Diritti

Il mondo a fianco dell’Iran

Ieri La Svolta ha partecipato alla manifestazione romana per il popolo iraniano. «Il problema è il regime» ci ha raccontato qualcuno. Tuttavia nel Paese continuano le proteste, perché «La nuova generazione non ha paura»
La protesta a Roma per il popolo iraniano
La protesta a Roma per il popolo iraniano Credit: ANSA / ANGELO CARCONI
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2 ottobre 2022 Aggiornato alle 13:00

Non si fermano le proteste del popolo iraniano, cominciate in seguito alla morte di Mahsa Amini, una ragazza curda di 22 anni arrestata dalla polizia morale (Gasht-e Ershad) perché non portava correttamente il velo.

L’episodio è stato la scintilla che ha scatenato la rabbia di tutto il Paese, dove da settimane le persone stanno scendendo in strada invocando non solo la rimozione dell’obbligo del velo o la riforma della polizia, ma anche la fine del regime instauratosi con la rivoluzione del 1979.

Le autorità stanno reagendo duramente, arrestando migliaia di manifestanti e provocando centinaia di morti. Le cifre reali sono probabilmente molto più alte, ma la censura, il blocco di Internet e l’arresto di almeno 28 giornalisti (tra cui Nilufar Hamedi, che ha portato il caso Amini all’attenzione internazionale) ostacolano la circolazione delle informazioni.

Nonostante questo, anche grazie a milioni di ricondivisioni sui social, in tutto il mondo si stanno organizzando manifestazioni e iniziative. Sabato primo ottobre è stata organizzata una giornata di protesta globale sotto lo slogan The time has come, il tempo è arrivato. Dall’Australia alla Svizzera, dall’Afghanistan a Cipro, in oltre 150 città la solidarietà verso il popolo iraniano è stata senza precedenti. In Italia sono state organizzate manifestazioni a Roma, Milano, Venezia, Trieste, Bologna, Napoli e altre città.

Nella capitale sono stati in centinaia a sfilare da Piazza della Repubblica a Piazza Venezia: una folla compatta che ha cantato e gridato con una sola voce il lutto e la rabbia dell’Iran. «Margh bar diktator (morte al dittatore)», «Khamenei! Raisi! Assassini!», hanno scandito i manifestanti, la maggior parte giovani che prima di emigrare all’estero non hanno mai conosciuto altro che la vita sotto la Repubblica islamica. Un regime che ha puntualmente soffocato nel sangue ogni minima manifestazione di dissenso e che ha costretto il popolo iraniano a vivere per decenni nella paura.

Alcune delle persone con cui La Svolta ha parlato hanno scelto di mantenere l’anonimato, perché sanno che le orecchie del governo possono arrivare molto lontano e che le conseguenze di una parola sgradita possono essere drammatiche. Uno dei manifestanti ha raccontato che in Iran starebbero usando tecnologie per il riconoscimento facciale per individuare le persone che stanno scendendo in strada a protestare grazie all’aiuto di infiltrati.

Una ragazza di 25 anni di Shiraz spiega che il popolo iraniano ha subito per 43 anni una pressione insostenibile su tutti i fronti: economico, sociale, religioso. «Da qui nasce la nostra rabbia. Non abbiamo diritti, non abbiamo libertà. Non possiamo esprimere la nostra voce perché ci tolgono Internet: in queste condizioni quello che siamo riusciti a fare con milioni di ricondivisioni di hashtag su Mahsa Amini è incredibile».

Manifestazione a Roma, primo ottobre 2022
Manifestazione a Roma, primo ottobre 2022 Credit: gioffriphotography

Nilufar, 36enne di Teheran, dice che i social stanno aiutando molto le proteste. Fa un parallelo con il 2009, quando anche lei era in strada a manifestare con il movimento Onda Verde, nato dalla contestazione della rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. «Quello fu un movimento grandioso, ma i giovani oggi sono ancora più coraggiosi: vengono picchiati, arrestati, torturati e il giorno dopo sono di nuovo in strada a protestare. La nuova generazione non ha paura di niente».

Tutti i manifestanti sottolineano quanto il movimento nato in queste settimane in Iran sia più unito rispetto al passato. Un ragazzo e una ragazza di Teheran - che hanno chiesto di rimanere anonimi - spiegano che la forza di queste proteste si vede dal fatto che coinvolgono tutto il Paese, dai villaggi alle città, persone di ogni classe sociale e di tutte le etnie, perché il movimento è nato a Saqqez (Kurdistan), da dove proveniva Mahsa Amini.

«È un movimento che va oltre le differenze, anche religiose: ci sono persone credenti che sono d’accordo con le proteste. Qualche giorno fa un ayatollah di Qom (seconda città santa per l’Iran dopo Mashad, ndr) ha detto che Ali Khamenei non è più la nostra guida, perché sta uccidendo gli iraniani che protestano».

