Diritti

2022: cronistoria delle proteste in Iran

Il 13 settembre Mahsa Amini viene arrestata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente l’hijab. La sua morte, tre giorni dopo, darà il via a una serie di scontri, contestazioni e repressioni
Credit: Kim Jae-Hwan/SOPA Images via ZUMA Press Wire
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 8 min lettura
30 dicembre 2022 Aggiornato alle 19:00

Da più di tre mesi l’Iran è sconvolto dalle più grandi proteste degli ultimi anni, scoppiate dopo la morte di una ragazza sotto la custodia della polizia morale, che applica il rigoroso codice di condotta della Repubblica islamica. Gli ultimi quattro mesi del 2022 sono stati caratterizzati da numerosi eventi osservati dalla comunità internazionale, che ha condannato le violenze che hanno attraversato il Paese.

Già nel 2009, milioni di persone erano scese in piazza dopo una contestata elezione presidenziale, ma i disordini erano rimasti circoscritti alla classe media. Così come quelli del 2017 e del 2019, scoppiati a causa delle difficoltà economiche, si erano svolti principalmente nelle aree della classe operaia. Gli scontri del 2022 coinvolgono per la prima volta persone di tutti i ceti sociali e le età, e si sono diffusi in dozzine di città e zone dell’Iran.

Settembre

L’evento scatenante risale a più di 100 giorni fa. A Teheran, il 13 settembre, una ventiduenne originaria della regione iraniana del Kurdistan, nel nord-ovest del Paese, viene arrestata per aver indossato in modo “improprio” il velo. Dopo tre giorni di coma, Mahsa Amini muore sotto la custodia della polizia, che dichiara che la ragazza ha avuto un attacco di cuore dopo essere stata portata in commissariato per essere “istruita”. La sua famiglia, però, nega che avesse problemi cardiaci. Il presidente Ebrahim Raisi chiede un’indagine. Da quel giorno iniziano le proteste sui social e in piazza.

Il 17 settembre si svolgono i funerali di Amini nella sua città d’origine, Saqqez, nel Kurdistan iraniano: durante la cerimonia i manifestanti insorgono e le forze di sicurezza intervengono sparando gas lacrimogeni. Le donne iniziano a togliersi il velo in segno di protesta: questo gesto diventerà il simbolo delle manifestazioni che si diffonderanno a macchia d’olio nel Paese al grido di “Donna, vita, libertà”. Le donne, in particolare, saranno le vere protagoniste della rivolta in Iran.

Il 18 settembre centinaia di studenti e studentesse si radunano all’Università di Teheran intonando dei cori contro Ali Khamenei, la Guida Suprema dell’Iran: lo scopo delle proteste non è opporsi al velo, ma al regime degli ayatollah, alla teocrazia e alla repressione subita per più di quarant’anni, dopo la rivoluzione iraniana che portò, nel 1979, alla nascita della Repubblica islamica.

Il 19 settembre le proteste si intensificano a Rasht, Mashhad, Isfahan e nella capitale. Nei giorni successivi le autorità iniziano a negare l’accesso a Instagram e Whatsapp, bloccando la possibilità di connettersi a Internet in quasi tutto il Paese. Fonti ufficiali contano 8 morti nei disordini, tra cui un membro della polizia e uno della milizia Basij, la forza paramilitare che agisce sotto il controllo dei Corpi delle guardie rivoluzionarie islamiche. I manifestanti iniziano a dare fuoco a stazioni e veicoli della polizia e il presidente Raisi definisce questi episodi «atti di caos» inaccettabili.

Mentre le Guardie rivoluzionarie effettuano il primo di numerosi attacchi contro le basi dell’opposizione militante iraniana nella regione curda dell’Iraq settentrionale, arrivano le prime sanzioni alla polizia morale di Teheran da parte degli Stati Uniti. Alla fine di settembre le autorità di Stato parlano di una quarantina di vittime totali, ma i bilanci sono molto diversi da quelli diffusi dalle organizzazioni non governative e dai siti di notizie che seguono gli aggiornamenti in Iran. Il 30 settembre, a seguito di una sparatoria nella città di Zahedan, Amnesty International afferma che le forze di sicurezza hanno ucciso 66 persone, compresi bambini: è il giorno più mortale dall’inizio delle proteste.

Ottobre

Ali Khamenei sostiene pubblicamente le forze di sicurezza, accusando i nemici stranieri, in particolare Stati Uniti e Israele, di essere responsabili delle proteste che attanagliano il Paese. Definisce la morte di Amini un «amaro incidente», provocato dai nemici dell’Iran, che «mi ha spezzato profondamente il cuore». Il rapporto di un medico legale nega ancora una volta che Amini sia morta per aver ricevuto colpi alla testa e agli arti mentre era in custodia, ma dà la colpa a condizioni preesistenti.

Il 15 ottobre scoppia un incendio nel carcere di Evin, a Teheran, lo stesso in cui è detenuta l’italiana Alessia Piperno, blogger romana arrestata il giorno del suo compleanno (e rilasciata il 10 novembre). Il 17 ottobre l’atleta iraniana Elnaz Rekabi gareggia senza velo ai Campionati asiatici di arrampicata sportiva di Seul, in Corea del Sud. Il 26 ottobre, a 40 giorni dalla morte di Mahsa Amini, la polizia antisommossa viene schierata a Saqqez, a Teheran e in altre città iraniane in cui i manifestanti stanno onorando la ragazza. Gli scontri sono violentissimi.

