iraniana passa davanti a un murale di Teheran, il 10 ottobre 2022. Credit: EPA/ABEDIN TAHERKENAREH
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12 ottobre 2022 Aggiornato alle 18:00

Da quasi un mese gli iraniani e le iraniane stanno portando avanti le proteste scoppiate in seguito alla morte di Mahsa (Zhina) Amini, 22enne curda arrestata dalla polizia morale (Gasht-e Ershad) lo scorso 13 settembre perché non portava correttamente il velo. L’episodio non è un caso isolato, ma la conferma di una deriva sempre più violenta e oppressiva nei confronti delle donne iraniane. Solo pochi mesi fa, infatti, il presidente conservatore Ebrahim Raisi aveva inasprito le norme che regolano l’abbigliamento e la condotta femminile, anche attraverso l’uso di tecnologie di riconoscimento facciale.

Il decesso di Amini, che le autorità hanno cercato di attribuire a precedenti problemi di salute della ragazza (smentiti dalla famiglia), ha provocato un’esplosione di rabbia che sta divampando in tutte le principali città del Paese. Al centro della mobilitazione ci sono le rivendicazioni delle donne che scendono in strada senza velo o dandolo alle fiamme, oppure tagliandosi ciocche di capelli. Anche le ragazze più giovani si sono unite alla protesta: le liceali tolgono l’hijab, cantano e strappano dai muri le foto del fondatore della Repubblica islamica Ruollah Khomeini.

Uomini e donne, di diverse generazioni, provenienze geografiche e sociali, scendono in strada insieme per chiedere la caduta del regime che li opprime da 43 anni. “Donna, vita, libertà” gridano in persiano e in curdo: uno slogan che sta risuonando anche nelle piazze di tutto il mondo per mostrare solidarietà al popolo iraniano e alla sua rivolta. Sui social si moltiplicano le condivisioni dei video delle proteste per cercare di superare il blocco di Internet a cui, anche questa volta, il regime è ricorso.

Così come nelle proteste del 2019, dove persero la vita almeno 1500 persone, anche in questa occasione le autorità stanno reagendo con violenza e al momento sarebbero 185 le vittime accertate secondo l’Ong Iran Human Rights, tra cui altre giovani donne come Nika Shakarami e Sarina Esmailzadeh e 19 minori. La repressione ha colpito in particolare le città di Zahedan, nella provincia del Sistan e Baluchistan, e Sanandaj (Kurdistan), da cui nonostante la censura stanno arrivando informazioni di attacchi indiscriminati contro la popolazione. Migliaia anche le persone arrestate, tra cui giornalisti, attivisti e avvocati. Nel mirino è finita Nilufar Hamedi, la giornalista che aveva portato alla luce il caso di Amini.

Anche nelle università, storico luogo di contestazione, la situazione si sta aggravando. Dopo la decisione delle autorità di sospendere le attività accademiche gli studenti hanno riportato la protesta negli atenei. La repressione è stata feroce. Nel campus della Sharif University of Technology di Teheran i manifestanti sono stati rinchiusi e attaccati con lacrimogeni e proiettili di gomma dalle milizie basij.

Nonostante la brutalità con cui le autorità stanno reagendo alla mobilitazione il popolo iraniano sta continuando a manifestare il proprio dissenso in diversi modi. Non soltanto scendendo in strada: c’è chi urla dalle finestre slogan come “Morte al dittatore!” e chi è riuscito ad hackerare la tv di stato per mostrare per pochi secondi l’immagine della Guida Suprema Ali Khamenei in fiamme.

Nel quartiere Nazi Abad di Teheran alcuni poliziotti si sono uniti al corteo di manifestanti. Anche i lavoratori del settore petrolifero, di enorme importanza strategica per l’economia iraniana, stanno partecipando al movimento con scioperi in diverse zone nel Sud-Ovest del Paese.

Il presidente Raisi ha lanciato un appello all’unità nazionale e ha minimizzato la portata delle proteste, attribuendole a un manipolo di cospiratori finanziati dai nemici stranieri, a cominciare dagli Stati Uniti. Washington ha respinto l’accusa e approvato nuove sanzioni per colpire i responsabili della repressione, tra cui 2 ministri e 5 ufficiali.

L’Unione Europea sta valutando misure analoghe, come richiesto dalla ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock. Anche il governo britannico ha annunciato nuovi provvedimenti che colpiranno il corpo della polizia morale. La preoccupazione della comunità internazionale riguarda inoltre gli stranieri che al momento si trovano in Iran. La Francia e altri Paesi hanno consigliato ai propri cittadini di rientrare il prima possibile. Al momento sarebbero 9 gli stranieri detenuti, tra cui l’italiana Alessia Piperno.

Non è la prima volta che gli iraniani scendono in strada. In particolare, dagli anni ’90 le proteste si sono succedute ciclicamente. Nel 2009 dopo la rielezione del conservatore Mahmoud Ahmadinejad, nel 2019 per la crisi economica e l’aumento del prezzo della benzina e, più recentemente, per la gestione delle ricorrenti crisi idriche.

Il carattere specifico delle proteste a cui stiamo assistendo sembra essere il ruolo trainante delle donne, ma anche un’unione più solida tra i manifestanti e una volontà trasversale di mettere fine al regime della Repubblica islamica. Allo stesso tempo, diversi analisti hanno rilevato come un movimento mediamente molto giovane e senza una leadership politica forte rischia di essere facilmente spazzato via senza costruire un cambiamento concreto.

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