Per Aamir, che viene dal sud dell’Iran e si dichiara musulmano, queste manifestazioni non hanno nulla a che fare con la religione. «Il problema è il regime, non l’islam. Io considero tutte le donne mie sorelle e i loro diritti devono essere rispettati. Questa è la cosa più importante». Anche due ragazzi di Shiraz credono che «nella nostra cultura non esiste una differenza tra uomini e donne, è qualcosa che ci è stato imposto. Noi siamo tutti uniti e vogliamo farlo vedere al mondo».

Al centro delle rivendicazioni ci sono infatti i diritti delle donne, che in queste settimane stanno sfidando apertamente il regime mostrandosi in pubblico senza il velo, dandolo alle fiamme o tagliandosi ciocche di capelli, gesto tradizionale per esprimere il lutto e che è diventato uno dei simboli di queste proteste. Così come lo slogan «Zan, zendeghi, azadi (donna, vita, libertà)», che sta risuonando nelle piazze di tutto il mondo.

Manifestazione a Roma, primo ottobre 2022
Manifestazione a Roma, primo ottobre 2022 Credit: Giulia Della Michelina

Secondo S., un ricercatore iraniano che vive a Napoli, «anche in passato le donne hanno protestato, perché i loro diritti sono sempre stati negati. In Iran ci sono tante donne di talento, come Maryam Mirzakhani, che è stata una grande matematica e l’unica donna a vincere la Medaglia Fields, ma come tante iraniane è stata costretta a lasciare il Paese».

Non è solo una questione di hijab, la segregazione di genere costringe le donne a vivere come cittadine di serie B e a sprecare il loro potenziale. «Per la prima volta si tratta di un movimento davvero femminista, guidato dalle donne e supportato dagli uomini - spiega Sajjad, iraniano ma cresciuto in Italia - Questo è uno dei punti di forza del movimento, insieme al fatto che non ci sono leader: questo permette alla gente di andare avanti nonostante le esecuzioni sommarie e gli arresti di massa. Allo stesso tempo però la mancanza di una guida è un rischio: se la rivoluzione dovesse vincere potrebbero esserci delle spaccature».

Sara, di Teheran, spera che queste proteste portino a un cambiamento profondo. «Vedo tanta unità e tanta partecipazione non solo nel popolo iraniano, ma anche all’estero. Ci sono giornalisti che hanno lavorato per il governo per 40 anni e che ora hanno lasciato il loro posto perché la situazione non è più sostenibile. Il governo ha ucciso migliaia di giovani solo perché chiedevano il rispetto dei loro diritti, un lavoro, una vita normale».

Secondo Sajjad la repressione brutale che il regime sta mettendo in atto è una conferma della sua debolezza. «Purtroppo non penso che queste saranno le ultime proteste in Iran, ma ormai è evidente che il regime si sta completamente sgretolando. Sta cercando di mantenersi in piedi solo grazie alla violenza».

Manifestazione a Roma, primo ottobre 2022
Manifestazione a Roma, primo ottobre 2022 Credit: gioffriphotography

Due ragazze di Teheran raccontano che in questi giorni nella città di Zahedan è in corso un massacro. «Non c’è internet e non funziona nemmeno il telefono», dicono mentre mostrano dei video in cui la polizia attacca la folla. «Non si riesce ad avere nessuna notizia, si sa solo che stanno sparando».

Oggi però gli occhi di tutto il mondo stanno guardando l’Iran, «questa è la nostra speranza. Sappiamo che non possiamo aspettarci niente dai governi, solo la gente può aiutarci andando a manifestare come per George Floyd. È l’unico modo per arrivare a un cambiamento».

Anche Niusha non ha fiducia nei politici: «Gli altri Paesi non dovrebbero fare affari con l’Iran. Pochi giorni fa Ebrahim Raisi ha concluso un accordo con Emmanuel Macron, ma questo è un crimine perché quei soldi servono a finanziare il terrorismo del regime».

Se i capi di stato preferiscono restare in silenzio o esprimere flebili condanne senza agire concretamente i cittadini di tutto il mondo stanno però aprendo gli occhi su ciò che il popolo iraniano sta subendo da più di 40 anni e che non è più disposto a tollerare. Tutti i manifestanti con cui La Svolta ha parlato hanno sottolineato questo punto: le proteste in Iran scoppiano regolarmente e la feroce repressione messa in atto dal regime non è certo una novità. Ma questa volta la risonanza internazionale è riuscita a generare un vasto movimento di solidarietà che potrebbe essere la chiave di volta per un vero cambiamento per il popolo iraniano.

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