Intanto, una canzone diventa l’inno delle proteste: uno dei cantanti più famosi dell’Iran, Shervin Hajipour, intona “Baraye”, che si traduce in inglese in “per” o “a causa di”. Il testo elenca i messaggi postati online dagli iraniani, che spiegano il motivo per cui stanno protestando contro il regime: “per i diritti umani fondamentali, per guadagnarsi da vivere, per godersi un bacio con una persona amata”.

Novembre

Decine di studenti vengono arrestati nei campus di tutto il Paese, molti raccontano di essere stati aggrediti dalle forze di sicurezza. Nel nord-ovest dell’Iran, in gran parte curdo, le proteste si intensificano, e i giovani sventolano i turbanti per strada. Numerose persone vengono arrestate e accusate di presunti crimini punibili con la morte. Secondo la Ong Iran Human Rights i morti per via delle proteste sono 186.

Il 9 novembre l’attrice iraniana Taraneh Alidoosti, una delle più popolari in Iran, pubblica una foto senza il velo obbligatorio, sostenendo pubblicamente il movimento di protesta. Due giorni dopo, il rapper Saman Yasin viene prelevato da casa sua e arrestato per aver “dichiarato guerra a Dio”, sostenendo sui social i manifestanti anti-regime. Rischia la condanna a morte. Secondo le Nazioni Unite fa parte delle circa 14.000 persone, inclusi bambini, che sono state arrestate dal regime dall’inizio degli scontri.

Il 14 novembre l’Iran emette la prima condanna a morte in relazione alle proteste, ai danni di una persona non identificata accusata di aver appiccato il fuoco a un edificio governativo. L’Unione europea, che nelle settimane precedenti aveva imposto delle sanzioni al Paese, aggiunge 29 persone e 3 organizzazioni all’elenco delle persone oggetto di misure restrittive. Qualche giorno dopo la polizia iraniana apre il fuoco alla stazione della metropolitana di Teheran, dove le donne bruciano il velo in segno di protesta: verranno picchiate all’interno dei vagoni dalle autorità. Secondo gli attivisti per i diritti umani in Iran, 46 ragazzi e 12 ragazze sotto i 18 anni sono stati uccisi dall’inizio delle proteste. Alcuni avevano otto anni.

Il 21 novembre, prima del fischio iniziale della prima partita dell’Iran ai Mondiali di calcio che si stanno svolgendo in Qatar, la squadra bianco-rosso-verde si rifiuta di cantare l’inno della nazionale. Il gesto di protesta fa il giro del mondo, i giocatori temono di subire rappresaglie dopo le parole di un politico iraniano: il Paese, dice, «non permetterà mai a nessuno di insultare il nostro inno». Secondo l’emittente statunitense Cnn, poco prima della loro seconda partita di calcio, contro gli Stati Uniti, le autorità iraniane avrebbero minacciato i giocatori della nazionale, avvisandoli che i loro familiari rischiavano di essere «arrestati e torturati», se si fossero rifiutati ancota di cantare l’inno nazionale. Quando la squadra verrà eliminata, le strade dell’Iran si riempiranno di festeggiamenti e celebrazioni in solidarietà con le proteste.

Dicembre

Le forze di polizia mirano ai genitali, ai seni e ai volti delle manifestanti, secondo alcuni medici iraniani intervistati dal Guardian. In mezzo a proteste sempre più dure e repressive, un funzionario dichiara che la polizia morale verrà abolita, ma nessun’altra fonte ufficiale conferma la notizia. Secondo l’emittente iraniana in lingua araba El Am le parole del Procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri sarebbero state mal interpretate dai media stranieri.

L’8 dicembre l’Iran esegue la prima condanna a morte: un ragazzo di 23 anni, Mohsen Shekari, viene giustiziato per aver bloccato una strada “con l’intento di creare terrore e uccidere” e aver ferito “intenzionalmente”, con un’arma da taglio, un membro della forza paramilitare dei Basij. Il 12 dicembre, meno di una settimana dopo, viene impiccato in pubblico il ventitreenne Majidreza Rahnavard.

Il 28 dicembre il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani convoca il nuovo ambasciatore iraniano a Roma per esprimere le preoccupazioni dell’Italia per la repressione delle autorità iraniane sulle proteste antigovernative in corso da più di tre mesi. Chiede che Teheran sospenda la pena di morte in relazione alle proteste e interrompa immediatamente le esecuzioni dei prigionieri durante le manifestazioni.

Il 29 dicembre si diffondono le foto di una delle migliori giocatrici di scacchi iraniane mentre gareggia senza velo a un torneo internazionale ad Almaty, in Kazakistan. La 25enne Sara Khadem, secondo i quotidiani spagnoli, non avrebbe intenzione di tornare in Iran perché teme delle ripercussioni su di sé e sulla sua famiglia. El Paìs ha reso noto che si trasferirà in Spagna. Nel frattempo, il ministero degli Esteri iraniano convoca l’ambasciatore d’Italia a Teheran, Giuseppe Perrone, denunciando «le posizioni negative e irrazionali di alcuni funzionari italiani incompatibili con i rapporti storici tra i due Paesi», riporta l’agenzia di stampa Irna.

Al 30 dicembre, quando mancano poche ore dalla fine dell’anno, i dati diffusi dall’Agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani, Hrana, parlano di più di 18 mila persone arrestate nelle circa 1.200 manifestazioni scoppiate in 161 città del Paese. I morti sarebbero 508, tra cui 68 bambini e adolescenti. Tra loro Mehrdad Malek, 17 anni, ucciso mercoledì da una pattuglia che lo rincorreva in auto. O Soha Etebari, di soli 12 anni, ferita a morte dagli agenti che hanno sparato a lei e ai suoi genitori a un check-point.

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